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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

Malastrana VHS

Archivi Mensili: giugno 2013

Savage Harvest

30 domenica Giu 2013

Posted by andreaklanza in azione, B movie gagliardi, drammatici, Recensioni di Domenico Burzi, S

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animali, animali assassini, animali incazzati, cinema, leoni assassini, recensione, recensioni, savage harvest, storie vere

E’ proprio il caso di parlare di “roaring eighties”, perchè in questo dimenticato “Savage Harvest” i leoni, veri, ruggiscono sul serio. Altro che CGI. Una didascalia all’inizio della pellicola avvisa il pubblico che i fatti narrati si ispirano a vicende realmente avvenute. A causa della siccità i leoni si spingono ad attaccare i villaggi africani e pure la villa di una famiglia americana di stanza in Kenya, assediata dalle bestie affamate.

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Dirige il vecchio Robert L. Collins, regista prettamente televisivo (“La Scelta/Walk Proud” [1979] con Robbie Benson e Pepe Serna e una valanga di regie televisive da “Marcus Welby” a “Sulle Strade della California”) e si vede, che tuttavia confeziona un dignitosissimo animal attack capace di rimanere nella memoria del cinefilo e appassionato, senza essere un capolavoro o un caposaldo del genere. Tolto l’incipit, veramente incisivo nel creare un senso di morte e desolazione grazie a sequenze documentaristiche sottolineate dall’ottima partitura di Robert Folk, i primi trenta minuti sono di puro mestiere, con la presentazione dei protagonisti Tom Skerrit e Michelle Phillips (proprio lei, ex The Mamas & The Papas e moglie di John Phillips) con contorno di figli e amici. Dopo i leoni attaccano e, per un amante dell’ecovengeance o come cazzo volete chiamarlo, vedere i felini che attaccano e sbranano i poveri esseri umani, assediati, impauriti, soggiogati dalla bestie, è sempre spettacolo degno di tale nome. Grande lavoro da parte di addestratori e stuntmen (magnifico il primo assalto alla governante della magione) e leoni, leonesse, pantere protagonisti assoluti della pellicola tutta. Collins da quel buon artigiano televisivo qual’è/era ( 1 giugno 1930-21 ottobre 2011) non la butta sul blood&gore, anzi di sangue non è che se ne veda molto, e preferisce concentrarsi sulle reazioni degli assediati concedendo qualche sequenza ad effetto fino allo scioglimento della vicenda.

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 In questo senso molto efficace risulta la scena in cui la famiglia si riunisce intorno a Michelle Phillips che strimpella al piano “All You Need Is Love” e “I Want To Hold Your Hand” , nel tentativo, invero demenziale, di ritrovare la calma e la stabilità dopo il furioso attacco dei leoni; dalle lacrime e dalle urla a poco a poco tutti gli assediati cominciano a cantare, sicuri che ad un gruppo di americani in terra straniera non possa assolutamente accadere niente di brutto fino a che non si ritrovano un enorme leone in salotto. La rilettura in salsa animal attack del cinema d’assedio, pur non avendo la potenza del cinema carpenteriano e romeriano, senza contare le influenze western (vedi il lancio del fucile tra Skerrit e Shawn Stevens), è comunque godibile e spettacolare, potendo contare sul realismo delle sequenze e delle reazioni degli attori, circondati da bestie vere e non da pupazzi, per cui il livello esploitativo del film di Collins è ancora piuttosto alto, specialmente nel concitato finale con i felini che irrompono nella villa e circondano la gabbia di fortuna in cui si sono rifugiati i protagonisti. Sequenza che ancora riesce ad inquietare proprio per la ferocia con la quale gli animali si ammassano davanti all’entrata della magione quasi a voler “sfrattare” i poveri, ormai ex-inquilini. Non è poco.

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Certo la visione della slavatissima VHS giapponese non aiuta certo la fruizione del prodotto di Collins, anzi la fotografia del buon Ronnie Taylor è praticamente sputtanata, ma tant’è godiamo di quello che abbiamo, anche perchè “Savage Harvest” non ha ancora goduto di una degna edizione digitale e in video circolò molto poco solo in UK e nell’edizione Warner Home Video giapponese (forse per problemi riguardanti i diritti sulle canzoni dei Beatles, mah) dopo una fugace apparizione nelle sale cinematografiche losangeline. Consigliatissimo, comunque, in double bill con “Roar” (1981) di Noel Marshall, che invece in Dvd ci sta, senza contare dei caposaldi del genere come“Day of the Animals” (1976) dello specialista William Girdler e il mitico “The Pack/Il Branco” (1978) di Robert Clouse con Joe Don Baker. La giovane Tara Helfner, nel ruolo diKristie, la giovane figlia di Skerrit nel film, è la figlia del produttore, sceneggiatore e pure addestratore Ralph Helfer.

Domenico Burzi

Savage Harvest

Anno: 1981

Regia: Robert L. Collins

Interpreti: Tom Skerritt, Michelle Phillips, Shawn Stevens, Anne-Marie Martin

Durata: 90 min.

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L’isola perduta

29 sabato Giu 2013

Posted by andreaklanza in azione, drammatici, I, mostriciattoli, Recensioni di Domenico Burzi, vogliamo ricordarlo così

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cinema, isola perduta, l'isola del dottor moreau, marlon brando, recensione, recensioni, registi scacciati da attori incompetenti, richard stanley, val kilmer, welles

Terzo adattamento dell’opera di H.G Welles dopo le versioni di  Erle C. Kenton (“ISLAND OF LOST SOULS”–1933-bellissima) e Don Taylor ( “ISLAND OF DR. MOREAU–1977– a me piace molto pure questa). Il nome Richard Stanley viene citato nel titolo in quanto autore della sceneggiatura originale, scritta con Michael Herr, e primo regista designato dalla New Line per portare a termine il progetto Moreau. Diciamo che non é proprio andato tutto liscio. Tanto per cominciare Val Kilmer, scelto come protagonista, comincia a rompere le palle.

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Vuole un ridimensionamento di ruolo. Non vuole piu’ fare il protagonista principale. Stanley, per non perdere la star, gli offre il personaggio del Dr. Montgomery, assistente di Moreau. Tutti contenti. Tuttavia, Kilmer non si presenta i primi due giorni di riprese. Stanley e la troupe fanno quello che possono. Peccato che il terzo giorno la New Line fa sapere a Stanley che é licenziato, perchè considerato troppo poco esperto per gestire attori e budget da 40 milioni di dollari. In realtà é Kilmer a chiederne la sostituzione. Bene. A questo punto entra in gioco il grande vecchio Frankenheimer che decide di riscrivere tutta quanta la sceneggiatura, non ritenuta all’altezza. Anche il nuovo protagonista, Rob Morrow, decide di mollare la presa.

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Viene ingaggiato così David Thewlis che interpreterà Edward Douglas, diplomatico delle Nazioni Unite naufragato sull’isola malefica di Moreau. Chi manca all’appello? Naturalmente il Divino Marlon. Al quale viene concesso di fare praticamente tutto quello che vuole. E beh, é Brando cazzo. Seguono altre riscritture, Frankenheimer che litiga con Kilmer, Kilmer che litiga con Brando e il caldo tremendo del set australiano. Una produzione disgraziata che mantiene però il fascino di quel cinema sgangherato e fuori tempo massimo che si apprezza di piu’ con il passare del tempo. Il caos creatosi dietro le quinte si respira a pieni polmoni. E’ un film che non va incontro ai gusti del pubblico, non ci sono personaggi carismatici o eroi con cui identificarsi; Thewlis é fumoso e antipatico, Kilmer perennemente strafatto, Fairuza Balk fa quello che può nel ruolo della figlia di Moreau con istinti felini, quindi tutto lo schermo è occupato da Brando.

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E’ lui il “Father”, il dio autoproclamatosi sull’isola, il detentore della verità e quindi della legge. Frankenheimer, da par suo, lo trasforma in una oscena parodia del pontefice e del Colonnello Kurtz  dalle mise deliranti e grottesche, che se ne va in giro con una specie di sua riproduzione in miniatura, l’attore Nelson De LaRosa ( il ratman di “QUELLA VILLA IN FONDO AL PARCO” di Giuliano Carmineo) ed é contornato da una servitu’ di freaks in livrea. Qui siamo veramente dalle parti delle pratiche basse del cinema che incontrano quelle alte. Prendiamo a esempio la scena dell’orgia con tutti gli uomini-animali; un film di Frankenheimer che si trasforma in una cosa tipo Eddie Romero. Una mutazione subdola che rende  la pellicola un oggetto non identificato nella filmografia del grande regista di “”THE MANCHURIAN CANDIDATE”. Delirante e visionario, pregno di una sensazione di disfacimento che lo sorregge dall’inizio alla fine, “THE ISLAND OF DR. MOREAU” é film da vedere almeno una volta. Anche solo per parlarne male. Mi é impossibile non pensare che il talentuosissimo sudafricano Richard Stanley (che si presentò sul set truccato da cane bulldog, senza farsi riconoscere) non abbia scagliato una maledizione su tutto quanto il set. E su Val Kilmer, che negli ultimi anni é stato coinvolto quasi sempre in immani cazzate. Onore al merito, come di consueto, al grande Ron Perlman e alla buonanima di Stan Winston. Fine.

Domenico Burzi

L’isola perduta

Titolo originale: The island of dr. Moreau

Anno: 1997

Regia: John Frankenheimer

Cast: Val Kilmer, Marlon Brando, David Thewlis, Fairuza Balk, Ron Perlman, Mark Dacascos, Temuera Morrison

Durata: 90 min.

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Psycho 4 (Comotti’s version)

27 giovedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in P, Recensioni di Davide Comotti, thriller

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anthony perkins, norman bates, psycho, recensione, recensioni

Attenzione questa recensione potrebbe contenere spoiler sull’identità del killer. Prima di leggerla vi consiglio di vedervi il primo Psyco di Alfred Hitchcock per non rovinarvi la sorpresa finale. Fino ad allora l’assassino per voi sarà lei, Norma Bates. Buona lettura

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Psycho 4 (1990) può vantarsi di essere uno dei primi prequel nella storia del cinema: come suggerito dal titolo integrale (Psycho IV: The Beginning), il quarto e ultimo capitolo della saga racconta la nascita del serial killer Norman Bates; si tratta di un film per la televisione, ma il risultato è ottimo, ben diretto e interpretato. Il regista è l’americano Mick Garris, celebre per essere il creatore della serie tv Masters of horror (di cui ha anche scritto e diretto alcuni episodi), e specializzato nel genere. La prima forza del film consiste, ancora una volta, nell’eccellente Anthony Perkins, che col passare degli anni non perde nulla della sua espressività, anzi diventa ancora più inquietante.

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Nonostante sia tornato a uccidere (vedasi Psycho 2 e soprattutto Psycho 3), Norman Bates ha ottenuto la libertà vigilata, e si è addirittura sposato con la dottoressa che lo aveva in cura, trasferendosi in un’altra città. Durante un programma radiofonico, interviene in diretta senza rivelare la propria identità (si fa chiamare “Ed”) e racconta come divenne un assassino: la difficile infanzia vissuta con la madre in un complesso rapporto di amore (quasi incestuoso) e odio, il matricidio, lo sdoppiamento di personalità e i successivi omicidi. Evidentemente, però, il suo istinto assassino non si è del tutto placato, visto che annuncia di voler uccidere ancora una persona: sua moglie.

Garris si trova quindi a dirigere con eleganza una sceneggiatura complessa (scritta da Joseph Stefano), in quanto giocata sull’alternanza dei due piani temporali, il presente e il passato; a sua volta, il passato di Bates non viene narrato in ordine strettamente cronologico, ma quasi come in una seduta psicanalitica, in base alla domande della conduttrice e ai pensieri che assalgono l’uomo. Dunque, il flashback inizia raccontando la prima volta in cui Norman ha ucciso una ragazza, poi si passa alla morte del padre, al rapporto tormentato con la madre Norma (la parte più corposa e più riuscita del film), all’omicidio di un’altra ragazza, fino alla crudele uccisione della madre e del suo fidanzato. La scelta, probabilmente, non è casuale, perché segue un climax ascendente (di cui il matricidio, uno dei momenti più crudi e angoscianti del film, è lo zenit) e spiazza lo spettatore, che è chiamato a ricostruire gli eventi quasi come in un puzzle.

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Per la prima volta nella saga, ci sono dunque due attori diversi a interpretare Norman Bates (anzi tre, se vogliamo essere precisi, perché ci sono alcune brevi sequenze con lui da bambino): il consueto Anthony Perkins e, nel ruolo di Bates ragazzo, Henry Thomas. Celebre per il ruolo di Elliott in E.T. l’extraterrestre (1982) di Steven Spielberg, si rivela anch’egli un’ottima scelta, soprattutto per il volto, che ricorda vagamente il giovane Perkins e riesce ad avere sempre l’espressione giusta, in bilico fra l’apparente normalità e le crisi di follia.

La ricostruzione degli avvenimenti che portarono Bates a trasformarsi in uno psicopatico serial killer è abilmente intervallata con la vicenda “in tempo reale”: Perkins è sempre un attore straordinario, lo vediamo in casa al telefono mentre racconta la sua storia assumendo un numero incredibile di espressioni con la stessa intensità (crudeltà, determinazione, freddezza, angoscia, sofferenza). Il suo volto scarno e spigoloso risulta più che mai inquietante (da notare i frequenti primi piani), grazie anche all’ottima cura della fotografia che dipinge su di esso luci e ombre (quasi una metafora della sua doppia personalità) che ne risaltano l’espressione.

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Se Psycho 2 era un “thriller complottista” e Psycho 3 quasi uno slasher, con Psycho 4 ci troviamo di fronte a qualcosa di ancora diverso (ed ecco uno dei punti di forza della saga: quello di sapersi rinnovare sempre, senza ripetere le solite trame): possiamo definirlo un “dramma – thriller psicologico”. Dunque, poche concessioni all’horror vero e proprio, anche se la crudeltà non manca (la ragazza accoltellata, quella strangolata e soprattutto l’avvelenamento della madre), e molto spazio all’indagine psicologica. Certo, non è un trattato di psicologia (e non deve esserlo, visto che è cinema, quindi spettacolo innanzitutto), ma l’analisi della mente di Norman e del suo rapporto con la madre rivelano una profondità non comune. Norman Bates risulta veramente il serial killer più controverso della storia del cinema: cresciuto con una madre mentalmente instabile (che al contempo lo ama e lo odia, instaura con lui un rapporto quasi incestuoso per poi colpevolizzarlo, lo punisce per il solo fatto di pensare alle ragazze), finisce quasi per diventare vittima della situazione, una vittima che si trasforma in carnefice, vorrebbe tornare “normale” ma non riesce. Crudeltà, angoscia e sofferenza convivono in lui insieme alla sua seconda personalità (la madre stessa), e tutto questo emerge in Psycho 4 più forte che mai. Il film non è comunque solo un “dramma psicologico”, perché le sequenze da brivido non mancano: ricordiamo il volto mummificato della madre, su cui schizza il sangue della ragazza accoltellata; gli inquietanti “dialoghi” fra Bates e l’altra sua personalità che parla con la lugubre voce della madre; gli omicidi del giovane Norman; la lunga e angosciante sequenza dell’uccisione della madre e del fidanzato; la scena (anche se poco dettagliata) in cui il ragazzo cuce il cadavere imbalsamato di Norma; tutto il finale nella vecchia casa, di cui si parlerà in seguito.

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Anche per quanto riguarda la confezione estetica, Psycho 4 è un prodotto più che buono: la fotografia (a cura di Rodney Charters) esalta il volto contrastato di Perkins, i colori “caldi” della sua nuova casa, mentre, per quanto riguarda i flashback, è ancora un rosso intenso (come in Psycho 3) a prevalere (forse un simbolo del sangue e della follia). La colonna sonora presenta un curioso innesto del tema classico di Psycho scritto da Bernard Herrmann (gli archi che stridono in maniera ossessiva) sul nuovo tema musicale di Graeme Revell, che richiama a sua volta quello originale. Notevole, infine, l’uso delle inquadrature, come i primi piani sul viso di Perkins, il carrello circolare all’interno della stazione radiofonica e l’inizio dei flashback, che vedono spesso presente sulla scena Norman Bates mentre “vede” se stesso da bambino.

Dal punto di vista narrativo, gli ultimi 20 minuti del film (conclusi i lunghi flashback) sviluppano un altro argomento della telefonata, cioè il progetto di uccidere ancora una donna, sua moglie, perché incinta di un bambino che, nella sua mente malata, sarebbe un nuovo potenziale “mostro”. Il finale nella vecchia villa di Bates è indimenticabile, con Perkins che insegue la moglie per ucciderla, poi rientra in sé, dà fuoco alla tetra magione e viene perseguitato dai “fantasmi” delle sue vittime: peccato che, a questo punto, scatti un’inspiegabile “buonismo” nella trama (unico punto debole del film), con Bates che rinuncia a uccidere e dichiara di essere finalmente libero. Fortunatamente, c’è un’ultima inquadratura a riportare la vicenda sul tono inquietante che necessita: la vecchia sedia della madre dondola in cantina, mentre le porte si chiudono e sentiamo la sua lugubre voce dire “Fammi uscire da qui, Norman! Hai sentito? Fammi uscire!”.

 Davide Comotti

Psycho IV

Titolo originale: Pyscho IV: The Beginning

Anno: 1990

Regia: Mick Garris

Cast: Anthony Perkins, Henry Thomas, Olivia Hussey, Cch Pounder, Warren Frost, Donna Mitchell, Thomas Schuster, Sharen Camille, Bobbi Evors, John Landis

Durata: 90 min.

VHS: CIC VIDEO

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Psycho 3 (Napoleone’s version)

25 martedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in P, Recensioni di Napoleone Wilson, slasher, thriller

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anthony perkins, cinema, norman bates, paycho III, psycho 3, recensione, recensioni

Attenzione questa recensione potrebbe contenere spoiler sull’identità del killer. Prima di leggerla vi consiglio di vedervi il primo Psyco di Alfred Hitchcock per non rovinarvi la sorpresa finale. Fino ad allora l’assassino per voi sarà lei, Norma Bates. Buona lettura

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«Liberate il vostro terrore. Liberate la paura. Ed entrate in un incubo tutto nuovo…»

«Norman Bates è tornato alla normalità. Ma la mamma è di nuovo sulla sua sedia a dondolo!»

«Proprio quando si pensava che fosse sicuro poter tornare sotto la doccia!»

«Norman Bates è di nuovo a casa con la mamma.»

«Il più sconvolgente di tutti.»

Frasi di lancio originali del film

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Era prevedibile che dopo un sequel sorprendentemente ben realizzato e valido quale fu “Psycho II” (1983), si concretizzasse la possibilità di un ulteriore follow-up della storia di “Psycho” di Alfred Hitchcock, come immancabilmente avvenne. Anche perché, lo stesso Norman Bates, Anthony Perkins, prese la sedia del regista per il terzo capitolo della saga sull’esistenza triste e temibile allo stesso tempo di Norman. Essendo stato Norman all’epoca per quasi trent’anni (e anche per aver lavorato con registi leggendari come Alfred Hitchcock, Stanley Kramer, Jules Dassin, e Orson Welles, fra gli altri), non c’era probabilmente nessuno più qualificato di lui dirigere questo nuovo episodio. Mentre Perkins non si eleveràd’accordo, alle altezze cinematografiche di questi giganti dello schermo, lui e lo sceneggiatore Charles Edward Pogue (che proprio di seguito avrebbe anche scritto la sceneggiatura de “La Mosca” di David Cronenberg, e non so se mi spiego ), avrebbero però impostato un film che anche restando sotto molti aspetti dentro alle mode del genere del periodo, offre un’esperienza horror che, pur lungi dall’essere perfetta, ispira nella memoria dello spettatore ben di più che la sua quota di brividi e salti in gola.

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“Psycho III” è ambientato solo un breve periodo di tempo dopo gli orribili eventi di “Psycho II”. Il film inizia con una sequenza molto bella dall’ambientazione e dalla scenografia (opera nientemeno che di Henry Bumstead, scomparso a 95 anni e attivo fino all’ultimo, uno dei più grandi scenografi americani fin dai celebri e maggiori titoli della Hollywood degli anni ’40, e fino a quasi tutti i più grandi film da regista di Clint Eastwood, del quale è stato uno dei principali e più importanti collaboratori, “Gran Torino” [2008] compreso) le quali sono una fedele riproduzione-citazione del convento e del celebre campanile di Santa Mira ne ” La Donna che visse due volte” (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcock.

Il convento citato si trova non lontano dal Bates Motel, e una novizia Maureen Coyle (Diana Scarwid) , durante il proprio tentativo di suicidio uccide accidentalmente la madre superiora, che precipita per salvarla. Maureen lascia dunque il convento in disgrazia e ancor più in stato di disperazione, e intoppa pure in un passaggio sotto la pioggia da parte di un musicista poco di buono, Duane Duke ( Jeff Fahey), che tenta invano persino di approfittarsi di lei, prostrata com’è. Ella viene dal gentiluomo quindi abbandonata con la sua valigia e buttata fuori dall’auto sotto una pioggia torrenziale, allontanatasi trova casualmente sulla sua strada il Bates Motel in cui Norman Bates (Anthony Perkins, off course)ha ingaggiato Duke come assistente. Una volta lì, lei e Norman iniziano una storia d’amore, ma lo spettro della Madre continua a ossessionare Norman e minacciare chiunque sia in grado di catturare il suo amore.

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L’aspetto più notevole di “Psycho III” è la sorprendente direzione dell’adepto Anthony Perkins. Egli si è mostrato dietro alla macchina da presa fiducioso e dalla forte abilità, svolgendo molto più che il mero e semplice compito di seguire gli attori. Perkins ci ha offerto un film che come ricordato per il suo inizio, non solo inevitabilmente riconosce l’influenza e la maestria di Hitchcock, ma possiede anche alcune scene che sono propriamente in uno stile d’intrattenimento di suo “hitchcockiano”.

Nella menzionata sequenza prima dei titoli di testa, e in cui vengono introdotti i personaggi, abbiamo la novizia Maureen, che appare dalle tenebre mentre la sentiamo urlare “Non c’è nessun Dio!”. Abbiamo poi una dissolvenza che ci svela subito dopo Maureen seduta in cima a un campanile, piangendo e implorando perdono. Ben presto la sua Madre Superiora arriva da lei e inizia a urlare e afferrarla. Elle si accapigliano, e, come detto in un evidente omaggio a “Vertigo”, la Madre Superiora precipita dal campanile e muore. Si è trattato di una mossa audace per Perkins, citare già al primo minuto uno dei migliori e più noti thriller di Hitchcock, ed è anche una introduzione forte ad uno dei personaggi principali dell’intero film. Detta sequenza dimostra molto graficamente che Maureen è un personaggio il quale si porterà dietro una grande quantità di dolore, e così fornendo anche un sorriso molto dark su tutti i volti degli ammiratori di “Hitch”.

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Mentre Perkins è ovviamente in debito con Hitchcock, egli non si limita a copiarlo però pedissequamente. Perkins ci offre, per esempio, un tocco di assoluto prestigio in occasione di una nuova interpretazione della famosa scena della doccia. Norman è infatuato di Maureen, ma la mamma decide che deve morire. Vediamo i vestiti della mamma di Norman e la sua vestizione, mentre allo stesso tempo si assiste ai preparativi di Maureen per fare il bagno. Come la Madre fa lentamente il suo ingresso nella stanza della doccia, Perkins ricrea quasi inquadratura per inquadratura le scene di Janet Leigh che si sta preparando per la doccia mortale di tanti anni prima. La Madre finalmente arriva e scosta indietro la tenda della vasca. Tuttavia, invece di Maureen accoltellata a morte, ci troviamo di fronte a Maureen sdraiata nell’acqua e che si è appena tagliata i propri polsi. Maureen guarda verso la mamma, e in uno stato delirante, la vede come la Vergine Maria. La magia di questa scena è il modo in cui Perkins fuorvia completamente noi spettatori. Ci aspettiamo di vedere la Madre attaccare Maureen allo stesso modo in cui aveva attaccato il personaggio di Janet Leigh in “Psycho”, e invece la salverà e facendola portare all’ospedale. Quando vediamo che Maureen ha tentato di uccidersi, coglie la Madre/Norman e noi spettatori, completamente alla sprovvista. Questa è stata una scena eccezionale che non solo ci mostra che l’esordiente regista Perkins aveva imparato molto da Hitchcock su come fuorviare il pubblico, ma anche che egli ha saputo adottare e bene l’umorismo nero del Maestro.

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Questo è evidente anche in una scena un po’ più avanti nel film. Perkins ci mostra ancora una volta una forte capacità di indurre in errore il pubblico assieme ad un umorismo ancora più dark. Norman ha ucciso una cliente e nascosto il suo corpo in un congelatore esterno. Lo Sceriffo Hunt ( Hugh Gillin) è sulla scena per indagare in merito alla scomparsa della donna. Egli ha erroneamente deciso che Norman non è responsabile per la sparizione della ragazza e, pur sostenendo una discussione con la giornalista Tracy Venable (Roberta Maxwell) che cerca di convincerlo del contrario, nel suo giro casualmente si ferma ad aprire il coperchio del congelatore e prende un po’ del ghiaccio. Non vedendo il volto della donna nella ghiacciaia, si mette anche uno o due pezzi del ghiaccio insanguinato in bocca. Continuiamo nella sequenza riducendosi agli sguardi preoccupati di Norman come a quelli dello sceriffo che continua nella sua bigotta lezione alla giornalista. Sbattendo poi il coperchio per chiuderlo e andandosene via, non avendosi mai reso conto che la vittima la quale stava alacremente cercando era lì adagiata ad un metro da lui. Questa scena utilizza la famosa teoria della “bomba che non scoppia” di Hitchcock unita ad un risultato malato e disgustosamente bizzarro , ed è una delle scene che più si ricordano del film.

Per tutto di esso, Perkins evita anche di esercitare un lavoro della macchina da presa che sia appariscente o elaborato a favore di semplici e lineari movimenti della camera. Egli non vuole stupirci con la cinepresa, ma vuole invece ingannarci e manipolarci. La sua direzione in questo film ci mostra un regista che capisce molto bene come realizzarlo e anche come farci sorridere in modi totalmente dark, ma anche con una certo e ben percepibile velo di tristezza.

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E’ una fortuna che la regia di Perkins sia stata di un livello superiore, in quanto i personaggi del film, con l’eccezione di Norman, non sono molto sviluppati come avrebbero potuto. Duane Duke (interpretato da un giovane Jeff Fahey) non è molto di più di una sorta di Han Solo dell’abbronzatura e per l’altra metà un personaggio saturo di battute deboli e dalla cattiveria per amore della cattiveria. Nel corso della storia, Duke non assurge mai a diventare molto più di un dispositivo di sceneggiatura per motivare altri personaggi. Non abbiamo mai a imparare molto di più su di lui a parte che è un vagabondo spiritoso, e che è molto protettivo della sua chitarra. La performance di Jeff Fahey non aggiunge molto alla caratterizzazione stessa da parte dello script del personaggio di Duke. Fahey è al solito competente, ma alla fine è il personaggio ad essere deludente e a non sostenerlo. Virando selvaggiamente dallo stupratore vizioso al simpatico farabutto, facendogli sgranare selvaggiamente i suoi grandi occhi azzurri,cercando così di sembrare un “duro”.

Tracy Venable è anch’essa poco più dell’abbozzo di un personaggio reale. La sua funzione è quella di scoprire la verità su Norman e l’omicidio compiuto in “Psycho II”, e per cercare di proteggere Maureen da Norman. Ancora una volta, su di lei non veniamo a sapere quasi nulla. Roberta Maxwell offre poi come Tracy la performance più debole del film. Ella sorride poco convincente nella costruzione del personaggio e sembra eccessivamente preoccupata per Maureen prima ancora che davvero possiamo sapere qualcosa di lei. Come Duke purtroppo, non riesce a superare le sue funzioni nel plot, mentre le deboli battute quali le fornisce lo sceneggiatore Charles Edward Pogue, sono un sostituto alquanto povero per un personaggio reale.

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Il personaggio più riuscito del film è altrimenti quello di Maureen Coyle. Il film, dalla prima battuta, mette grande impegno nel delineare con attenzione ai dettagli, la crisi spirituale di Maureen. Anche se, dopo il suo tentativo di suicidio e l’ammissione a un sacerdote che pensa di aver visto la Madonna quando in realtà era “La mamma/Norman” non proprio e sotto ogni aspetto, la Vergine Maria, questa stessa “stravaganza” è quasi completamente abbandonata.

Poi diventa in seguito solamente la donna per la quale Norman deve cadere innamorato. Si tratta del triste spreco di un aspetto visionario del personaggio che poteva essere molto interessante.

L’interpretazione di Diana Scarwid è complessa da analizzare. Ella interpreta in modo molto efficace il dubbio del personaggio e la sua confusione, spesso piangendo e urlando pateticamente. Sembra anche molto impotente di fronte a Duke. Tuttavia, dopo una notte fuori con Norman, la Scarwid dipinge Maureen come una vittima tipica dei film horror, difatti anche dopo aver appreso la verità sul passato di Norman, ella lo guarda con un sorriso luminoso, che non mostra alcun segno di apprensione.

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Piuttosto quindi che offrirci caratteri forti e misteriosi, Pogue ci tratteggia invece dei sottili schizzi di personaggi stereotipati. Il film non può così spingersi per la sua strada nel territorio vero di “Psycho” (come già fu “Psycho II” anche in questo caso) con i personaggi deboli con cui si presenta.

Il culmine del film è purtroppo gestito da una risoluzione complessa che si basa su una trama già di per sé complicata. Tuttavia, nel corso della sua sceneggiatura, Pogue non fornisce al pubblico indizi sufficienti per capire che cosa c’è al fondo del mistero. Mostrandoci invece Tracy, in lacrime, la quale grida il nome Norman mentre egli si sta muovendo per uccidere. Questo momento è quasi impercettibile e il film deve essere visto più di una volta per capire veramente quanto è successo. Nel complesso, la maggior parte del copione sembra più simile a una prima bozza che doveva essere pensata in modo più chiaro. La sceneggiatura vorrebbe essere intelligente, ma è troppo imprecisa e la soluzione troppo arbitraria per renderla tale.

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L’unica nota con la quale Pogue si stacca decisamente è grazie ala sua concezione di Norman Bates.. Egli vede Norman come un personaggio incredibilmente patetico che non vuole essere il mostro che è, ma è quasi incapace di aiutare se stesso. La sua storia d’amore con Maureen è dolcemente scritta, e assumiamo e sue parti quando prende una piega tragica. Pogue crea anche una simbolica decapitazione della Madre da parte di Norman, per poi poter così finalmente dichiarare che egli si è da lei liberato (però Perkins tradisce la “morte” della madre nell’ultima scena, in cui vediamo Norman tirare fuori il braccio amputato del cadavere della mamma e accarezzarlo prima di rivolgere per l’ultima volta all’obbiettivo il celebre sguardo maniacale). Se Pogue avesse avuto la stessa cura nell’infondere vita reale agli altri personaggi e alla scrittura di una trama più consistente, forse il film avrebbe potuto essere un classico degli anni ’80, e non solo una voce seppur molto piacevole di un famoso franchise.

Ciò che dà veramente vita alla concezione da parte di Pogue del personaggio di Norman è senza dubbio l’eccellente interpretazione di Anthony Perkin.

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Impersonando questo personaggio per la terza volta, Perkins sa già molto bene come usare la sua voce dolce e le sue inimitabili capacità per l’interpretazione di un comportamento nervoso, e per illustrare la guerra interiore in cui è invischiato Norman. Egli appare sempre come un personaggio patetico, piuttosto che spaventoso, il quale è guidato da forze fuori del suo controllo. C’è un preciso momento del film in cui siamo in grado di vedere la sua faccia che s’illumina brevemente, ed è quando una ragazza che sta trascorrendo la notte con Duke lo invita alla festa con loro, quasi subito Perkins posticipa il suo caratteristico sguardo di orrore e di vergogna al solo pensiero. Vediamo anche come Norman sia pieno di rimorsi e attenzioni per le sue vittime come quando bacia un cadavere appena prima di occultarlo. Forse lo fa andare appena un po’ troppo sopra le righe il finale, (che comunque è un bel finale e venne rifatto da Perkins su richiesta della Universal) quando lo vediamo parlare con la voce della mamma, ma quasi subito come redimendosi, onestamente mostrandoci tutta la sua angoscia e la rabbia quando “uccide” la mamma e ne decapita il corpo impagliato. Perkins offre da par suo quindi la migliore prova del film e, insieme con la sua regia sorprendente, fa sì che “Psycho III “ sia stata nel complesso un’esperienza molto riuscita.

In definitiva, “Psycho III” pur se non eccezionale, è certamente un buon film. I suoi personaggi non sono molto più di stereotipi, e la sua trama è troppo complessa per cogliere con piena lucidità i suoi obiettivi, ma tuttavia, è da rimarcarne come Anthony Perkins abbia offerto una direzione dinamica e l’ennesima prestazione eccezionale nei panni di Norman Bates. Questo film può infatti occupare un proprio posto preminente nella serie di “Psycho” come il migliore dei sequel, ed è una degna continuazione della saga del Bates Motel.

La versione televisiva ha un inizio completamente diverso con i titoli che compaiono prima che appaia Maureen. Inoltre, la prima battuta sentita nella versione televisiva non è “Dio non esiste”. Quando Maureen lascia il convento, la versione televisiva attraverso una narrazione fuori campo ci fornisce delle informazioni su Maureen. I titoli di testa in questa versione non vengono visualizzati mentre ella si sta incamminando per la strada.

Nella versione televisiva, la puttana non è in topless, ma indossa un asciugamano.

La versione TV offre spunti musicali diversi durante la prima inquadratura della casa e del Motel Bates. E’ la stessa musica che compare alla fine del film quando Norman si trova nella macchina della polizia e viene portato via.

“Cry Of Love“

Musica di Carter Burwell

Scritta da Steve Bray & David Sanborn

eseguita da Carter Burwell , Steve Bray, e David Sanborn

MCA Records

“Mary Catherine“

Musica di Carter Burwell & Steve Bray

Scritta da Stanton-Miranda

Eseguita da Stanton-Miranda

“Dirty Street“

Musica di Carter Burwell & Steve Bray

Scritta da Steve Bray & Stanton-Miranda

Cantata da Stanton-Miranda

Academy of Science Fiction, Fantasy and Horror, Stati Uniti d’America Anno 1987 Nominato al Saturn Award per il Miglior Attore

Anthony Perkins

Miglior Film Horror

Il libro di Mary che compare nel film (intitolato “Nel ventre della bestia“) è visto nella sporcizia, dalla casa di Norman.

Lo script originale aveva Duane come killer “copycat” degli omicidi di Norman Bates.

Come regista Anthony Perkins aveva originariamente voluto che Jeff Fahey fosse completamente nudo nella scena dei preliminari tra lei e Red, ma Fahey si sentiva troppo a disagio nell’essere completamente nudo davanti alla macchina da presa, per cui gli è stato permesso di tenere frapposte due lampade per coprire parzialmente se stesso.

Esordio registico di Anthony Perkins.

Perkins suggerì originariamente che il film venisse girato in bianco e nero come un omaggio all’originale Hitchcockiano del 1960, ma alla Universal si opposero .

Dopo il completamento, la Universal sentì che il film aveva bisogno di un finale migliore, con un tocco in più, in modo che Perkins fu richiamato per rigirare la scena finale

Lo stuntman Kurt Paul impersonò la “Madre”, ad eccezione di quando alla fine effettivamente vediamo Perkins vestito come “Madre”(era la seconda volta che Perkins si vestì come la madre dal film originale). Ecco perché non si arriva a vedere il viso della mamma sullo schermo – il “suo” volto è volutamente sempre oscurato o nascosto nelle ombre.

La Universal pianificò l’uscita del film per il 14 febbraio 1986.

L’abito indossato dalla Madre nel film è lo stesso utilizzato in “Psycho IV”.

In un’intervista con la American Movie Classics appena prima della sua morte, Anthony Perkins ha ammesso che non era all’altezza del compito di dirigere questo film, sentendo essere la sua conoscenza tecnica troppo limitata.

Nel numero 57 della rivista Fangoria, lo sceneggiatore Charles Edward Pogue ha rivelato la trama del suo script originale. In questa versione, era Duane ad essere l’assassino ed era intenzionalmente venuto al Bates Motel perché era ossessionato da Norman. Maureen era una psicologa nevrotica che era venuta al motel come sostituta del dottor Raymond dal film precedente – Pogue aveva avuto l’intenzione di lanciare l’originale vittima Janet Leigh nel ruolo. La Universal respinse queste idee, sostenendo che Bates doveva essere l’assassino e che la Leigh sarebbe stata sbagliata per il film. Tuttavia, le azioni di Maureen sono rimaste praticamente invariate, il suo personaggio è stato semplicemente cambiato in una giovane suora.

Nella scena di nudo inferiore di Diana Scarwid è stata utilizzata la “Body Double” Brinke Stevens.

Proprio durante le riprese di questo film, a Perkins venne diagnosticata la sieropositività all”HIV, quando andò in una clinica per una visita medica di routine.

Perkins originariamente voleva usare una donna controfigura per la scena in cui Duane getta Red fuori dalla stanza del motel. Juliette Cummins convinse Perkins a non usare una controfigura e fece da sé quella scena.

Il cadavere di Patsy nel contenitore del ghiaccio, si trovava veramente nel ghiaccio. L’attrice Kathy Shea aveva la pelle oramai blu e non era per il make-up, ma era davvero per il freddo patito durante le riprese di questa scena.

La giornalista Tracy Venable doveva originariamente essere più giovane. Tuttavia, quando Roberta Maxwell è stata lanciata nel personaggio, il personaggio è diventato più vecchio.

Quando riprese la scena in cui Norman sta colpendo Duke con la chitarra, Anthony Perkins ha effettivamente colpito Jeff Fahey così duramente che gli aprì la testa con un taglio che dovette essere richiuso con sei punti.

La famosa battuta di apertura “Dio non esiste!” è stata improvvisata sul set dall’attrice Diana Scarwid.

L’attrice Juliette Cummins venne quasi licenziata da Perkins dopo aver fatto una battuta involontaria sulla sua omosessualità.

Il film della saga di “Psycho” dal più basso incasso al botteghino con 14’481’606 di $ in tutto il mondo.

L’attrice Katt Shea ha ottenuto la parte di Patsy, perchè era stata sentita per come ha letto le sue battute di fronte ad un gruppo in attesa fuori dai provini.

Quando il film è andato in pre- produzione, Perkins ha chiesto che il regista di “Psycho II” Richard Franklin co- dirigesse il film con lui, ma Franklin rifiutò.

Il produttore Hilton A. Green ha detto di questo film che è il suo preferito almeno di tutti i sequel. Seppur gli è rimasta la sensazione che ci sia ancora troppa violenza grafica e nudità.

La principale ispirazione di Perkins per lo stile da imprimere a questo film è nata dal film “Blood Simple -Sangue facile“, diretto dai fratelli Coen. Prima che la produzione fosse iniziata egli ha anche preso l’intero cast e la troupe per la proiezione del suddetto film.

Nonostante questo sia stato il debutto alla regia di Perkins, il cast e la troupe hanno dichiarato che è davvero stato un piacere lavorare con lui per tutta la produzione.

Lo sceneggiatore Charles Edward Pogue sostiene che Perkins aveva così tante idee da scrivere per il film fuori dalla lavorazione che lo avrebbe spesso chiamato a tarda notte per raccontargliele.

Napoleone Wilson

Psycho 3 (Comotti’s version)

25 martedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in P, Recensioni di Davide Comotti, slasher, thriller

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anthony perkins, cinema, norman bates, psycho III, pycho 3, recensione, recensioni

Attenzione questa recensione potrebbe contenere spoiler sull’identità del killer. Prima di leggerla vi consiglio di vedervi il primo Psyco di Alfred Hitchcock per non rovinarvi la sorpresa finale. Fino ad allora l’assassino per voi sarà lei, Norma Bates. Buona lettura

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Prendiamo uno dei monumenti del thriller, Psycho (1960) di Alfred Hitchcok, e mescoliamolo alla moda degli slasher-movie americani inaugurati da Halloween e Venerdì 13. Nasce probabilmente così, dopo ben 23 anni, il sequel del classico di Hitch, con tanto di accurata ricostruzione della villa e del motel: Psycho 2 (1983) di Richard Franklin, un’eccezionale lezione di tecnica e suspense, un capolavoro bello almeno quanto l’originale (i puristi storceranno il naso), grazie anche a un immenso Anthony Perkins. La vicenda non è appiccicata a caso, ma inizia proprio dove finiva Psycho (o meglio, 22 anni dopo, quando Norman Bates esce dal carcere: distanza diegetica ed extra-diegetica corrispondono), e riprende i personaggi principali del film, non solo Bates, ma anche la perfida Lila Loomis (interpretata ancora da Vera Miles). Il film, a sorpresa, si rivelò un grande successo al botteghino, tant’è vero che tre anni dopo si decise di realizzare un terzo capitolo, Psycho 3 (1986), seguito a sua volta dal prequel Psycho 4 (1990): sempre con il grandioso Anthony Perkins, vero punto di forza della saga, in grado di dare origine a uno dei serial killer più inquietanti e controversi della storia del cinema.

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Psycho 3, diretto dallo stesso Perkins, inizia a sua volta dove finiva il precedente: Bates, vittima di un complotto per farlo impazzire (forse un’eco di certi thriller italiani?), finisce per diventare pazzo davvero, uccidendo la signora Spool (colei che dice di essere la sua vera madre) e tenendola con sé in casa. Dunque, tutto ricomincia da capo. Maureen Coyle (Diana Scarwid) è una suora che abbandona il convento e i voti dopo aver tentato il suicido e causato involontariamente la morte di una monaca. Vagando a piedi nel deserto, viene raccolta da Duane Duke (Jeff Fahey), un ambiguo cantante che cerca di violentarla. Riuscita a fuggire, le loro strade si incontrano di nuovo al Bates Motel: lei arriva per cercare ospitalità, mentre Duke vi ha nel frattempo trovato lavoro come assistente di Norman. L’assassino abita nell’austera villa insieme alla signora Spool impagliata e vive ancora uno sdoppiamento di personalità. Una giornalista, non convinta della guarigione di Bates, sta indagando perché lo ritiene responsabile della misteriosa scomparsa dell’anziana signora: ma nessuno, nemmeno lo sceriffo, vuole crederle. Egli sembra effettivamente guarito, addirittura si innamora di Maureen, ma in realtà ha ricominciato a uccidere vestito come sua madre. Due ragazze di passaggio, e poi lo stesso Duke, vengono assassinate, finché la giornalista riesce a smascherarlo condannandolo a una nuova, e forse definitiva, reclusione.

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Psycho 3 presenta una regia e una sceneggiatura un po’ più “rozze” rispetto al precedente (del resto, mantenere quei livelli stilistici era difficile), ma è comunque un ottimo prodotto e un ottimo sequel, con abbondanza di sangue e suspense. Fondamentalmente, è un film diverso dal precedente: mentre Psycho 2 era innanzitutto un “giallo”, con tanto di complotti e assassino da scoprire, Psycho 3 è uno slasher (anche se molto sui generis), in cui è palese fin da subito che è ancora Bates a uccidere. Questo non toglie però nulla al suo valore: la trama è ben congegnata, gli omicidi (anche se pochi) sono ben coreografati, le sequenze suggestive e angoscianti non mancano, e il serial killer è descritto con delle sfaccettature psicologiche per nulla scontate.

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A livello stilistico, se la fotografia del secondo aveva in certi momenti un sapore quasi “baviano” (in particolare nei campi lunghi della villa), qui invece (diretta da Bruce Surtees) è dominata da una tonalità “rosso saturo” (forse come corrispettivo del sangue e simbolo della follia di Perkins): il rosso prevale ossessivamente in quasi tutti gli interni, creando in certi momenti un’atmosfera tipicamente anni Ottanta (complici anche alcuni nudi femminili e le svampite ragazze presenti nel motel). Degni di nota sono poi gli squarci blu creati dai fulmini, e le inquadrature nella tetra magione che oscillano fra vari colori. Buone anche le musiche, firmate da Carter Burwell, che contribuiscono all’atmosfera angosciante soprattutto quando la melodia vibrante e stridula è accompagnata da vocalizzi di sottofondo (vedasi il tentato omicidio della Scarwid in bagno).

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Dal punto di vista più squisitamente orrorifico, i delitti non sono numerosi ma realizzati con gusto: dalla ragazza uccisa a coltellate nella cabina telefonica, a quella sgozzata in bagno (sempre con una buona dose di sangue, in stile slasher anni Ottanta), fino a Jeff Fahey stordito, messo in un sacco di plastica e poi affogato. Una nota a parte merita poi la morte (involontaria) di Maureen, che si infilza su una statua precipitando dalle scale (omaggio all’omicidio di Martin Balsam in Psycho, ripreso anche in Psycho 2 con l’uccisione di Robert Loggia). A proposito di omaggi, probabilmente anche l’inizio di Psycho 3 vuole citare Hitchcock: quando Diana Scarwid è sul cornicione del monastero e una suona muore precipitando nella tromba delle scale, il regista Perkins vuole forse omaggiare il finale de La donna che visse due volte. Varie sono le sequenze inquietanti che rivelano una grande cura stilistica. Notevole, per esempio, è la scena in cui Bates, vestito da donna, entra nel bagno per uccidere Maureen (ulteriore citazione di Psycho), ma la trova con le vene tagliate immersa in una vasca piena di sangue e la salva dal suicidio (con tanto di momento onirico-allucinatorio quando la donna crede di vedere, invece dell’assassino con il coltello, la Madonna con un crocifisso). Ma anche, nel finale: l’inquadratura del volto folle di Perkins con la parrucca su uno sfondo rossastro, mentre parla con la voce della madre; e la scoperta del corpo impagliato dell’anziana signora Spool. Fino all’ultima, agghiacciante, inquadratura, in cui Perkins, arrestato dalla polizia, alza il suo sguardo psicopatico verso lo spettatore (un po’ come nel film di Hitchcock) e accarezza di nascosto una mano strappata al cadavere della vecchia.

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Psycho 3 non è solo un accostamento di momenti orrorifici, ma un thriller dotato di una buona sceneggiatura (scritta, come il soggetto, da Charles Edward Pogue) che si snoda in un ottimo intreccio, rivelando anche nuovi fatti sul passato di Norman Bates. Che è poi il primo punto di forza di tutta la saga: il magnifico Anthony Perkins, col suo volto ambiguo sempre in bilico fra psicopatico e persona normale, ha trovato in Bates il “ruolo della vita”, quello che lo ha reso celebre al grande pubblico (nonostante abbia offerto anche ottime interpretazioni al di fuori di questa). In Psycho 3 (come anche negli altri capitoli della saga), Norman Bates è descritto con molteplici sfaccettature: pazzo e sanguinario, sicuramente, ma anche fragile e capace (forse) di amare, segnato da traumi infantili che ne hanno condizionato per sempre la vita; se in Psycho 2 non fosse nato il complotto per farlo impazzire, chissà, magari avrebbe potuto continuare una vita relativamente “normale”.

Davide Comotti

Psycho 3

Anno: 1986

Regia: Anthony Perkins

Cast: Anthony Perkins, Diana Scarwid, Jeff Fahey, Roberta Maxwell

Durata: 90 min.

VHS: CIC VIDEO (VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI)

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De Sade 2000

20 giovedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in D, drammatici, E, erotici, Recensioni di Daniele "Danji Hiiragi" Bernalda, starlette

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cinema, de sade, eugenie, jesus franco, paul muller, recensione, recensioni, soledad miranda

Si è portati ad un doveroso e religioso senso di rispetto nell’apprestarsi a parlare di Soledad Miranda, della sua figura, della sua enigmatica e tenebrosa sensualità, del suo seppure breve sodalizio artistico con Jesus Franco… di quello che è stata Solidad, e di quello che sarebbe potuta essere se, il 18 Agosto 1970, un tragico incidente sull’autostrada per Lisbona non l’avesse uccisa all’età di 27 anni.
E’ strano: il pensare che questa esile ragazza spagnola abbia lasciato questo mondo 43 anni fa mi riempie di una tristezza fin troppo malinconica e mi stringe il cuore. Ma per capire questo stato d’animo è forse necessario sondare il personaggio di Soledad Miranda nelle opere del regista spagnolo. Sì, perché di personaggio si parla. E il personaggio, con le ovvie variazioni di sfumature da un copione all’altro, è sempre quello: affascinante ed oscuro Angelo della Morte. Tale l’ha resa il sodalizio con Jesus Franco: figura ammaliante, sospesa tra Eros e Thanatos.

Eugenie de Sade (Jess Franco, 1970)

Probabilmente la sua vita aveva iniziato a spegnersi sul set de “Il Conte Dracula” (1969) dello stesso Franco (si guardi a proposito il suggestivo documentario in stile espressionista “Cuadecuc, Vampir” di Pere Portabella). E’ da questo momento che inizia il cambiamento. Franco, come un infernale Caronte, traghetta l’anima della fanciulla verso l’annichilimento, verso il morso letale del vampiro. Il bacio del Conte Dracula Christopher Lee è il segno dalla fatale rottura.
“Il Conte Dracula” (pellicola nella quale Soledad interpreta il ruolo di Lucy Westerna) segna lo spartiacque di quello che Soledad fu fino ad allora e quello che diventò. Come se il cinematografico bacio del vampiro l’avesse marchiata e maledetta. Per sempre, irrimediabilmente.
Il suo tragico destino pareva già essere visibile. Si poteva iniziare ad intravedere. Non poteva che morire, Soledad Miranda, morire giovane. Sembrava quasi una cosa logica, inevitabile. I suoi ultimi lavori lo preannunciavano, la sua stessa figura impressa sulla pellicola lo preannunciava. I ruoli mortali e disperati da lei interpretati sono stati il suo lasciapassare per l’aldilà…

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Qui, sulle pagine di MalastranaVHS, l’amico Andrea Lanza ha espresso il suo personale omaggio per la Soledad de “Il Conte Dracula”, per la Soledad di “Vampyros Lesbos” e per Soledad di “She Killed in Ecstasy”. Io voglio aggiungere un altro tassello e portarLe anche il mio omaggio, prendendo in esame “Eugenie”.

Dopo il suo “Conte Dracula”, Franco si butta nel cinema indipendente a basso costo e tra il 1969 e il 1970 scrive e dirige, prima per la Prodif Ets. di Vaduz e poi per la CCC Filmkunst/Telecine di Berlino, un totale di 6 pellicole di stampo thriller-horror con forti contaminazioni e sperimentazioni erotiche, aventi sempre Soledad Miranda nei crediti, ma presente con lo pseudonimo di Susann Korda (o Susan Korday) e quasi sempre nel ruolo di protagonista: “Sex Charade” (attualmente di difficilissima reperibilità), Les Cauchemars Naissent la Nuit (conosciuto anche con il titolo inglese di “Nightamare Comes at Night”) “Eugenie” (in Italia “De Sade 2000”), “Vampyros Lesbos”, “She Killed in Ecstasy” e “The Devil Came from Akasava” (quest’ultimo più che altro una commedia di spionaggio).

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Girato nell’Inverno ’69-‘70, e liberamente adattato da Franco dal racconto ‘Eugenie de Franval’ del Marchese de Sade, “Eugenie” è una confessione.

Stretta alla gola e senso di oppressione: le primissime immagini del film mostrano Eugenie (la stessa Miranda) sul letto di morte che racconta e confessa allo scrittore Attila Tunner (interpretato dallo stesso Franco) la sua tragica storia: figliastra dello scrittore Albert Radeck (qui interpretato da un perfetto e glaciale Paul Muller), intraprenderà col patrigno una perversa discesa nel baratro dell’incesto e dei delitti a sfondo sessuale. Solo l’incontro con il musicista Paul (Andrè Morales) tenderà ad allontanare Eugenie dalle perversioni iniziate col padre… ma questo suo “tradimento” nei confronti della figura paterna le costerà cara la vita.
La confessione è finita… “Mi uccida…”, chiede una ormai esamine Eugenie a Tunner, ma di ciò non ce ne sarà bisogno: la morte è ormai giunta silenziosa e Tunner-Franco non può fare altro che chiudere delicatamente le palpebre della ragazza.

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Un alito mortifero pervade l’intera pellicola: morbosità, cinismo e disperazione la fanno da padrone. E’ nella cornice di una gelida e plumbea Berlino che avviene il flashback dei ricordi di Eugenie ed è nella sua calda e accogliente casa borghese alla periferia della città che il suo intero essere verrà travolto dalle malsane passioni del patrigno. E’ la devozione nei confronti di questa figura, sfociata in venerazione, che travolgeranno Eugenie nella spirale di follia. Ma la fragilità è lì, latente e pronta ad uscire da questo piccolo e gracile corpo di donna…
Con la sua struggente interpretazione, è in questo film che Soledad tocca le vette più alte della sua seppur breve carriera: fragilità adolescenziale, timidezza, acerbe pulsioni sessuali e omicide, prepotente carica sensuale, magnetismo mortale, tutto si fonde in questa sua bruciante interpretazione.
Mai fu così bella e brava Solidad.
Neppure nel successivo “Vampyros Lesbos” Soledad apparirà così pallida, così erotica, così estraniata e così oscura. Non si può far altro che rimanere stregati dalla sua figura presente sullo schermo.

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Risulta inevitabile collegare il trittico Vita, Amore e Morte nel personaggio di Soledad Miranda/Susann Korda.
Ne “ Il Conte Dracula” è vittima del Vampiro per antonomasia, il cui bacio la renderà una regina della notte, ma il paletto di frassino incombe, le spaccherà il cuore.
In questo “Eugenie” è appunto una giovane donna che si affaccia ad una vita turbinante di peccato e perdizione. Assaggerà piaceri estremi e proibiti, ma l’ambiguità di  una morte violenta è lì ad attenderla, inevitabile.
In “Vampyros Lesbos” è l’affascinante Contessa Nadine, la vampira protagonista, (lesbica ovviamente) nelle cui delicate sembianze la silenziosa e magnetica aura erotica e la carnale passionalità si fondono con aspetti di profonda solitudine e caducità. La fine della Contessa Nadine arriverà inesorabile.
In “She Killed in Ecstasy” Soledad è come se morisse nel momento in cui muore il suo compagno. Agirà come freddo automa, fantasma mosso dall’unico scopo di vendicare la morte del suo uomo. Ma a vendetta compiuta cosa può rimanere se non la morte e l’autodistruzione? E così, nel film, Soledad morirà cadendo in un precipizio sulla sua autovettura, quasi come un segnale rivelatore e profetico di quello che le sarebbe successo la fatale mattina del 18 Agosto 1970.

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Dopo la morte di Miranda, il regista troverà nella giovane Lina Romay la sua nuova dea che lo accompagnerà nella carriera artistica e che diventerà anche la sua compagna di vita.

02/04/2013: Jesus Franco muore a Malaga all’età di 82 anni… chissà se, nel regno delle ombre, ha ora potuto ritrovare la sua prima, vera ed intramontabile musa.

Soledad non è mai invecchiata e mai invecchierà. E forse vivrà per sempre, giovane, eterea, misteriosa, indimenticabile, sul nastro di celluloide. Fino a quando il mondo esisterà, fino a quando la gente avrà memoria.

Immutata, Soledad ha vinto: ha sconfitto il Tempo distruggitore.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

De Sade 2000

Titolo originale: Eugenie De Sade

Conosciuto anche con i titoli: Eugenie De Franval, Eugenie Sex Happening

Produzione: Liechtenstein/ Francia, 1970

Regia: Jesus Franco

Cast: Soledad Miranda (Susann Korda), Paul Muller, Andres Monales, Greta Schmidt, Jess Franco, Alice Arno, Karl Heinz Mannchen

Reperibilità: DVD (edizioni Mosaico Media, tiratura limitata in 999 copie)

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Addio Tony

20 giovedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in il grande freddo, vogliamo ricordarlo così

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grand freddo, james gandolfini, tony soprano

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James Joseph Gandolfini Jr. (Westwood, 18 settembre 1961 – Roma, 19 giugno 2013)

Psycho 2 (Napoleone’s version)

19 mercoledì Giu 2013

Posted by andreaklanza in capolavori, P, Recensioni di Napoleone Wilson, slasher

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anthony perkins, cinema, meg tilly, psycho, recensione, recensioni, recensioni alternative, seguiti, seguiti folli

Attenzione questa recensione potrebbe contenere spoiler sull’identità del killer. Prima di leggerla vi consiglio di vedervi il primo Psyco di Alfred Hitchcock per non rovinarvi la sorpresa finale. Fino ad allora l’assassino per voi sarà lei, Norma Bates. Buona lettura

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« E’ 22 anni dopo, e Norman Bates è finalmente a casa. »
« Norman Bates è tornato. Tornare a casa è stato un grosso sbaglio! »
« Proprio quando si pensava che fosse sicuro di tornare a fare la doccia! »
« E’ 22 anni dopo e Norman Bates sta tornando a casa. »
« Il Bates Motel è tornato in attività! »

Frasi di lancio originali del film

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“Psycho” è notoriamente stato uno dei migliori film di Alfred Hitchcock ed è giustamente considerato uno dei massimi capolavoro non solo del genere propriamente detto “psycho-thriller” che proprio lui forgiò e determinò, ma un capolavoro assoluto del cinema tutto, e certo non solo per gli anni sessanta. Nel corso degli anni, soprattutto fra la fine dei settanta, i primi ottanta, e decisivamente dopo la morte di Sir Alfred (29/4/1980), si parlava di realizzare un -impossibile- sequel della Magnus Opera del Maestro. Quando “Psycho II” venne annunciato e poi globalmente distribuito, si trattò di un vero avvenimento per la stagione cinematografica dell’anno 1983. Lo vidi allora per la prima volta, in sala, e l’attesa o anche solo la curiosità per il tanto annunciato progetto, seppur nello scetticismo generale, se non aperta ostilità dei molti alla sua realizzazione, era tanta, enorme. Da allora ne vennero realizzati altri due, e per la verità e fortunatamente, senza neanche troppi punti bassi.

“Psycho II” mi colpì molto fin dalla prima visione per diversi elementi interessanti che lo compongono. A dir la verità, “Psycho III”, diretto nel 1986 dallo stesso Anthony Perkins il quale riuscì a farsi affidare dalla Universal la regia, dopo l’ottimo riscontro di pubblico del II, è il migliore dei sequel. Comunque, in una purtroppo lontanissima sera allora ancora in compagnia, dell’autunno 1983, andai a vedere il film di Richard Franklin, e ne rimasi piacevolmente sorpreso. Vi parlerò dunque di alcune cose a suo riguardo, che saranno altrimenti anche dei pressochè inevitabili spoiler per “Psycho”.

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Ventidue anni dopo gli eventi accaduti al Motel Bates che coinvolsero Marion Crane/Janet Leigh, Norman Bates/Anthony Perkins è stato rilasciato in libertà vigilata dal manicomio criminale. Lila Loomis/Vera Miles come nel primo film, la sorella di Marion, non rimane certo felice che Norman venga rimesso in libertà. Pensando invece che debba rimanere in carcere per il resto della sua vita. Norman decide dunque di tornare a casa dove aveva vissuto con la madre, contro il parere del suo medico. Norman è infatti appena tornato a casa quando gli pare già di udire la voce di sua madre, e trovando anche un suo biglietto scritto.

Il Dr. Raymond/Robert Loggia, lo psichiatra di Norman, lo predispone intanto per il suo ritorno alla vita normale, trovandogli un lavoro come aiutante di cucina in un ristorante locale. Mary/Meg Tilly, una cameriera alla medesima tavola calda, gli racconta di aver avuto problemi con il suo fidanzato, e di ritrovarsi senza un posto dove stare. Norman gli offre dunque -e chi non lo farebbe avendone la possibilità, alla Meg Tilly del 1983- una camera nel suo motel e poi nella propria casa, una volta che ha visto quello che stava succedendo nel motel ad opera del viscido e laido portiere, Warren Toomey, interpretato da Dennis Franz e chi sennò, il quale gestisce adesso l’attività e la utilizza come base di varie attività criminali. Una volta capito che Norman ha licenziato Warren, il quale molestava anche Mary, Norman e Mary sviluppano un’amicizia, anche se ella pare nascondergli qualcosa. Norman ha intanto continuato a trovare le note che egli ritiene siano vergate da sua madre. Ha anche pensato di vederla di nuovo in casa.

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“Psycho” è stato e sempre rimarrà un film enormemente popolare e uno dei migliori thriller di mistery e suspence mai realizzati. I vari sequel non furono realizzati quando originariamente dovevano, cioè negli anni sessanta-settanta. Le cose sono cambiate nel 1982-’83, quando “Psycho II”, il primo dei tre sequel di “Psycho”, è infine stato concretizzato. Dopo davvero tanto tempo -22 anni- la decisione di fare un altro “Psycho” fu ovviamente e soprattutto, meramente economica. In realtà non ve ne era alcun bisogno, anche se se sarebbe stato interessante vedere Norman di nuovo e scoprire che cosa gli era successo nel corso degli anni. Richard Franklin, giovane assistente di Sir Alfred sul set di “Topaz” (1969) e studioso di “Hitch”, in seguito uno dei numi tutelari della amataOzploitation e autore di grandi e celebrati successi di “genere” aussie come “Patrick” (1978) e “Road games” (1981) non poteva certo fare un film all’altezza dell’originale, ma un buon sequel sì. La trama si rivelò infatti ben in sintonia con il tono originale e non sembrò essere solamente una scusa per avere Norman Bates in un altro film.

“Psycho II” inizia in bianco e nero e ci mostra la famosissima sequenza dell’omicidio di Marion dal primo film. Fare questo ha contribuito a rafforzare il collegamento tra i due film dai tanti anni che erano trascorsi da quando l’originale era stato distribuito. Guardando prima il II ci si rovinerebbe ovviamente molte cose relative al primo film. Diversi eventi dell’opera di Hitchcock vengono citati più di una volta durante il film di Franklin, il quale ha una sua trama, ma molto collegata a quello che era successo nel primo film. Se qualcuno non lo avesse visto prima, potrebbe avere qualche difficoltà a seguire un paio di cose e capire perché certe altre sono state fatte. Alcuni eventi in particolare, non avrebbero decisamnete senso senza aver prima visto l’originale.
Qualcosa di strano stava succedendo nella vita di Norman, che ha aggiunto quel po’ di mistero e suspense al film. Ho sempre pensato che si è riusciti a creare una trama interessante, anche se ovviamente non è pensabile che vi potesse essere ricreata la tesissima suspense e l’alone di mistero e morbosa psicopatologia, inquietudine, come c’era nell’originale.

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Come l’originale però,”Psycho II” riesce ad infondere un’atmosfera inquietante almeno in diverse scene, soprattutto quando la casa ci è stata mostrata in una certa luce. L’impostazione e la musica utilizzata hanno aiutato a costruire la tensione per tutto il film. La musica nientemeno che di Jerry Goldsmith, è stata utilizzata in alcune scene ed era molto inquietante senza essere invadente, come succede invece in alcuni altri film della medesima atmosfera. Non è altrimenti pensabile che il film infondesse paura e includesse alcuni momenti di puro spavento, senza che violenza venisse utilizzata in momenti diversi, e senza che fosse troppo grafica, almeno per gli standard degli slasher anni ’80, ma certo più vistosa ed esibita che nell’originale, non avendo all’epoca Hitchcock potuto più di quanto già non avesse fatto, pigiare l’accelleratore del mostrabile, per i tempi. Bellissima al solito, la fotografia curata dal Direttore della Fotografia “carpenteriano” per eccellenza, ovvero Dean Cundey, che ha curato l’immagine e le luci di -quasi- tutti i più grandi capolavori del nostro John.

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La versione cinematografica e distribuita in dvd Universal R1 “Triple Feature”con gli altri due sequel, è stata classificata R-Restricted, ovvero vietata ai minori di 18 anni. Esiste anche una rara versione che è stata modificata per la televisione americana. E dato che il film è stato inizialmente valutato con una R, è facile indovinare che ci fosse più violenza in alcune scene, insieme a linguaggio ardita e nudità. Questo non è comunque certo un film per bambini.

Norman Bates e’ stato dunque rilasciato in libertà vigilata e per un periodo di prova dall’istituto psichiatrico giudiziario nel quale ha trascorso 22 anni, ma sembra avere ancora qualche problema. Il suo insistere sul ritorno a casa non ha di certo aiutato il suo stato mentale. Ha sempre sentito la voce di sua madre più a lungo è stato in quella casa. Ma egli sembra adesso davvero come se fosse cambiato. Anthony Perkins torna a interpretare dopo così tanti anni Norman, il ruolo che in pratica lo ha reso famoso più di ogni altro e imperituramente, ma che ne ha anche e in tutti i sensi imprigionato la carriera e serrato per sempre la fama. Anche in “Psycho II” come nei successivi, egli fu sempre molto bravo nel personaggio della sua vita . E’ difatti impossibile pensare a nessun altro nella parte di Norman Bates.

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Lila impersonata da Vera Miles è diventata un personaggio importante nel film originale quando ha iniziato a cercare la sorella scomparsa Marion, assieme all’amante dell’ultima Sam Loomis/John Gavin, che non appare in questo film ma che si saprà essersi poi sposato con Lila ed essere poi morto di cancro. Lilatorna nel II, anche se in una parte più piccola. Furiosa e ossessionata dal vendicarsi,ora che Norman e’ stato rilasciato. Lei lo vuole soltanto di nuovo internato e che non possa più uscire per tutto il resto della sua vita. Vera Milescome detto era già Lila nel film originale. Avere la Miles e Perkins che ritornano ai ruoli che avevano interpretato prima nel 1960, ha certamente aiutato a collegare i due film, soprattutto perché tanto tempo era passato tra loro.
Mary e Norman si incontrano alla tavola calda dove egli ha avuto un posto di lavoro in cucina. Mary era molto più giovane di lui e stava attraversando un momento difficile con il suo fidanzato, o almeno così diceva. Ha condiviso molte cose con Norman, quando a malapena si conoscevano, che conducono Norman a offrirgli una camera nel suo motel. Passano speso un sacco di tempo insieme, e beati loro, soprattutto una volta cheMary si trasferisce nella casa. Norman sembra sentire un senso di protezione nei suoi confronti, a volte. Mary non è invece così vulnerabile come ella ci sembrava a prima vista e detiene una sorta di segreto nei confronti di Norman. Meg Tilly quasi esordiente, e poco prima di interpretare la fidanzata del morto Kevin Costner che non si vedrà mai- ne “Il Grande Freddo”(The Big Chill)(1983)di Lawrence Kasdan, lavora bene nella sua parte.

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Il Dr. Raymond, medico psichiatra di Norman, è interpretato dal grande Robert Loggia che penso non abbisogni proprio di alcuna presentazione, e nello stesso anno in cui sempre per la Universal, avrebbe interpretato Lopez , in “Scarface”, il capolavoro depalmiano. In “Psycho II” egli avrebbe avuto un paio di scene per lui di ordinaria amministrazione, prima di fare una fine molto simile a quella famosissima di Roy Arbogast/Martin Balsam, nel film di “Hitch”. Warren Toomey, l’uomo ombra che gestiva l’hotel quando Norman torna dall’ospedale, anche se solo in poche scene, è come detto interpretato da un altro”depalmiano”, il davvero sempre bravissimo Dennis Franz. Dal momento che le loro parti furono così piccole, Robert Loggia e Dennis Franz non ebbero certo molto da fare.
In definitiva,”Psycho II” non fu ovviamente un capolavoro come “Psycho” e nessun altro film avrebbe potuto esserlo, ma è riuscito ad essere un buon sequel e continuò la storia di Norman Bates in un modo che avesse senso. Io credo che il migliore dei tre sequel che sono stati realizzati sia il terzo, ma per molte persone a cui ovviamente piace anche l’originale, il sequel che preferiscono è questo.

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“Sonata per pianoforte op. 27, No. 2 ”Moonlight/Al chiar di luna’”
(Non accreditata)
Scritta da Ludwig Van Beethoven
Eseguita al piano da Anthony Perkins

“Sonata per pianoforte op. 13 ‘Patetica’”
(Non accreditata)
Scritta da Ludwig Van Beethoven
Interpretata e fischiettata da Anthony Perkins

La versione televisiva comprende vari take extra, tra cui uno quando Norman è sotto il portico della casa e saluta il dottor Raymond che se ne sta andando.

Scene di sangue sono stati accorciate nella versione originale cinematografica. Tuttavia, l’attuale dvd R1 include tutti i momenti gore così come alcune scene un po’ più lunghe.

Non basato sul libro con lo stesso titolo.

Il set originale della casa è stato riutilizzato mentre il motel è stato ricostruito.

Norman si astiene dal dare a Mary la chiave per la Camera N° 1. La Camera N° 1 era il luogo della scena dell’infame assassinio nella doccia in “Psycho”.

A Meg Tilly non era mai stato permesso di guardare qualsiasi tipo di film non per bambini in televisione, e quindi non aveva mai visto l’originale “Psycho” e non era a conoscenza del suo significato. Non capiva perché la stampa stava dando tutta l’attenzione adAnthony Perkins per il ritorno al suo ruolo in questo film, e un giorno sul set Perkins la sentì dire: “Perché Tony ottiene tutta l’attenzione?” Perkins ne rimase “sconvolto”, non parlò più con lei durante le riprese, e raccomandò che venisse sostituita, anche se la metà delle sue scene erano già state riprese.

Il nome del personaggio di Meg Tilly, Mary Samuels, è un riferimento a quello originale di”Psycho”. In quel film Marion Crane firma il suo nome nel registro del Bates Motel come Marie Samuels. Il libro su cui si basa il film ha avuto il personaggio di Marion come “Mary”.

Quando Mary e Norman entrano per la prima volta nella stanza della madre di Norman, prima che lei accenda le luci, si può vedere la silhouette di Alfred Hitchcock sulla parete verso l’estrema destra.

Il riflesso del giovane Norman Bates nella maniglia della porta, quando ricorda di nuovo l’avvelenamento di sua madre è Oz Perkins, il figlio di Anthony Perkins.

La città di Fairvale dove Lila è tallonata dal dottor Raymond era la stessa città di”Gremlins” e “Ritorno al futuro”. Essa si trova(va) all’interno degli Universal Studios(California).

Nella sceneggiatura realizzata vi era una scena estesa nell’ufficio dello sceriffo, alla fine del film rivelava che Mary era sopravvissuta allo sparo e veniva detto che ella “se la sarebbe cavata bene”, ma oramai impazzita.

Il soffione della doccia originale utilizzato in “Psycho” doveva essere riutilizzato in questo film. Tuttavia, poco prima che iniziassero le riprese, qualcuno lo ha rubato.

A John Williams era stato originariamente proposto di comporre le musiche per il film.

Lee Garlington che interpreta Myrna ha anche scritto i dialoghi della madre.

La pellicola era stata originariamente concepita come un film per la TV ma quando Anthony Perkins ha deciso di riprendere il suo ruolo di Norman Bates, il film è diventato una opera cinematografica.

Il produttore Hilton A.Green aveva originariamente suggerito Jamie Lee Curtis per interpretare Mary Loomis a causa del suo essere la figlia di Janet Leigh e avere avuto successo con “Halloween: La Notte delle streghe”.

Il regista Richard Franklin era uno studente di Hitchcock e anche lo visitò sul set di”Topaz”.

Il modo in cui Norman dice “posate” nella scena in cucina è stato concepito nel corso di una lettura delle tabelle dello script. Anthony Perkins aveva accidentalmente balbettato quando ha detto la battuta e al regista Richard Franklin è piaciuto molto e gli ha detto di dirla in quel modo nel film .

Il film è stato girato in 32 giorni.

Richard Franklin venne scelto per dirigere il film a causa di un film che aveva diretto in Australia chiamato “Roadgames”, il quale venne considerato come essere stato influenzato da “La Finestra sul cortile”, uno dei film più famosi di Hitchcock.

Il compositore Jerry Goldsmith aveva scritto un tema musicale per Norman Bates che il regista Franklin respinse. Il tema è poi finito per essere utilizzato in “Ai Confini della realtà -Il Film”.

Quando il film è stato distribuito, molti critici recensirono negativamente che la scena della doccia dal primo film fosse stata utilizzata come apertura.

Nel 1960, “Psycho” incassò oltre 32 milioni di dollari in tutto il mondo di rendimento al botteghino, come invece con questo film l’incasso fu di più di 34 milioni di dollari.

Allo sceneggiatore Tom Holland ci vollero sei mesi per terminare la sceneggiatura.

La scena finale di Norman che colpisce la signora Spool con la pala non è stata comunicata al cast e alla troupe fino all’ultimo giorno di riprese. Tutti gli script utilizzati durante le riprese si erano conclusi con un messaggio che diceva: “La scena finale sarà distribuita al cast e alla troupe l’ultimo giorno di riprese”. Le uniche persone che conoscevano il finale erano il regista Richard Franklin e lo sceneggiatore Tom Holland.

La scena nella camera da letto l’infanzia di Norman dove Mary lo conforta sul letto è stata aggiunta dallo sceneggiatore Tom Holland su richiesta di Anthony Perkins, il quale sentiva che il suo personaggio aveva bisogno di un momento commovente con il personaggio di Mary Loomis.

L’ultima e iconica inquadratura del film con Norman in piedi di fronte alla casa è stata usata come una cartolina di Natale per i diversi membri della troupe. Quando la Universal presentò il concept art per il manifesto da un foglio del film, il regista Franklin non ne era rimasto soddisfatto. E’ stato il redattore pubblicitario Andrew London che gli si avvicinò con l’idea di utilizzare la foto della cartolina di Natale come la locandina del film e che anche suggerì il famoso slogan.

Ad Anthony Perkins venne data una cassetta del tema dei titoli di testa del film dal compositore Goldsmith. La musica avrebbe portato Perkins alle lacrime.

Nella sceneggiatura originale c’era un dialogo tra Mary e il Dr. Raymond quando egli è nel suo studio di psichiatra, che però è stato tagliato.

Lo Sceriffo Hunt era originariamente chiamato Sceriffo Chambers e il dottor Raymondera stato originariamente chiamato come il dottor William Richmond nello script. Erano tutti e due i nomi dei personaggi del film originale ma i suddetti nomi vennero cambiati all’ultimo minuto.

Lo scrittore Robert Bloch aveva ha pubblicato il romanzo “Psycho II” nel 1982. La trama del libro è molto diversa da quella del film. Nel romanzo Norman Bates riesce a fuggire dal manicomio e viaggia verso Hollywood per fermare la produzione di un film basato sulla sua vita. Quando la Universal sconvolse la trama del film rispetto al libro, virandolo maggiormente verso l’horror, Bloch pretese che venisse rimosso il suo nome dallo sviluppo del sequel del 1983.

Cameo
Tom Holland : Lo sceneggiatore impersona il Vice Sceriffo Norris.

Napoleone Wilson

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Psycho 2 (Lanza’s version)

19 mercoledì Giu 2013

Posted by andreaklanza in capolavori, drammatici, P, Recensioni di Andrea Lanza, slasher

≈ 6 commenti

Tag

alfred hitchcock, anthony perkins, cinema, meg tilly, psycho, recensione, richard franklin, seguiti, seguiti folli, vera miles

Attenzione questa recensione potrebbe contenere spoiler sull’identità del killer. Prima di leggerla vi consiglio di vedervi il primo Psyco di Alfred Hitchcock per non rovinarvi la sorpresa finale. Fino ad allora l’assassino per voi sarà lei, Norma Bates. Buona lettura

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Riprendere le fila di un capolavoro, soprattutto se si parla dello Psyco di Alfred Hitchcock, ha qualcosa di così sottilmente masochista da assomigliare al suicidio kamikazen. Ovvio che ci si attiri così la folta schiera dei fan, dei vari “Che schifo”, “Che vergogna” e giù di pomodori marci perchè niente e nessuno sarà come il passato. Eppure a 22 anni dal primo (inimitabile) film quest’operazione non riuscirà male, anzi sarà un grosso successo commerciale tanto che si apriranno le porte (ormai scricchiolanti) del Bates Motel per ben 2 seguiti e un pilot tv, purtroppo non così fortunati ad incassi come questo. Quello che colpisce in Psycho 2 (nella titolazione italiana è tornata l’h) è l’amore del regista australiano Richard Franklin per la materia trattata e il suo ammirevole tentativo di essere il più aderente possibile al modello senza farne comunque una carta carbone. Ormai tutti sappiamo, è patrimonio culturale dell’umanità, l’identità dell’assassino del Bates Motel quindi rigirarne il remake camuffato da seguito non avrebbe avuto senso: ecco quindi che nel secondo capitolo ci si spoglia del trucchetto della scoperta del probabile killer e ci si concentra sul vero motore della vicenda, su Norman.

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Dal suo canto l’invecchiato Anthony Perkins regala una prova d’attore eccezionale con un Bates ancora più fragile, insicuro e sempre più spinto alla follia dagli eventi narrati. In Psycho 2 l’intreccio è pieno di colpi di scena, di ribaltoni che tengono alta la tensione, di più finali presentati a scatole cinesi, di scene dal puro taglio hitchcockiano che molte volte virano nello slasher alla Venerdì 13. A compiere il piccolo miracolo è un regista che si è costruito tra la fine anni 70 e l’inizio degli 80 la nomea di Hitchcock australiano tanto da avere in curriculum una sorta di remake di La finestra sul cortile, Roadgames, girato però nell’inedito scenario di un’autostrada frequentata da camionisti e avvenenti autostoppiste.

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La regia di Franklin è, fin dagli esordi, nella tv e nel porno, eccezionale, ricca di spunti visivi notevoli e per certi versi paragonabile come potenza alla rivoluzione in capo thriller di un altro amante della materia, quel Brian De Palma che riscriverà in chiave sessuale l’universo hitchcockiano in capolavori come Omicidio a luci rosse. A sublimare il tutto ci pensa con estro un giovane sceneggiatore, Tom Holland, che di lì a poco avrebbe esordito alla regia con un capolavoro, Ammazzavampiri, e che era principalmente conosciuto in quegli anni per aver scritto un B movie dagli spunti interessanti, The Beast Within di Philippe Mora. Non viene coinvolto nell’operazione lo scrittore Robert Bloch, autore del romanzo ispiratore, che si vendicherà scrivendo uno Psycho 2 letterario dove Norman Bates fa fuori registi e sceneggiatori di questo seguito cinematografico.

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Diciamo pure che questo film non convinse comunque i puristi coinvolti, in primis Anthony Perkins, che nel girare il terzo capitolo si ripromise di non (s)cadere nell’eccessiva esibizione degli omicidi ma di essere il più classico possibile. Cosa che comunque non avvenne anche se interessante era l’idea di uno Psycho moderno girato in bianco e nero. L’ombra di Hitchcock è comunque palpabile in questo capitolo, anche senza il giochetto di proiettare l’ombra del regista nella stanza della madre di Bates, e non si eccede mai in sterzate inutilmente o sadicamente violente pur con una ferocissima coltellata in bocca ad un personaggio cardine della vicenda. L’unica scena che probabilmente è figlia dello slasher alla Venerdì 13 è la morte di un ragazzo intento a pomiciare con la fidanzatina nelle cantine del Motel, ma impreziosisce la natura ibrida di un’opera sempre in bilico tra classicismo e modernità, tra omaggio e rivoluzione. Interessante poi come è descritta la madre di Bates, in questo caso una figura quasi soprannaturale e ultraterrena, tanto che per qualche momento si può pensare stavolta di essere davanti ad un horror a tutto tondo. Se mal sfruttato dalla sceneggiatura è il personaggio interpretato da Vera Miles, già presente nel primo capitolo, sorella della prima vittima di Norman, lo stesso non si può dire per il ruolo complesso rivestito dalla bellissima Meg Tilly. Il suo personaggio, dalle molteplici sfacettature, riesce a convincere ed essere una tra le più forti figure femminili di tutta la serie, fiera di una sensualità da porta accanto, quasi materna, e in forte contrapposizione con l’austera severità dell’altra donna, la madre di Norman, e quindi la sua libido repressa. Psycho 2 resta uno dei più ammirevoli tentativi di proseguire con estro un’opera intoccabile, cosa più unica che rara e che ha dato spesso alla luce soltanto aborti di rara piattezza come Gli uccelli 2 di Rick Rosenthal (senza contare quello messicano di Cardona JR) o il remake tv de La finestra sul cortile. Credo che pretendere di più sia impossibile.

Andrea Lanza

NB: Questa recensione si chiama Lanza’s version per differenziarla dall’altra che verrà postata oggi. In via eccezionale per Psycho 2, 3 e 4 posteremo due recensioni.

Psycho 2

 Anno: 1983

Regia: Richard Franklin

Interpreti: Anthony Perkins, Meg Tilly, Vera Miles, Robert Loggia, Dennis Franz

Durata: 90 min.

VHS: CIC VIDEO (VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI)

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Psyco

18 martedì Giu 2013

Posted by viga1976 in capolavori, Le recensioni di Davide Viganò, thriller

≈ 16 commenti

Tag

anthony perkins, cinema, cult movie, ed gein, hitchcock, norman bates, psycho, psyco, recensione, recensioni omicidi come arte, serial killer

Attenzione questa recensione contiene uno spoiler sull’identità del killer di Psyco. Direte voi ” Ma chi non lo sa?”. Nessuno mi verrebbe da dire, ma mi sono ricordato una cosa avvenuta 16 anni fa. Ero andato in un cineforum proprio a vedere il film di Hitchcock e sul finale una voce spaventata commentò “Ma allora è tal dei tali il killer!”. Ecco mi sentirei in colpa se la visione di Psyco vi fosse rovinata per questo conosciuto colpo di scena rivelato. Perciò vi invito a vedere prima il film e poi a leggere la recensione dell’amico Davide Viganò. Domani lo stesso sarà per Psycho 2 e via col tre e il quattro. D’altronde come recita uno dei manifesti italiani: “E’ vietata la visione a film iniziato”. Ci sarà un perchè no?

Andrea Lanza

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La figura del serial killer è il moderno babau, uomo nero, lupo cattivo,fatto carne ed ossa per tormentare i sogni e stuzzicare le fantasie della popolazione odierna. Un mostro che il viso del vicino di casa, del parente,del simpatico avventore del nostro bar preferito. La normalità umana deviata, che infrange il grande Tabù, il più grande di tutti: quello di togliere la vita. Come un dio feroce e crudele, in preda alla sua disperazione e ferocia il serial killer è un cacciatore folle, il nemico che non riusciamo subito ad identificare.

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Certo,dobbiamo anche dire che il bellissimo romanzo di Robert Bloch ci dipinge un Norman Bates anziano, tarchiato,più particolare rispetto al giovane per bene che potrebbe essere quello interpretato da Anthony Perkins. Eppure questa trovata,è alla base della nascita al cinema della figura del serial killer, figura che comunque compare in tutta la sua violenza e delirio nel capolavoro assoluto L’Occhio Che Uccide.

Come sappiamo il film è stato tra i più grandi, forse il più grande,successo di Hitchcock, candidato a 4 premi oscar, è sicuramente l’opera che maggiormente ha influenzato il cinema thriller che sarebbe seguito dal 60 in poi. Una pietra miliare.

La storia è notissima: Marion infelice segretaria decide che sia venuto tempo di cambiare vita e così dopo aver rubato una somma ingente al proprio datore di lavoro si dà alla fuga.

Costretta a fermarsi in un motel è vittima della follia omicida del titolare Norman Bates.

La sorella e il suo amante investigheranno,affidandosi anche al lavoro del dectetive  Arbogast. Il quale ci rimetterà la vita,ma questo segna anche la fine dell’attività da killer di Bates.

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Non è tanta roba, non stiamo di fronte a una trama fitta di eventi o complicatissima, ma è proprio questa sua essenza spartana a creare il fascino immortale del film. Perchè significa riempire il tutto con il mezzo cinematografico.

Che prepotentemente prende la scena, e ci dice:”Certo stai vedendo un film, qui c’è tutta la nostra forza e potenza” Possiamo farti sognare,innamorare, con il solo uso tecnico a nostra disposizione,ma come possiamo darti sensazioni positive, ecco possiamo trasformarti in un sudicio e spaventato guardone.

Pensate la potenza assoluta della celeberrima sequenza della doccia sul pubblico di allora. Violazione pura: del corpo, della mente, della soglia di sopportazione alla violenza. Quella scena ha la potenza devastante di un possente orgasmo di morte e sangue e l’inquadratura successiva che riprende l’occhio del cadavere è come la sigaretta post coito. Un riposo macabro, dopo la devastante e perversa gioia della violenza incontrollata.

Antony Perkins Psyco

Pensa ad un uomo travestito da donna che massacra la povera Marion, nuda sotto la doccia.

In pochi secondi ci trovi tutto il discorso eros e thanatos, ci trovi la bestialità umana, la morte oscena,e partecipi… Oh,se partecipi!

Tanto che il girare in bianco e nero pare fosse stato un modo del regista per evitare  il problema della visione del sangue, forse troppo crudo per l’epoca. Altri preferiscono credere che abbia a che fare con un omaggio alla personalità di Norman, (bianco per la sua innocenza quasi infantile, nel libro esiste anche un Norman-bambino, il nero per la sua pazzia omicida), potrebbe essere anche così, ma in realtà spesso nel cinema le cose sono più normali e banali.

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Da notare come il film costò solo 800.000 dollari, come se nemmeno la produzione fosse interessata a questo progetto, ma incassò ben 50.000.000 di dollari in poco tempo, diventando un grandissimo incasso. Certo il merito è della celeberrima scena disegnata in story board dal leggendario titolista Saul Bass, che si occupa anche dei famosi titoli di testa, con tutte quelle linee a tagliar i nomi, come per dar l’idea di personalità irrisolte, falciate e dimezzate a causa della follia.

Wimpy, (il suo titolo di lavorazione in omaggio al capo macchinista sul set), entra nella leggenda con la sua forza di puro cinema. Il montaggio in questa opera mostra tutta la sua fondamentale importanza, (pensate alla morte di Marion 22 secondi 35 fotogrammi e non si vede mai il coltello colpire il corpo,eppure noi è come se l’avvertissimo,grazie alla potenza del montaggio), così come le cupe musiche di Bernard Hermann che creano un’atmosfera carica di tensione,morbosa,da incubo. Certo Joseph Stefano fa un eccelso lavoro di sceneggiatura, i personaggi son tutti ben scritti, i dialoghi credibili e funzionali al racconto, gli eventi trattano con rispetto l’origine letteraria. Però è proprio l’apparato tecnico in questa pellicola a dettar legge.

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Come se Hitchcock si sia divertito a osare, sperimentare, giocare con la paura e le possibilità di rappresentarla al cinema. Io voglio esser sincero: preferisco L’Occhio che Uccide come film, rispetto a questo. Non ho dubbi.

Però Psyco ha la grandissima potenza di un romanzo popolare che colpisce duro l’immaginario collettivo degli spettatori,i quali si trovano divisi tra il partecipare al dolore delle vittime, la voglia di giustizia, e una forte immedesimazione con l’assassino. Siamo sospesi tra l’urlare: Attenta! E il: Colpiscila!

Credo sia il film più sadico e spietato del grande Alfred. Pellicola che ha davvero costruito uno spartiacque tra il prima e il dopo. Film che spinse le generazioni future  di registi horror e non solo a osare,a tentare di mostrare sempre di più. Tanto che persino Carpenter cita l’opera di Hitch: Loomis, lo psichiatra che tenta di fermare Micheal, porta il nome dell’amante di Marion, e i genitori di Myers escono di casa per andar a vedere proprio il film della leggenda inglese.

E se siete interessati a saper tutto,andate a vedere Hitchcock al cinema, un sentito omaggio alla pellicola che più di tutte ha formato la nostra cultura di amanti del mistero,del macabro, un film che continuiamo ad amare e rispettare. Un’opera indimenticabile.

Davide Viganò

Psyco

Titolo originale: Psycho

Anno: 1960

Regia: Alfred Hitchcock

Cast: Anthony Perkins, Janet Leigh, Vera Miles, John Gavin, Martin Balsam, John mcIntire, Simon Oakland, Frank Albertson, Patricia Hitchcock, Vaughn Taylor, Lurene Tuttle, John Anderson

Durata: 108 min.

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