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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

Malastrana VHS

Archivi Mensili: novembre 2013

Eredi di sangue

28 giovedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in E, Recensioni di Andrea Lanza, slasher, splatteroni, tette gratuite, zombi

≈ 3 commenti

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bercovici, cinema, eredi di sangue, ghoulies, granny, recensione, recensioni

Questo titolo lo cercavo da parecchio tempo ma, per un motivo o per l’altro, arrivavo sempre tardi quando mi si ripresentava in aste ebay. D’altronde non ebbe vita facile Eredi di sangue in Italia, distribuito fugacemente in vhs dalla Prime films nel 1996, e, a quanto mi risulta, mai editato per la vendita. Peccato perchè stavolta siamo davanti ad un film che, pur non avendo goduto del passaggio in sala, si fa vanto di un decente doppiaggio, cosa inusuale in un mercato home video di inediti tra l’inascoltabile  e l’atroce, con quelle due voci a farne cento. Anche il film male non è, una commedia con risvolti splatter dotata di un’atmosfere particolare, quasi da favola nera, che l’avvicina ai migliori Empire/Full moon della nostra giovinezza.

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Il regista tra l’altro è lo stesso di Ghoulies, uno degli horror anni 80 più divertenti, ricordato, da chi non l’ha visto, come l’imitazione horror trash di Gremlins. Luca Bercovici, oltre ad essere l’autore di un pugnetto di film, tra i quali l’interessante musical vampirico Rockula, è in primis un attore con una carriera che conta quasi 70 pellicole tra la fine degli anni 80 e i giorni nostri. In Eredi di sangue si ritaglia un ruolo abbastanza significativo, quello del misterioso uomo che offre alla dispotica Stella Stevens di Le folli notti del dottor Jerryll e La ballata di Cable Hogue, in  versione incartapecorita dagli anni, il filtro dell’eterna giovinezza. Come in Gremlins (questa volta si) ci sono delle semplici regole da rispettare: non far prendere alla pozione la luce del sole, praticare un rituale di purificazione e perdonare ogni persona odiata. Inutile dirlo, di queste cose, l’arcigna nonnina non farà nulla, pagandone un prezzo grandissimo.

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La sceneggiatura di Sam Bernard, autore tra l’altro del delizioso Warlock – L’angelo dell’apocalisse di Anthony Hickox (pure lui nel cast di Eredi di sangue tra l’altro), scippa a pieni mani personaggi e situazioni da Rabid grannies, film belga di qualche anno prima distribuito dalla Troma. In entrambe le pellicole un incantesimo trasforma delle anziane signore in zombi assassini, così come le vittime sono sempre un gruppo di parenti, avidi e falsi. Il registro del film di Bercovici è però più  stralunato e grottesco, debitore del precente Brain dead di Peter Jackson, con una recitazione caricaturale vicina a pellicole anni 80 come Terror vision di  Ted Nicolau.

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Lo splatter è abbastanza spinto (è bene segnalare un’evirazione, un gatto mannaro e delle volpi assassine) con omicidi a volte così surreali (la vecchia zombi tra l’altro accompagna ogni morte con una battuta ad effetto) che riportano alla mente le derive ironiche di Nightmare on elm street. Si segnala, per tutti i voyeur, uno splendido decoltè della sconosciuta Janelle Paradee, l’attrice più generosa, a livello scollacciato, del cast. La parte della leonessa però è tutta per Shannon Whirry, bellissima ma imprigionata nell’assurdo ruolo di una ragazza brutta, lei che possiede erotismo anche nello sguardo. Tra l’altro la Whirry e Bercovici si conobbero, come attori, sul set di un thriller erotico, Doppia immagine 2, girato dal maestro del porno Gregory Dark, in vacanza da doppie penetrazioni e cum shot, nel periodo dove usò parecchio la bionda attrice per i suoi gialli soft. Eredi di sangue purtroppo si perde un po’ strada facendo, dimenticando alla fine di essere un horror splatter e facendo virare la vicenda in un pauperistico fantasy a base di demoni e spade laser incantate. Alla fine comunque se ne esce soddisfatti dalla visione, divertiti più che annoiati, in uno spettacolo horror da trattoria più che da ristorante è vero, ma chissenefrega.

Andrea Lanza

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Eredi di sangue

Titolo originale: The Granny

Anno: 1995

Regia: Luca Bercovici

Interpreti: Luca Bercovici, Stella Stevens, Shannon Whirry, Brant von Hoffman, Sandy Helberg, Patricia Sturges, Heather Elizabeth Parkhurst, Ryan Bollman, Samantha Hendricks, Joseph Bernard

Durata: 90 min.

VHS: Prime films (VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI)

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Nell’anno del Signore

26 martedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in commedia, drammatici, N, Recensioni di Napoleone Wilson

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alberto sordi, claudia cardinale, luigi magni, Nell'anno del Signore, nino manfredi

In occasione della scomparsa del certamente ‘insostituibile nel panorama del cinema italiano e amico personale, Luigi “Gigi”  Magni, seppur in colpevole ritardo, non potevo non dedicargli una recensione anche in questi spazi, del suo film forse più rappresentativo, e dall’enorme successo di pubblico natalizio, nella stagione cinematografica 1969/’70. “Nell’anno del Signore” fu liberamente ispirato a un vero e proprio evento storico del “Risorgimento”,  ambientato a Roma nel 1825. Due rivoluzionari “carbonari”, il medico Leonida Montanari (Robert Hossein appena dopo “Cimitero senza croci”, sempre bravissimo) e il giovane Targhini (Renaud Verley, anche lui francese per effetto della co- produzione) nel tentativo di uccidere un traditore, vengono arrestati. Seguendo il loro calvario, veniamo a sapere che l’umile Cornacchia (Nino Manfredi, il vero protagonista del film), è segretamente il celeberrimo poeta satirico Pasquino della Roma papalina; che l’ebrea Giuditta (Claudia Cardinale), è innamorata di Montanari, e che il cardinale Rivarola (uno strepitoso Ugo Tognazzi),  è uno dei più feroci nemici dei rivoluzionari; tra i tanti affastellati personaggi un ruolo preminente l’avranno anche il capitano Nardoni (Enrico Maria Salerno), e, infine, un frate (Alberto Sordi), che si è dato il compito di assistere i prigionieri.

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“Nell’anno del Signore” poteva  sembrare, quando uscì, un film che scorreva su un crinale molto ripido e scivoloso, in quanto ritraeva un fatto reale, con un tono che oscilla dal serio al faceto, ma, per fortuna, il mix di commedia e i momenti drammatici funzionano splendidamente oggi come quarantaquattro anni fa, padroneggiati da Magni per tutto lo svolgimento del  film con il suo più genuino tono agrodolce, piuttosto che una qualsiasi pesantezza enunciatoria data dal soggetto, gravemente anti-clericale e papalino. Non fu un risultato facile da ottenere, ma Luigi Magni ci riuscì splendidamente come già nelle sue famose e di successo sceneggiature e commedie teatrali, affermandosi poi anche nelle successive opere della trilogia “papalina” quali “In Nome del Papa Re”(1977) -altro grande completo successo- , e “In Nome del Popolo Sovrano” (1990), qui purtroppo con maggiore stanchezza e rischio di un calligrafismo già di stampo televisivo, e seppur fuori dalla trilogia ma attinente per ambientazione di luogo, storica e personaggi, almeno per la splendida riduzione de “La Tosca” (1973) con Monica Vitti, Vittorio Gassmann, e tra gli altri, Gigi Proietti.

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In tutti i film di Magni la recitazione  di tutti è sempre stata molto solida, “Nell’anno del Signore” merita una menzione speciale per l’occasione offerta ad un brillante più che mai Nino Manfredi, che risplende di luce propria nel corale e nutritissimo cast del film con il memorabile , ma pieno di risorse carattere di Cornacchia / Pasquino, tra l’altro realmente esistito e celeberrimo personaggio, della Roma papalina; ugualmente splendido è Ugo Tognazzi come Rivarola.  Tognazzi  con molta intelligenza non resistette alla tentazione di fare di lui oltre che un personaggio viscido, un perfetto cattivo, ritraendolo al contempo in maniera schernita ma anche come di fine intelligenza, freddo e permeato persino di un po’ di tristezza esistenziale nella consapevolezza della sua negatività che verrà consegnata alla Storia.
Alberto Sordi, in una partecipazione speciale, intenzionalmente ruba la scena nella parte strepitosa del suo frate.

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Sarei negligente se non menzionassi ancora la splendida e celebre colonna sonora di Armando Trovajoli, che contribuisce a rendere il film – e in particolare l’ultima scena – assolutamente memorabili.

“Nell’anno del Signore” usci nel 1984 in una celebre videocassetta da nolo della Domovideo. Solamente dopo già diversi anni e una sorta di dvd “bootleg” in una collana dedicata al cinema italiano dal settimanale L’Espresso nel 2003, “Nell’anno del Signore” ha goduto di un ufficiale trattamento digitale, pubblicato dalla Minerva Pictures.

Napoleone Wilson

Nell’anno del Signore

Regia: Luigi Magni

Interpreti: Nino Manfredi, Claudia Cardinale, Enrico Maria Salerno, Britt Ekland, Robert Hossein, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi, Pippo Franco, Stelvio Rosi, Renaud Verley, Marco Tulli, Emilio Marchesini, Stefano Oppedisano

Durata 105′ min. – Italia 1969

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La Vera Storia della Monaca di Monza

25 lunedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in drammatici, erotici, Recensioni di Domenico Burzi, V

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bruno mattei, cinema, claudio fragasso, recennsioni, recensione, vera storia della monaca di monza, zora kerowa

Silenzio là in fondo! Qui si parla della Monaca di Monza, anzi, della “vera” storia della Monaca di Monza, come ci tiene a sottolineare il titolo matteiano. Sull’onda d’urto del successo di Boro “Interno di un Convento” (1978), ecco un bel conventuale fuori tempo massimo che segna l’incontro artistico/produttivo tra Bruno Mattei, qui come Stefan Oblowsky (tanto per non farsi mancare riferimenti a Borowczyc) e Claudio Fragasso (in sceneggiatura), sodalizio che durerà fino al 1989.

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Appaltato dalla Stefano Film di Nicolò Pomilia e prodotto per conto della Cinemec di Arcangelo Picchi, “La Vera Storia della Monaca di Monza” offre allo spettatore quello che promette: suore in fregola, punizioni corporali, preti arrapati e congiure di palazzo con annessa atmosfera torbida e cimiteriale a imputridire il tutto. Non si può proprio parlare di erotismo gioioso e solare da queste parti. Niente a che vedere con “La Monaca di Monza” del “nostro” Prandino Visconti, per non parlare dell’epopea manzoniana, il parto di Mattei (che girò in concomitanza con “L’Altro Inferno”) va dritto per la sua strada, fregandosene alla grande di ogni tipo di attendibilità storica, piazzando al centro del plot (o delle copule, mejo) la bellezza algida di Ulla Zora Keslerova alias Zora Kerowa nel ruolo di Virginia De Leyva, anche in nudo integrale, irretita dal piacione Gianpaolo Osio, un Mario Cutini da canile, però gran puttaniere e manipolatore che fa un po’ quello che gli pare all’interno del convento di Santa Margherita (in realtà si girò a Roma, tra le locations anche Artena, nelle cantine del palazzo Borghese).

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Grande squadra di attori che i catecumeni del Bis apprezzeranno senza meno, da Paolina Montenero, Paola Corazzi (“Le Beate Paole” diceva Mattei), Annie (K)Carol Edel (che ne ha fatte di cose in ambito bis de/genere, per fortuna nostra), Tom Felleghy, la bella e nudissima Leda Simonetti, nel ruolo della novizia Margherita, Giovanni Attanasio (prelevato di peso dagli EroSSvastica di Bruno), per non parlare della grande Franca Stoppi di “Buio Omega”, presente pure ne “L’Altro Inferno” e di Franco Garofalo, nei panni di Don Paolo Arrigone, che è colui che riesce sempre a dare qualcosa in più alla platea, che sia un gesto, un’espressione, non c’è nulla da fare, Franco buca lo schermo e ruba la scena a tutti, sia in vestale sacra, sia in calzamaglia rossa da diavolo tentatore, sia in mezzo ai morti viventi caracollanti di “Virus”. Per il resto, quando un film comincia con la scena della bella Virginia che prende i voti, alternata con immagini di cavalli che scopano (con tanto di membro equino sventolato sullo schermo) si capisce subito dove si andrà a parare, anche se non mancano inquadrature e sequenze riuscite che aggiungono quel qualcosa in più degno di essere ricordato, vedi la suorina che frusta con sommo piacere la compagna, la scena dello stupro di Virginia in chiesa o il ritrovamento del cadavere della madre superiora, divorata dai topi, che rimanda irresistibilmente a quello che si vedrà in “Rats – Notte di Terrore”.

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Ci manca eccome Bruno Mattei, siamo qui a fare (quasi) sempre gli stessi discorsi, che probabilmente hanno già rotto parecchio le palle, lo so, ma è solo per ribadire che un Colonnello del Bis come Bruno è difficile ristamparlo, ed è giusto ricordarlo sempre, non perchè abbia girato solo capolavori, il che non corrisponde a verità, ma perchè non si è mai fermato di fronte a niente, girando comunque e dovunque (anche cannibalici, W.I.P e pure “Zombie – The Beginning” e “Island of the Zombies” poco prima di morire). Però, dai, cosa si può dire ad uno che senza soldi si inventa una cosa come “Robowar” (1988), un mix atroce tra Robocop e Predator, con Reb Brown e Catherine Hickland? Solo il meglio possibile. Vostro Onore, non aggiungo altro. Consigliato.

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Per il ruolo di Virginia, si pensò in un primo momento a Leonora Fani, che per problemi con l’agente dell’epoca non accettò. La scelta cadde così su Zora Kerow(v)a, già ne “Le Evase – Storia di Sesso e di Violenze” (1978) con la Carati, Marina Daunia e Ines Pellegrini.“Lei ce la portarono…“, disse Bruno ai nocturniani. Prodotto da Arcangelo Picchi. Fotografia di Giuseppe Bernardini. Montaggio di Liliana Serra. Musiche di Gianni Marchetti. Con Zora Kerowa, Mario Cutini, Franco Garofalo, Franca Stoppi, Paola Montenero, Paola Corazzi, Leda Simonetti, Giovanni Attanasio, Annie Karol Edel, Mario Novelli, Tom Felleghy, Ornella Picozzi.

Buona visione.

A proposito delle produzioni italiane d’epoca:

“La Monaca era stato appaltato dalla Stefano Film. Praticamente noi eravamo i produttori esecutivi. Ci doveva essere un utile sul budget e io proposi di investire quest’utile su un secondo film, che diventava tutto nostro al 100%. E quindi reinvestimmo l’utile su “L’Altro Inferno”. Li abbiamo girati parallelamente. Quando si girano due film in uno, il risparmio è notevole” Bruno Mattei.

Gomarasca e Pulici, Nocturno Dossier N.45, “Il Sopravvissuto”, aprile 2006.

Domenico Burzi

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10 minuti a mezzanotte

22 venerdì Nov 2013

Posted by andreaklanza in 1, B movie gagliardi, D, Recensioni di Andrea Lanza, slasher, thriller

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10 minuti a mezzanotte, american psycho, brett easton ellis, cannon, charles bronson, dieci minuti a mezzanotte, il giustiziere della notte, patrick bateman, recensione, recensioni, Richard Speck, slasher, ted bundy

Forse lo sa solo il Diavolo del perchè di questo titolo, assolutamente scollegato alla vicenda. Nessuna bomba ad orologeria pronta a scattare nell’ora delle streghe, nessun John Voight sul tetto di un aereo a urlare contro la neve, solo (solo?) un serial killer con il vizietto di andare in giro, nudo come mamma l’ha fatto, a scannare belle donne. 10 minuti a mezzanotte era un film Cannon di ripiego, messo in cantiere intanto che le trattative per trasporre in pelicola il libro The Evil That Men Do di  R. Lance Hill andavano avanti, e girato con l’idea di unire due generi all’apparenza inconciliabili, lo slasher e il  film giustizialista, in un solo ibrido.

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Alla fine The Evil That Men Do fu girato, sempre da J. Lee Thompson e interpretato ancora dal nostro Charles Bronson (in Italia uscì come Professione giustiziere), ma era poca cosa, molto ambizioso e noiosetto. Diciamo subito che, dei polizieschi/action Cannon con Bronson d’inizio anni 80, si salvano soltanto questo film e il sottovalutato Il Giustiziere della notte 2 di Michael Winner, il resto, chi più chi meno, rientrava nella fase più triste e dolorosa della carriera dell’attore e, quasi per osmosi, dei suoi storici collaboratori. Bronson all’epoca aveva sessanta e passa anni, la sua bravura passata aveva ceduto il posto ad una rigida maschera di caratterista, le pellicole che precedono la sua morte sono tristi riproposte dei suoi successi più famosi, soprattutto quel Death wish croce e delizia della sua carriera. I vari Winner o Thompson, registi di fiducia dell’attore, si adeguano a questo basso profilo, girando opere sottovoce e sotto il loro stesso standard, nella speranza di portarsi a casa il pubblico più eterogeneo, dai fan dello Stallone di Rambo 2 (ora il Paul Kersey giustiziere ha come arma un bazooka) a quelli dei buddy movie alla 48 ore (l’insopportabile La legge di Murphy), fallendo però su tutti i fronti, perchè troppo stanchi, perchè non credendoci veramente, perchè vecchi dinosauri di un cinema estinto.

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10 minuti a mezzanotte è la ventata di aria di fresca che precede l’inferno della fine, forse non un grande film, ma sicuramente uno spettacolo divertente ed emozionante, la summa di tutto quello che dovrebbe essere un B movie coi controcazzi. Bronson è in parte, interpreta l’attempato poliziotto di nome Leo Kessler senza strafare in gigionismi ma neppure sembrare troppo annoiato. J. Lee Thompson regala forse il suo ultimo lavoro degno di nota, forte anche del fatto che, neanche due anni prima, si era cimentato con ottimi risultati nello slasher alla Venerdì 13 con Compleanno di sangue. Come detto all’inizio, siamo in un ibrido che cerca di raggranellare da una parte il pubblico teen affamato di sangue, nudità e giovani in fregola, dall’altra tutti i fan de Il giustiziere della notte e della sana legge sopra la legge. Il risultato è molto interessante perchè si mantiene un certo rigore nel commistionare i generi, cosa non facile in un prodotto dichiaratamente di serie B. Anche le giovani leve che si approcciano al titanico Bronson non sono male, sia che si parli del coprotagonista Andrew Stevens che del cattivissimo Gene Davis (già visto nel Cruising di Friedkin e in Night Games di Vadim). Il killer Warren Stacy anticipa per certi versi il serial killer letterario Patrick Bateman dello scrittore Brett Easton Ellis (American psycho) e si rifà come aspetto fisico a Ted Bundy, assassino tristemente noto per i suoi i suoi femminicidi.

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La sceneggiatura di William Roberts  (già al lavoro per Bronson in I magnifici sette di Sturges) si ispira però soprattutto alle gesta dell’omicida Richard Speck che torturò, violentò e uccise otto allieve infermiere il 14 luglio 1966. Sembra che lo script originale fosse molto più spinto verso il lato thriller e si chiamasse Bloody Sunday, ma l’esigenza di farne un prodotto costruito a misura per Bronson lo trasfigurò in questo 10 minuti a mezzanotte. La pellicola è feroce e sanguinosa, mette in scena omicidi, magistralmente fotografati da Thompson, tra i più crudi del cinema popolare anni 80, senza perdersi in derive eccessivamente splatter come il Maniac di Lusting. Quello che sorprende è l’assoluta assenza di emozioni di questo serial killer che va a caccia di donne denudandosi completamente, come dovessere compiere uno stupro, in un simbologismo, neanche tanto velato, tra il coltello e il suo pene. Non ci sono background sul suo passato, come molti thriller usano e usavano, di lui si capisce che è un maniaco dell’ordine, svolge un mestiere indefinito (magazziniere? Tuttofare?) e ha problemi sessuali, malgrado il suo fisico piacente e palestrato. D’altronde è Bronson, nel primo interrogatorio, a sventolargli una pompetta per la masturbarzione e urlargli, prima di picchiarlo, “Ti serve per il su e giù, porco?”. Perchè basta uno sguardo al vecchio poliziotto per capire che ha davanti l’omicida che cercava, a scapito pure di scontrarsi con il collega che corteggia la figlia e che ha preso sotto la sua ala, soprattutto quando il caso diventa troppo personale e si tocca la famiglia. Non siamo davanti ad un rozzo thriller exploitation, c’è una cura, inusuale, nel dettagliare psicologicamente i personaggi, a cominciare da quello di Bronson che appare, fin dalle prime battute, come un disilluso e cinico antieroe. L’empatia col pubblico è assicurata quando lo vediamo, umano e fragile, gestire un rapporto non facile con la figlia e andare a portare notizie luttuose ad una famiglia di amici. Ecco che, quando si pone al di sopra della legge, servita da sempre, e fabbrica prove contro un assassino che se libero ucciderebbe ancora, non ci sentiamo di condannarlo. Fascismo o meno.

Cinemax-10-To-Midnight1 L’ultima mezz’ora è la più  coinvolgente, con il massacro delle infermiere e la giovane Kessler (la bellissima Lisa Eilbacher) che corre per strada inseguita dal suo aguzzino. Certo i più rompicoglioni potrebbero ribattere che le inquadrature, a volte, palesano le mutande nere indossate da Gene Davis quando dovrebbe essere nudo, ma sono gli stessi snob cinefili che godono a trovare microfoni in un blockbuster come Jurassic Park affermando serissimi  “Però che schifo, meglio Kubrick“. Noi rispondiamo con un “Ci fotte una sega” perchè quando la macchina da presa ci regala il pathos di un grande inseguimento, quando il killer urla a Bronson “Sono pazzo e tu non mi puoi arrestare” e lui, con la stessa aridezza di emozioni del suo antagonista, sussurra “Non questa volta” seccandolo con un colpo in testa, beh noi, emozionati, ci sentiamo parte di un grande spettacolo. Felici di essere serie B, almeno una volta nella vita. E, come dice Adriano, “ci dispiace per gli altri”.

Andrea Lanza

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Titolo originale: Ten To Midnight

Anno: 1983

Regia: J. Lee Thompson

Interpreti: Charles Bronson, Lisa Eilbacher, Andrew Stevens, Gene Davis, Geoffrey Lewis, Wilford Brimley, Robert F. Lyons

Durata: 90 min.

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Una tomba aperta…una bara vuota (Il cadavere di Helen non mi dava pace)

19 martedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in C, fantasmi, Recensioni di Davide Comotti, thriller, U

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alberto boccianti, balcazar, cinema, daniela giordano, horror spagnoli, La casa de las muertas vivientes, la dama rossa uccide sette volte, La noche de una muerta que vivió, la notte che evelyne uscì dalla tomba, Las Noches del escorpión, miraglia, Piero Piccioni, recensione, recensioni, teresa gimpera, Una tomba aperta…una bara vuota (Il cadavere di Helen non mi dava pace)

Nei gloriosi anni Settanta – decennio di massimo splendore dell’horror nostrano – nacque un sottogenere particolare e affascinante, il cosiddetto “thriller gotico”, che affonda le sue radici in film degli anni Sessanta come La Vergine di Norimberga di Margheriti e Libido di Salerno/Gastaldi, ma si sviluppa pienamente solo nel decennio successivo, grazie alla contaminazione col nascente thriller argentiano. Si tratta di pellicole dalla classica ambientazione gotica, collocate però in epoca moderna, in cui l’elemento soprannaturale si fonde con quello giallo, lasciando spesso il posto a una spiegazione degli eventi quasi interamente razionale.

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Gli esempi più illustri sono i due di Miraglia, La notte che Evelyn uscì dalla tomba (eccezionale, e direi fondatore dell’estetica gotico-decadente tipica dei seventies) e La dama rossa uccide sette volte, ma anche La morte negli occhi del gatto (ancora di Margheriti), Un bianco vestito per Marialé di Scavolini, e pellicole “minori” come La casa della paura, La sanguisuga conduce la danza, I vizi morbosi di una governante, e altri ancora. Curiosi, in proposito, sono anche due film frutto di coproduzioni fra Italia e Spagna, un altro Paese dove il gotico andava per la maggiore: Una tomba aperta…una bara vuota (1971) di Alfonso Balcazar Granada e Quando Marta urlò dalla tomba (1972) di Francisco Lara Polop, non all’altezza del dittico di Miraglia ma comunque affascinanti e meritevoli di visione e riscoperta.

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Una tomba aperta…una bara vuota, il cui titolo spagnolo è La casa de las muertas vivientes, è conosciuto anche come Il cadavere di Helen non mi dava pace (a dire il vero più calzante, vedremo poi il perché). Helen è la defunta moglie del protagonista Oliver (José Antonio Amor), un nobile inglese col vizio dell’alcool convinto di aver ucciso la consorte. Per dimenticare il passato e liberarsi dal giogo della matrigna Sarah innamorata di lui, si prende una vacanza in Italia dove conosce e sposa Ruth (la nostra Daniela Giordano). Insieme vanno a vivere nel castello, teatro della vecchia tragedia, insieme alla matrigna e alla sorella dell’uomo, la perversa Jenny (Teresa Gimpera, nota bellezza spagnola). La tetra magione non favorisce di certo la serenità, e Oliver continua ad essere tormentato dal passato, mentre qualcuno mette in pericolo la vita di Ruth e la fa passare per pazza. Quando i presenti al castello iniziano ad essere uccisi, Oliver capisce però che i sospetti della moglie sono veri, e dovrà scoprire un’oscura verità.

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Il modello è, probabilmente, proprio La notte che Evelyn uscì dalla tomba, col tormento della moglie defunta e il nuovo matrimonio, anche se poi la trama prende uno sviluppo diverso. Balcazar, che si firma come Al Bagram, non è però Miraglia (un signor regista, autore anche dei due ottimi noir Assassination e Quella carogna dell’ispettore Sterling), il budget è più ristretto, il cast decisamente minore e anche il soggetto non è così perfetto e coinvolgente. Comunque, siamo da quelle parti, l’atmosfera è quella, anche se non si vedono né tombe aperte né bare vuote: il titolo, molto suggestivo, è costruito più ad effetto che altro, e Il cadavere di Helen non mi dava pace risulta decisamente più azzeccato. Pur non essendo un film eccezionale, Una tomba aperta…una bara vuota funziona bene, a livello sia di narrazione sia – soprattutto – di estetica e atmosfera. Balcazar passa in rassegna i luoghi del gotico classico, dal cimitero al castello fino ai sotterranei, valorizzati dalle buone scenografie e da una fotografia cupa; e al contempo crea un clima morboso e ostile, fra una matrigna pseudo-incestuosa che spia il figliastro da un pertugio e una sorella perversa legata sessualmente ad Helen (vari flashback sono dedicati a questo rapporto), anche se le scene erotiche sono abbastanza soft.

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La struttura procede per accumulo: la prima parte, forse un po’ troppo lenta, è costituita per lo più da una serie di suggestioni, incubi e sospetti che creano una discreta suspense e curiosità nello spettatore, sostenuta sia dai rapporti ambigui fra i protagonisti che dai caratteri a latere come il giardiniere, la domestica e il detective in incognito; seguono poi il tentato omicidio di Ruth e le trappole per farla credere pazza (un altro topos del giallo gotico), fino al compimento dei delitti (concentrati soprattutto nell’ultima parte, con una certa messa in mostra del sangue e uno schema tipo Dieci piccoli indiani) e alla soluzione del mistero, con una spiegazione del tutto razionale, senza fantasmi o maledizioni.

Essendo una coproduzione con la Spagna, troviamo maestranze sia italiane (come Alberto Boccianti alle scenografie e Piero Piccioni autore delle buone musiche) che ispaniche, come anche nel cast: la maggior parte degli attori è semi-sconosciuta da noi (a cominciare dal protagonista), fatta eccezione per Daniela Giordano e Teresa Gimpera, ma tutti ugualmente efficaci e con belle donne a volontà, che in un thriller gotico-decadente fanno sempre il loro effetto.

Davide Comotti

Una tomba aperta…una bara vuota (Il cadavere di Helen non mi dava pace)

Titolo originale: La casa de las muertas vivientes (AKA La noche de una muerta que vivió, Las Noches del escorpión)

Anno: 1972

Regia: Alfonso Balcázar

Interpreti: José Antonio Amor, Gioia Desideri, Osvaldo Genazzani, Carlo Gentili, Teresa Gimpera, Daniela Giordano, Alicia Tomás, Nuria Torray

Durata: 90 min.

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Just Before Dawn

12 martedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, J, Recensioni di Napoleone Wilson, slasher, splatteroni

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anni 80, cinema, jeff Lieberman, just before dawn, recensione, slasher, squirm.recensioni

Probabilmente uno degli slasher anni 80 meglio realizzati, “Just Before Dawn” è certamente un must-see non soltanto per gli appassionati del filone. Questo film, completamente inedito in Italia, venne girato nel Silver Falls State Park in Oregon, facendo un uso eccezionale dell’impressionante paesaggio e fu la riconferma che il suo autore fosse uno dei più interessanti della scena horror anni 70. La regia di Lieberman, insieme ad uno script interessante di Mark Arywitz e Gregg Irving, contribuisce a rendere “Just Before Dawn” migliore di quasi tutti gli slasher dei primi anni ottanta. Si può dire che sia un diamante grezzo e ancora oggi se vogliamo uno dei più sottovalutati film dell’orrore survivalistico … sicuramente per quel periodo. Il cast è di prim’ordine e composto da facce fresche con Deborah Benson e Jamie Rose particolarmente sorprendenti, grazie anche a loro la suspense, a volte è palpabile. Il film nel suo complesso ha più di un accenno ai temi di “The Texas Chainsaw Massacre” e “Deliverance”(Un Tranquillo week-end di paura)(Usa 1972) di John Boorman. La cosa più importante, è che la trama sia del tutto credibile dall’inizio alla fine. Solo un regista sicuro come Lieberman poteva farci infatti sentire un così forte senso claustrofobico nella lussureggiante natura composta dalle verdi distese dei boschi dell’Oregon. In definitiva, un inquietante e meraviglioso classico, in parte ancora in divenire.

Napoleone Wilson

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NOTE:

La Interglobal Video ne fece uscire una versione tagliata con la maggior parte del gore esplicito rimosso. La versione integrale in video venne pubblicata dalla Paragon. Anche se la versione cinematografica era già tagliata, l’uscita in video U.K. Del 1986 della MIA è stata tagliata di 7 secondi dalla BBFC per modificare una scena in cui un uomo viene pugnalato attraverso l’inguine con un machete e la lama esce dalla sua schiena. Il taglio è stato revocato per il DVD Odeon del 2005, che propone anche ulteriori 9 minuti di scene di dialogo. Una recente esclusiva di play.com del film uscito in dvd nel 2006, comprende un diverso montaggio del film con scene che non appaiono in nessun altra versione (la qualità del video è pessima però). Nonostante le varie derubricazioni attraverso gli anni, ci sono tre versioni principali del film. 1: la VHS americana pubblicata dalla Paragon negli anni ottanta. Questo è ancora la versione più completa del film data ad oggi. Inoltre si era ritenuto fino a poco fa del tutto intonsa la versione uscita in DVD in Gran Bretagna (vedi sotto). 2: il dvd R1 su due dischi pubblicato negli Stati Uniti dalla Shriek Show nel 2006 che ho anch’io – è invece una versione ridotta del film. Tutti i filmati in questa versione appaiono anche sulla videocassetta Paragon (meno però un numero di scene). La versione della Shriek Show utilizza sì la stampa migliore che sono stati in grado di ottenere (in widescreen con un secondo disco di extra) una volta derubricata. 3: La versione U.K. Del dvd R2 (in origine come detto un’esclusiva play.com, in seguito disponibile presso tutti i principali rivenditori) pubblicata dalla Odeon Entertainment (in formato PAL) è anch’essa una versione scorciata del film. Tuttavia, contiene tante piccole scene / dialoghi che non appaiono in alcun modo nelle prime versioni del film US / U.K. Il master della pellicola utilizzata per questa versione U.K. è in cattive condizioni e la sua fonte originaria è sconosciuta.

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Ci sono esattamente 7 differenze tra la versione in dvd statunitense regione 1 della Shriek e la vecchia videocassetta statunitense della Paragon. Se non specificato diversamente il nastro Paragon mostra la versione completa non tagliata del film. Queste sono le seguenti: 1. Il dvd Shriek Show taglia prima che compaia il credits “Doro Vlado” sullo schermo. Il nastro Paragon mostra pochi secondi in più del bosco prima di questo in quanto l’inquadratura si volge lentamente verso destra e poi, appare il credito “Doro”. 2. La scena della morte di Vachel (machete attraverso l’inguine) nel dvd Shriek viene tagliata. Il nastro Paragon mostra questa scena completamente uncut. 3. Quando il gruppo raggiunge il campeggio (“Questo è tutto gente, fine della linea”), la versione della Shriek in dvd taglia due secondi alla fine di questa scena prima che il prossimo fotogramma della loro uscita dal camper compaia. 4. La scena in cui Megan e Jonathan stanno giocando insieme in acqua (dalla cascata) nel dvd Shriek viene tagliata di 6 secondi. 5. Quando Jonathan è gettato di nuovo in acqua dal killer (più avanti nel film) sempre nel dvd Shriek la sua nuova caduta e lo spruzzo d’acquas nel fiume è tagliata di due-tre secondi 6. I primi secondi di Daniel a piedi nel cimitero vengono tagliati nel dvd della Shriek Show. 7. La scena subito dopo che il Ranger prende Merry Cat sul cavallo e vediamo Connie seduta accanto al fuoco nel dvd Shriek Show è tagliata. La versione Shriek fa iniziare la scena con il grido di Connie circa 1 millisecondo prima di sentire il fischio nel bosco. Il nastro Paragon mostra lei che si siede a fissare il fuoco per alcuni secondi e poi si sente il fischio.

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Nel dvd U.K. pubblicato nel 2006 dalla Odeon Entertainment è offerta una versione alternativa del film. Questa dispone di 9 minuti in più mai visti in nessuna versione USA. Che cosa è elencato di seguito è un confronto tra il dvd con il nastro Paragon statunitense che è l’edizione più lunga mai uscita negli States. Tutto quello che è qui descritto non compare nella versione americana se non diversamente specificato. Anche se non sempre elencato, un buon numero di spunti musicali sono mancanti o differenti tra le diverse scene della versione per la Gran Bretagna e quella per gli Stati Uniti 1. Dopo il credits, “diretto da Jeff Lieberman”, vediamo due brevi secondi di boschi e una scena di apertura prolungata quando si mostra la casa di legno/ chiesa nel bosco. 2 Più dialogo appare nella chiesa prima che Ty (il viandante) esca fuori dalla porta. 3 Enorme quantità di filmati extra compare quando i campeggiatori sono in cammino fino al campeggio. La versione americana edita questa scena in modo molto diverso .4 Quando Warren va fuori per controllare la foto al cervo, la scena è estesa. 5. Quando arrivano al campeggio, escono dal motorhome ed i primi secondi alla cascata sono estesi. 6 Dopo la prima visita alla cascata, c’è un prolungato filmato di loro che camminano. 7 filmato esteso durante il fuoco da campo ed è stato aggiunto un effetto audio non presente nella versione USA (si può effettivamente sentire il suono a cui i campeggiatori reagiscono. Nella versione USA girano la testa in direzione di un suono che effettivamente non si sente). 8. La mattina dopo, Warren cammina verso Connie tornando dalla cascata, altra scena estesa 9. Metraggio esteso quando i ragazzi vedono Merry Cat (la ragazza montanara) che canta dalla cascata 10. La sequenza di attraversamento del ponte di corde è estesa e aggiunge la musica non presente nella versione USA. 11. Dopo aver attraversato il ponte di corde, filmato prolungato di loro che scendono giù per la collina fino al fondo della cascata. 12. La versione U.K. taglia l’intera sequenza di quando l’assassino entra in acqua e afferra Megan. La versione U.K. taglia di nuovo in mezzo all’accensione del falò al campo. 13. Metraggio esteso di loro che ballano alla festa davanti al fuoco. 14. Metraggio esteso dopo che la famiglia di montanari spara alla radio 15. Piccolo filmato extra durante la colazione il giorno successivo 16. Piccolo filmato extra quando Merry Cat va da Jonathan nel bosco 17. Filmato extra di Merry Cat che scappa via quando Jonathan è sul ponte di corde. 18. Jonathan che cerca di risalire da una delle corde del ponte ha un punto di vista nuovo che compare nella versione americana e non in Gran Bretagna. 19. Jonathan cade di nuovo in acqua: Impatto esteso e questo va a congiungersi al filmato extra di Warren e Connie al fiume (nella versione USA portva invece direttamente a Daniel nel cimitero) 20 scena estesa in cui Warren e Connie discutono di come Jonathan possa essere morto. 21. La versione U.K. riduce la famiglia di montanari tagliando Merry Cat dopo la visita del Ranger. La versione U.K. quindi la taglia di nuovo fin quando Connie è già in piedi dopo aver sentito il rumore del cervo.

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Il dvd tedesco R2 pubblicato dalla CMV Laservision (2007) è lo stesso della versione in dvd Usa R1 Shriek Show (per alcuni anche non raccorciata dato lo stesso identico rumore della pellicola in più punti), tuttavia offre la scena del machete attraverso l’ inguine completamente tagliata a differenza che nel disco della Shriek Show per gli Stati Uniti che mostra una versione modificata e raccorciata. Il resto delle scene minori che mancano dal dvd Shriek Show (di cui sopra e questo in un altro punto) sono inoltre mancanti pure dall’edizione della CMV. Come bonus la versione CMV offre la maggior parte (ma non tutti) dei filmati alternativi che appaiono soltanto nella versione in dvd U.K. (Odeon Entertainment)del film come un extra.

Durante le riprese nel bosco, una sera l’illuminazione saltò senza spiegazione, lasciando il cast e la troupe nel buio più totale. Dopo alcuni minuti il produttore frustrato gridò, “Sia la luce ”- e, abbastanza con sicurezza, le luci sono effettivamente tornate. Non è mai stato determinato perché si spensero o perché siano tornate di nuovo..

La  sceneggiatura originale prevedeva una sesta campeggiatrice di nome Eileen, che moriva quando veniva gettata giù da una scogliera. Era incluso anche un climax che coinvolgeva Connie costretta a maneggiare serpenti a sonagli contro i malvagi gemelli.

Il titolo della sceneggiatura originale era “The Last Ritual”. E’ stato cambiato dopo che il pesante tema religioso dello script è stato ridotto e la storia è stata rigorosamente rivista.

Il regista Lieberman ha citato “Un Tranquillo week-end di paura” come influenza primaria del film.

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Richard Kiel venne provinato per il ruolo dei due killer del film.

Lieberman ha detto che innumerevoli estranei si presentarono sul luogo delle riprese, il giorno che la scena di Jamie Rose che nuotava in topless venne filmata. Lieberman ha detto che il passa-parola di questa ripresa si era apparentemente diffuso tra le guardie forestali locali.

Secondo Lieberman, il film venne quasi acquistato dalla Universal Pictures per la distribuzione. Purtroppo, alcune questioni economiche con la società di distribuzione originaria impedirono che ciò accadesse.

Il titolo tedescodel film per l’uscita cinematografica è ”Blutige Dämmerung”, che significa ”Bloody Dusk” in inglese. Il motivo del fischio inquietante sentito nella partitura di Brad Fiedel è un riferimento al fischio di salvataggio che Warren utilizza nel film.

Nonostante il suo autentico, alterato aspetto, la ”vecchia” casa-chiesa utilizzata nel film venne effettivamente costruita per la produzione del film.

Una prima bozza della sceneggiatura conteneva una scena con Jonathan che tenta di sedurre Merry Cat, invece che Merry Cat flirtasse con lui dopo la scena del ritrovamento del trucco di Megan.

Secondo il compositore Brad Fiedel, molti dei suoni inquietanti della partitura musicale erano in realtà clip audio elettronicamente alterate dei suoi vocalizzi, o di rumori e ronzii.

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Le voci di trivia seguenti possono rivelare importanti aspetti della trama.

Secondo Lieberman, nella scena in cui Ralph Seymour viene accoltellato, la macchina fotografica appesa al collo di Ralph volò verso l’alto e poi colpì l’attore in faccia mentre cadeva all’indietro sul terreno. Quindi l’espressione di dolore sul suo volto è molto reale.

Originariamente la rivelazione che il killer del film fosse una coppia di gemelli si verificava quando Jonathan viene attaccato sul ponte di corde.

Chris Lemmon (il figlio di Jack) stava eseguendo una scena veramente pericolosa quando è stato ripreso mentre era aggrappato alle corde dopo la sua caduta nel fiume impetuoso. Lemmon ha dovuto appendersi fisicamente alle corde per qualche tempo fino a che la potenza della corrente del fiume lo trascinò dentro. Solo una questione di metri di distanza fece sì che egli non arrivasse in cima ad un’enorme cascata che era ben nota per le persone che vi sono precipitate morendovi.

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A Lieberman l’idea per il finale del film con il pugno in gola è nata quando egli stava cercando di pensare a un modo per uccidere qualcuno che non era mai stato fatto in un film. L’inquadratura con il primo piano di questa eccentrica uccisione è stata fatta con una protesi di una bocca over-size posta su John Hansaker, mentre la moglie di Lieberman è stata utilizzata come controfigura per Beborah Benson. E’ suo il pugno che viene utilizzato nella scena.

Mai pubblicato in h.v. italiano, mai uscito nelle nostre sale, mai programmato da nessun canale tv, nemmeno DTT o SAT.

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Just Before Dawn

Anno: 1981

Regia: Jeff Lieberman

Interpreti: George Kennedy, Mike Kellin, Chris Lemmon, Gregg Henry, Deborah Benson, Ralph Seymour, Katie Powell, John Hunsaker, Charles Bartlett, Jamie Rose

Durata: 90 min.

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Mutant

05 martedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in alieni, B movie gagliardi, M, Recensioni di Andrea Lanza, scifi horror, vampiri, zombi

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alien predator, bambini zombi, cinema, film che portano sfiga, john "bud" carlos, mutant, recensione, recensioni, zombi come alieni

Due fratelli, Josh e Mike, vanno in vacanza in una città del sud, ma trovano gli abitanti o morti o scomparsi. Quando Mike stesso scompare, Josh si unisce allo sceriffo e ad una bella insegnante per trovarlo, fino a quando scopre che l’intera cittadina è stata infettata da una sostanza tossica che li ha trasformati in zombi vampiri che di notte vanno in cerca di sangue umano.

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John “Bud” Carlos dovrebbe avere scritto, ormai all’età di quasi 84 anni, sulla carta d’identità alla voce professione il generico “cinema” con una non banale simbiosi tra l’uomo e il suo lavoro. Eh si perchè John “Bud” Carlos è il cinema, un uomo di spettacolo che in più di trent’anni di carriera (dai 60 alla fine dei 90) ha rivestito con eccellenza i ruoli più disparati, dall’attore allo stunt (i bikers movie di Al Adamson), dall’effettista speciale al regista, lavorando persino con divinità come Sam Peckinpah e Alfred Hitchock sul set de Gli uccelli, Psycho e Il mucchio selvaggio. Nell’olimpo degli autori horror si è distinto quando, dopo il notevole western The Red, White, and Black, ha girato lo straordinario The Kingdom of Spiders con il mitico Capitano Kirk/William Shatner alle prese con un’invasione di ragni non proprio pacifici. Questo Mutant arriva nel 1984, quasi per caso, quando il regista Mark Rosman (Non entrate in quel collegio) viene cacciato a calci dalla produzione perchè “troppo lento e incompetente”.

GBf0120322012Ejx Non era la prima volta che John “Bud” Carlos veniva scelto come sostituto di un altro collega: nel 1979 subentrò per The dark al grandissimo Tobe Hooper. Sarebbe bello parlare benissimo di questo Mutant, conosciuto anche col titolo di Night Shadows, perchè è un onesto B movie che scorre liscio come l’olio per tutta la sua durata, ma è anche un horror traballante e zeppo di imperfezioni, a volte troppe, per potelo perdonare e rivalutare in pieno. Certo è che le recensioni che si trovano in rete non gli rendono giustizia contando che all’epoca, pur essendo un film non di grande spicco, si conquistò persino la copertina di Fangoria, non proprio la prima rivista del settore. Si sente sicuramente che la sceneggiatura ebbe diversi rimaneggiamenti per riuscire a cavalcare l’onda della mania aliena del periodo, ma questo va a discapito del filone morti viventi del quale fa parte.

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Mutant è infatti un ibrido che cerca di essere poco horror e che purtroppo mette in scena degli straordinari ed anomali zombi soltanto nell’ultimo quarto d’ora. La sua natura incerta gli impedisce di spiccare, ma anche di terrorizzare, fermandosi sempre sul più bello, mai splatter, mai troppo teso, a volte un po’ sciocco. Questi strani morti  viventi dal make up atroce però avrebbero meritato più fortuna soprattutto per la loro caratterizzazione: sangue chiaro (mancano i globuli rossi) e, malgrado l’aspetto ciondolante e putrefatto, più simili a dei vampiri. Oltretutto la sceneggiatura conferisce loro un tocco abbastanza bizzarro negli omicidi fornendogli lo strano potere di bruciare al tatto le proprie vittime.  Si tenta la carta ecologica, un  po’ come fecero i meravigliosi Fragasso e Mattei del nostro cinema di genere, fin dalla locandina che ci avverte che “stavolta il pericolo non viene dal cielo”.

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A seminare il disastro è una fabbrica di prodotti chimici che riversa nell’ambiente i suoi pesticidi come nel classicissimo Non si deve profanare il sonno dei morti di Jorge Grau, ma purtroppo Mutant non si sofferma mai abbastanza su questo tema rendendolo marginale e intercambiabile con un qualsiasi escamotage a caso dal cappello dello sceneggiatore. Alcuni momenti poi sono francamente imbarazzanti, e questo è sicuramente il peggior lavoro registico di John “Bud” Carlos, con un’incredibile e demenziale scena dove un dottore si trasforma in zombi tra urla e mugulii mentre la collega è troppo impegnata a registrare su nastro i suoi progressi scientifici per accorgersi del pericolo. Meglio sono le scene finali, quella manciata di secondi che vedono in  scena i morti viventi, inquietanti e di un certo effetto tra una nebbia innaturale, capaci di fondere i vetri delle auto solo toccandoli.

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Come nel troppo poco lodato The children di Max Kalmanowicz vengono presentati dei riuscitissimi bambini zombi dall’appetito vorace (si pappano il povero Cary Guffey di Incontri ravvicinati e di un paio di Bud Spencer movie) in una sequenza claustrofobica che è la cosa migliore del film. Tra gli attori spiccano il grandissimo Bo Hopkins nel ruolo di uno sceriffo alcolizzato e Wings Hauser in quelli del giovane protagonista, due recitazioni diversissime ma comunque ad alti livelli. Peccato che il resto del cast sia tra il pessimo e il mediocre non aiutato neppure da una sceneggiatura che abbonda di facili stereotipi, dai buzzurri contadini ai poliziotti stupidamente irrazionali. Spezziamo una lancia però a favore di Mutant (ottima colonna sonora di Richard Band tra l’altro) perchè alla fine diverte e risulta un onesto spettacolo d’intrattenimento, un prodotto cazzone da vedere con birra e cibo spazzatura, un B movie fiero di essere B movie grazie anche ai suoi difetti. Questo film, co-prodotto tra l’altro dal famoso conduttore Dick Clark,  fu all’epoca un sonoro flop, il suo budget a causa dei vari cambi registici e dei continui rallentamenti fece fallire un’intera casa di produzione, la Film Ventures International, una società di produzione indipendente attiva film dagli anni 70. ll suo fondatore, Edward L. Montero, anticipò l’arrivo del fisco e dei creditori rubando dalle casse un milione di dollari per darsi alla macchia, si vocifera, in Messico. La cosa curiosa è l’anno dopo si stanziò un cripto seguito di questa pellicola, Alien predator, girato in Spagna dal regista/attore Deran Sarafin: stesso flop e ancora una casa di produzione, stavolta quella del Carlos Aured di Monster dog (e deliziosi horror anni 70), in fallimento. Non abbiamo i dati su cosa successe con il (quasi) remake di Mutant girato dal greco Nico Mastorakis del 1989 e da noi uscito come Il giorno della crisalide, ma vi diamo un consiglio spassionato: se avete soldi non usateli per riportare in vita Mutant nei cinema, è senza dubbio un film che porta sfiga!

NB La vhs italiana ha il solito doppiaggio atroce riservato ai film diretti in video: le molte scene di lotta tra Hauser e gli zombi oltretutto non hanno neppure il rumore dei pugni ma un innaturale silenzio.

Andrea Lanza

Mutant

Titoli alternativi: Ombre nella notte (secondo la guida i film di Leonard Maltin), Night Shadows

Anno: 1984

Regia: John “Bud” Carlos

Interpreti: Wings Hauser, Bo Hopkins, Lee Montgomery, Jennifer Warren

Durata: 80 min.

VHS: Db Video

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Naturalmente Alien non è presente in questo film

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Ninja la furia umana

04 lunedì Nov 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, B movie gagliardi, N, ninja, Recensioni di Andrea Lanza

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l'invincibile ninja, ninja, ninja la furia umana, recensione, recensioni, sam firstenberg, sho kosugi

Gagliardo, anzi gagliardissimo film sui ninja che col tempo non solo ha assunto lo status di cult movie, ma materia con la quale rapportarsi per tutti i film sul genere a venire.

Certo Ninja la furia umana nasce come seguito scollegato del successo precedente con l’inusuale Franco Nero, L’invincibile ninja (Enter the ninja), nei panni di un altrettanto inusuale assassino vestito di bianco (?!?!?!), ma se lì, nel film di Menahen Golan, c’era il desiderio di autorialità anche nella gran cazzata, pregio e difetto di ogni film del regista/produttore israeliano da Delta force a Il delitto Versace, qui invece prevale il divertimento che sublima la materia rozza da grande spettacolo popolare con stile e fantasia.

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Alla macchina da presa un grande incompreso, quel Sam Firstenberg che per anni si dedicherà soprattutto al genere ninja con almeno un capolavoro nel suo curriculum oltre questo, I cacciatori della notte, e ricordato dai più solo per il mediocre American ninja. Sho Kosugi, nel film precedente cattivo qui buono, fa la parte del leone, i suoi combattimenti sono quasi balletti in un’idea di morte danzante che si rifà ai wuxia di Chang Chen, un passo avanti rispetto tutti gli atleti/attori che lo hanno preceduto e lo sostituiranno negli action marziali americani. Sam Fisterberg lo asseconda, enfatizza le scene con rallenti incredibili, avanti mille anni da quei primi anni 80 che a fatica, nel cinema usa e getta da videoteca, sapevano cosa fosse uno stile figuriamoci una coreografia.

Non solo, un gran ruolo gioca la musica quasi carpenteriana e la fotografia calda, fumettosa, iperrealista, anche perchè, senza neanche probabilmente saperlo, si sta girando un film che più pulp non si potrebbe, pre-tarantiniano, con ninja e mafiosi (Don Califano!), con cattivi grassi e sudici che torturano belle ragazze desnude manco fossimo in un Polselli o in un Pupillo dei bei tempi che furono, con bambini capaci di menare giganti, con il melò assaggiato e subito sputato perchè roba da femminucce.

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E’ il fumetto VM18 che prende forma, l’assurdo geniale che rutta in faccia a Le cahier du cinema e tutta la critica snob, la materia primordiale che diventa oro, quello spettacolo popolare che è estinto come un giorno saremo estinti noi, purtroppo. Tante le scene cult, tra ragazze infoiate che vogliono sedurre Sho Kosugi, nonne ninja, occhi di brace per ipnotizzare, omicidi girati sulla falsariga dei film di Dario Argento, combattimenti come il Dio del cinema comanda, assurdo che diventa sublime nel finale quasi iperrealista e delirante… Wow… Un film che nei ricordi è genio e quando lo rivedi ti esalta ancora dopo trent’anni non è cosa di tutti i giorni davvero…

Andrea Lanza

Ninja la furia umana

Titolo originale: Revenge of the Ninja

Regia: Sam Firstenberg

Interpreti: Shô Kosugi, Keith Vitali, Virgil Frye, Arthur Roberts, Mario Gallo, Grace Oshita, Ashley Ferrare, Kane Kosugi

Durata: 90 min.

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Accerchiato

02 sabato Nov 2013

Posted by andreaklanza in A, action, azione, drammatici, Recensioni di Andrea Lanza, western

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accerchiato, nowhere to run, recensione, recensioni, robert harmon, van damme

Eccoci arrivati a parlare della pellicola più vituperata e odiata dai fan di Van Damme, quell’Accerchiato (Nowhere to run) che fu oltretutto un insuccesso clamoroso anche al botteghino. I motivi di tanto astio sono facilmente riconducibili al fatto che l’attore, al culmine del suo successo artistico, medita e ridiscute la sua carriera cominciando a scegliere ruoli più introspettivi e meno legati alle arti marziali. Ecco che il suo personaggio, Sam Gillen, evaso di prigione, con la barba malfatta un po’ alla Mickey Rourke, mena forte i pugni, si lancia in testosteronici inseguimenti con la moto ricordando la lezione John Woo, ma non si dedica ai famosi calci volanti o alle spaccate che solo pochi anni prima avevano aperto alla star belga i cancelli dorati delle produzioni ricche.

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A sorpresa il film non è male, anzi…

Invecchiato meglio di altre pellicole più ricordate, Accerchiato è la conferma che Van Damme poteva essere sdoganato nella serie A, quella dove i critici potevano recensire i film senza paura di essere infettati dal cinema basso e popolare, lo stesso terreno dove giocavano Sly e Swarzy ormai in fase calante. La regia di Robert Harmon, uno dei tanti autori incapaci di bissare la riuscita di un precedente capolavoro con un altro capolavoro, qui si parla del cult con Rutger Hauer The hitcher, è stranamente ispirata, con carrellate mozzafiato, rallenti al posto giusto e un respiro da western moderno particolarmente azzeccato.

Fa un po’ sorridere la sceneggiatura, tra gli altri, di Joe Eszterhas, fresco fresco dal successo di Basic Istinct, e di Richard Marquant, autore culto dell’horror Il testamento, che infarcisce quello che sulla carta è un remake del classico Il cavaliere della valle solitaria di George Stevens con un sottotesto pedofilo nel rapporto iniziale tra Van Damme e il piccolo Kieran Mckulkin (quando la sorella interrompe i due che stanno parlando, Gianni Claudio nudo nel lago e il piccolo in edonistica contemplazione, il bambino l’apostroferà con “Devi rovinare sempre tutto!”).

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All’epoca dell’uscita erano proprio queste scene, compresa una terribile cena dove i due fratellini con la madre commentano le grandezze del pene di un imbarazzato Van Damme, ad essere messe alla berlina da una parodia su Ciak di Disegni e Caviglia. Si capisce poi che alla fine, pur se malamente descritto, il rapporto tra l’uomo è il bambino è senza malizia e vuole essere quello di padre e figlio, lui con un passato che non chiariremmo mai del tutto, il bambino con l’ombra del  genitore appena scomparso.

Notevole il personaggio di Van Damme, lontano dall’eroe puro che, Cyborg a parte, siamo stati abituati a vederlo rivestire: spia di nascosto Rosanna Arquette mentre fa la doccia, poi entra in casa di notte forse intenzionato a violentarla, salvo essere messo in fuga dal figlioletto della donna che lo scambierà per ET in un momento di folle scult narrativo.

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Il film come già detto è fantastico sul piano spettacolare, interpretato da due protagonisti convincenti, al massimo del loro splendore fisico, soprattutto un’Arquette statuaria e sensuale, e non si risparmia quelle due o tre battute di culto che facevano grandi gli action del ventennio scorso (ad un minaccioso Joss Ackland che avanza verso Van Damme urlando “Non sai chi sono”, il belga, colpo con portiera sui testicoli, risponderà “Ma so chi sei”). Bellissima poi la scena dei fenicotteri rosa al drugstore, quasi pre tarantiniana.

Un film da riscoprire senza ombra di dubbio.

Andrea Lanza

Accerchiato

Titolo originale: Nowhere to Run

Anno: 1993

Regia: Robert Harmon

Interpreti: Jean-Claude Van Damme, Rosanna Arquette, Kieran Culkin, Ted Levine, Tiffany Taubman, Edward Blatchford, Anthony Starke, Joss Ackland, Jophery C. Brown, Tony Brubaker

Durata: 90 min.

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Compleanno di sangue

01 venerdì Nov 2013

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, C, Recensioni di Andrea Lanza, slasher, tette gratuite, thriller

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compleanno di sangue, film solo in vhs, Glenn Ford, j. lee thompson, Melissa Sue Anderson, recensione, recensioni, slasher fighi, spiedino come arma

Un vero incubo! Una graziosa studentessa di un collegio esclusivo scompare misteriosamente. Da quel momento inizia una terribile catena di eventi… un raccapricciante omicidio dietro l’altro. Mentre la serie di delitti aumenta, i sospetti ricadono su una studentessa mentalmente squilibrata: tutto si chiarisce nel corso di una macabra festa di compleanno nella quale tutti gli ospiti hanno una cosa in comune… sono tutti cadaveri! Orrore e terrore su vasta scala, con Glenn Ford come protagonista e la regia di J. Lee Thompson che vi terrà costantemente col fiato sospeso.

(Trama sul retro della vhs)

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Che strana sensazione vedere questo slasher di inizio anni 80! L’effetto sorpresa viene dato soprattutto da un cast che non annovera i soliti due o tre ignoti dalle belle speranze ma un fuoriclasse, anche se vecchio e malconcio, come Glenn Ford. C’è da dire che a fine carriera il bravo attore di tanti western e di quel Gilda immenso capolavoro non stava a guardare molto la qualità dei copioni: pure se interpretava papà Kent in un kolossal come Superman, subito dopo lo si poteva trovare in pasticciacci italiani sul demonio come lo Stridulum di Assonitis o in pomposi thriller apocalittici come Ultimo rifugio: Antartide di sua maestà Fukasuku. Quindi, come per tanti altri attori sul viale del tramonto,  la quantità regnava più che la qualità. Che comunque questo slasher canadese avesse più ambizioni rispetto ai cloni americani di Halloween è chiaro anche dall’eccessiva durata, quasi due ore, e dai preziosismi stilistici della regia di J. Lee Thompson.

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Compleanno di sangue (in inglese Happy birthday to me) è uno strano ibrido tra un thriller hitchcockiano (e le sue derive hardcore depalmiame) e il teen horror a base di maniaci alla Venerdì 13. Certo di assurdità a livello concettuale il film ne è zeppo a partire da un’avanguardistica teoria che vuole la corrente elettrica capace di rigenerare le cellule cerebrali perdute (d’altronde Glenn Ford qui nei panni di un dottore si chiama Faraday) o il modus operandi del killer che non può far ricordare la genialità ingenua di certi cattivoni alla Scooby Doo. Il film non è americano ma canadese, ma, pur non conoscendo il budget, sembra una produzione mediamente ricca. Firmarono ben tre persone la sceneggiatura, tra i quali il John C.W. Saxton di Ilsa la belva delle SS e Classe 1984, e fu revisionata (non accreditato) da John Beaird, autore del cultissimo Il giorno di San Valentino. J. Lee Thompson era un autore abbastanza sfortunato, girò nel periodo 60/70 molte pellicole importanti tra i quali Il promontorio della paura remakizzato nientepocodimeno che Scorsese e alcuni tra i migliori Charles Bronson come Candidato all’obitorio e Sfida a white Buffalo, ma non riuscì mai ad imporsi ed essere ricordato come doveva da pubblico e critica, restando uno dei tanti shooter utlizzati da Hollywood e dintorni come buoni a tutto.

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A fine carriera oltretutto il suo livello qualitativo si abbassò inesorabilmente arrivando a girare un infame thriller sulla pedo pornografia tra i più inenarrabili della Cannon, Soggetti proibiti, con il suo Charley Bronson sempre più granitico e assente. Insieme a Glenn Ford troviamo la giovane (e bellissima) Melissa Sue Anderson, attrice amata dalle famiglie di tutto il mondo per essere la ragazzina bionda de La casa nella prateria. Il livello recitativo del cast comunque è superiore alla media del genere e gli interpreti non sembrano una volta ogni tanto presi a casaccio da qualche Spring breaker ad alto tasso alcolico. Se i nudi sono assenti (ma la Anderson appare in reggiseno e mutandine) lo stesso non si può dire del sangue, che è vero non si presenta in scene splatterissime, ma possiede una crudeltà concettuale abbastanza feroce (non dimentichiamo la scena clou dove uno spiedino viene infilato con forza in bocca ad uno sventurato). Alcune morti poi sono abbastanza scorrette come quando un peso viene fatto crollare sul pacco visibilmente in erezione di un atleta aumentando esponenzialmente il concetto tipico del genere di sesso uguale morte. C’è anche un’influenza tipicamente argentiana nel descrivere il look dell’assassino che vediamo (almeno all’inizio) presentarsi con guanti neri, soprabito e un rasoio pronto a tagliare la gola delle sue vittime.

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Di solito questo Compleanno di sangue non viene ricordato con grande piacere né dai fan né dai cinefili eppure, pur presentando tanti difetti, non ultimo il desiderio di far credere colpevole ogni cinque secondi una persona diversa, è uno slasher divertente e pieno di guizzi che non deve mancare nella videoteca di ogni fan. Eh si perché il film di Thompson resta un grande inedito su supporto digitale, almeno in lingua italiana, ed è visibile soltanto in una vecchia vhs Columbia. Però tanto di cappello ad una pellicola che neanche a metà film ti mostra chi è il killer salvo poi ribaltare il tutto in un finale così assurdo e poco coerente da essere per forza cult.

Andrea Lanza

Compleanno di sangue

Titolo originale: Happy birthday to me

Anno: 1980

Regia: J. Lee Thompson

Interpreti: Melissa Sue Anderson, Glenn Ford, Lawrence Dane, Sharon Acke

Durata: 115 min.

VHS: COLUMBIA – VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI

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