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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

Malastrana VHS

Archivi Mensili: aprile 2014

Senza tregua (Hard Target)

19 sabato Apr 2014

Posted by andreaklanza in azione, capolavori, Recensioni di Manuel Ash Leale, Van Damme

≈ 3 commenti

Tag

hard target, john woo, recensione, senza tregua, van damme

Non ho mai cercato l’efferatezza fine a se stessa, ho sempre privilegiato la poesia, l’eleganza dell’azione.

Chiunque conosca anche solo un poco la filmografia di John Woo non può esimersi dal riconoscere la veridicità di questa affermazione. La poetica di Woo, Leone d’Oro alla carriera nel 2010, è nell’azione più pura e nella violenza mai fine a se stessa, ma intesa come strada per la redenzione. Difficile, probabilmente, riuscire ad intendere in modo preciso ciò che i film del regista cantonese rappresentano, ma la questione si pone esclusivamente per la nostra differenza culturale. Abituati come siamo al machismo hollywoodiano e cresciuti con i miti dei film americani, gli inossidabili eroi invincibili interpretati dai grandi action-man che hanno fatto la storia del Genere, da Sly Stallone a Schwarzenegger, Willis, Norris e tutti gli altri, è palpabile la complessità nel definire un action movie “poetico”. Eppure la maestria di Woo sta proprio qua e film come A Better Tomorrow e Hard Boiled sono lì a dimostrarlo.
Non sorprende, quindi, la corte che Hollywood fece al regista cinese nei primi anni novanta, tanto da convincerlo a lasciare Hong Kong e volare negli States per il suo primo film americano, Hard Target, nel 1993. Certo è che non tutti si fidavano ciecamente dello straniero, forse proprio per quella differenza culturale sopra citata, oltre che per il diverso approccio all’action che Woo aveva sempre adottato nelle sue opere. Per un motivo o per un altro, la Universal decise di produrre, sotto però la supervisione di Sam Raimi, che con la sua Renaissance Pictures figura infatti tra i produttori. Il film non aveva un budget molto elevato ma la sfida era un’altra: girare un film americano con lo stile di un regista cinese che, in patria, era considerato una star.

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Tra gli script presentati è quello di Chuck Pfarrer (Virus, Pianeta Rosso) ad essere scelto, ma quando Woo tenta di ingaggiare come protagonista Kurt Russel, la produzione sembra non essere d’accordo e alla fine il ruolo va ad una delle star più in voga del momento, Jean-Claude Van Damme.
Sulla questione esistono diverse versioni: in una è il belgian hero a fare pressioni alla Universal per recitare con John Woo, in un’altra sono gli impegni di Kurt Russel a costringere il regista a ripiegare su JCVD, in un’altra ancora è Van Damme che convince Woo a fare un film con lui in America. Ma qualunque sia la versione della storia e qualunque sia la verità, i fatti non si possono cambiare. E dicono a lettere cubitali che Hard Target è un John Woo trattenuto. Di Senza Tregua, titolo italiano che come sempre lascia a bocca aperta per l’attinenza con l’originale, esiste infatti una versione director’s cut, circolata negli States dopo che il film fu tagliato e censurato, cosa che sicuramente non rese molto felice il regista cinese. Ed è un vero peccato perché di potenzialità, sebbene si basi su di una sceneggiatura altalenante, questo film ne ha parecchie.

Non dare la caccia a ciò che non puoi eliminare.
Da sola, la tag-line di Hard Target basterebbe a far capire i territori bellicosi dove si aggira la pellicola, che sembra modernizzare elementi di Schoedsackiana memoria, riconducibili a The Most Dangerous Game, pellicola diretta appunto da Ernest B. Schoedsack nel 1932, in contemporanea al suo capolavoro, King Kong (1933). Rivisitazione involontaria oppure no, la trama di Senza Tregua si snoda lungo New Orleans e il bayou, presentando finalmente un JCVD che non solo sfoggia i suoi calci leggendari, ma si diletta anche con armi da fuoco e acrobazie motociclistiche: tutto ha inizio con l’uccisione di Douglas Binder, veterano dell’esercito ora ridotto ad un senzatetto, che decide di partecipare, dietro lauto compenso, ad una caccia all’uomo, dove la preda è lui stesso. Quando scompare, la figlia Nat si mette sulle sue tracce e trova inaspettato aiuto in un ex soldato delle forze speciali, Chance Boudreaux, senza lavoro e bisognoso di soldi. Scopriranno che dietro alla morte di Binder c’è la mente di Emil Fouchon, che organizza caccie all’uomo per ricchi borghesi annoiati e si ritroveranno presto costretti a combattere per la loro vita.

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Un western moderno, serrato, sporco, violento e senza scrupoli, in una New Orleans difficile e problematica, Hard Target è un giro sulle montagne russe, una grande salita prima della discesa senza freni nella follia e nell’action esplosivo e infernale di un finale duro, girato con maestria da un grande dell’azione made in Hong Kong, che anche qui, nel suo primo film a stelle e strisce, non manca di utilizzare i suoi marchi di fabbrica, ralenti perfetti, inquadrature memorabili, scontri violenti e senza tregua. Nonostante un discreto successo al botteghino la critica non mancò di definirlo il peggior film del cineasta asiatico, soprattutto per la scarsa considerazione di cui godeva all’epoca Jean-Claude Van Damme, considerato un attore scarso e di poco talento. È innegabile che non fosse, così come non lo è tuttora, un interprete da Oscar, ma i luoghi comuni, le frasi fatte e gli stereotipi si sprecavano, figli di quello snobismo proprio di certa critica non solo estera, ma anche italiana. Facile fare i critici definendo capolavori i film che lo sono senza ombra di dubbio, più difficile trovare bellezza, poesia, qualità e onestà in opere che vanno comprese aldilà dell’apparenza e della prima, singola e svogliata visione. Da questo punto di vista, Van Damme non è stato molto fortunato, sebbene sia diventato, nel corso degli anni, un buon attore, che riesce anche ad andare oltre gli action nonostante per lui rimangano una seconda casa.
L’inespressivo belga, come da tanti viene definito, possiede ancora una fisicità e un atletismo invidiabile e John Woo non mancò di notarlo, nel ’93, andando oltre stereotipi e sfottò, sfruttando al meglio le capacità di JCVD in scene tese, coinvolgenti, rapide, con qualche sprizzo di machismo, è vero, ma pur sempre di una produzione americana si trattava. E al fianco di un protagonista che non solo mena pugni e calci come se non ci fosse un domani ma cavalca moto e salta con nonchalance su auto in movimento, ci sono Yancy Butler (Witchblade, Kick-Ass), Wilford Brimley (Sindrome Cinese, La Cosa, Cocoon), Arnold Vosloo (La Mummia, Darkman 2, Blood Diamond) e soprattutto un cattivo con i fiocchi, uno spietato Lance Henriksen (Terminator, Aliens, Millenium).

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Sono passati ventun anni dall’uscita nelle sale. Nel frattempo tante cose sono cambiate, nel cinema e nel modo di intendere l’action, sono nate nuove stelle e le preferenze degli spettatori sono mutate con l’avvento delle nuove generazioni, per la maggior parte più inclini ad un cinema veloce, istintivo, cool e colmo di realistica CG. Nulla in contrario, ma forse qualcosa l’abbiamo perso per strada, vendendo l’anima di qualche eroe per un pugno di effetti speciali. Già, gli eroi, quelli che sistemavano la situazione con calci e pugni, o con ogni arma a portata di mano, quelli che cercavano di fare la cosa giusta anche se con mezzi non proprio ortodossi, combattuti e combattenti, magari frustrati e sofferenti, divertiti o divertenti. Non gli Iron Man, i Thor, i supereroi e nemmeno i Jack Sparrow, ma gli altri, i John McClane, gli Axel Foley, i John Matrix. E perché no, anche gli Chance Boudreaux, con l’imbarazzante capigliatura mullet di un Van Damme all’apice e nel pieno di un successo a cui forse non era preparato. Hard Target ha qualche difetto, non è perfetto, non è un capolavoro. Ma quando ti si para davanti una scena finale così, diretta da uno dei più grandi registi action in circolazione, tutto il resto può andare bellamente a farsi fottere.

Manuel “Ash” Leale

Senza tregua (Hard target)

Anno: 1993

Regia: John Woo

Interpreti: Jean Claude van Damme, Lance Henriksen, Yanci Butler, Arnold Vosloo, Wilford Brimley, Kasi Lemmons, Marco St.John, Wilford Brimley, Chuck Pfarrer

Durata: 97 min | 73 min (cut) | 116 min (Director’s Cut) | 128 min (Workprint Version)

HardTargetPoster

Viaggio vintage nel videogame horror su Ps1

12 sabato Apr 2014

Posted by andreaklanza in Recensioni di Andrea Lanza, videogame

≈ 2 commenti

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andrea lanza, dino crisis, giochi ps1, parasite eve, playstation, silent hill, spring breakers, survival horror, the note

Lo ammettiamo: scrivere senza essere pagati dev’essere stimolante, ti deve davvero piacere o finisci con recensire, con la stessa gioia di vitello pronto ad essere macellato, l’ultimo film di Scott Adkins. Diamine, giovani, ho detto Scott Adkins non micio micio bau bau. Scott Adkins è il top dei top, il re Mida dell’action, colui che potrebbe portare con orgoglio lo scettro del vandammesimo senza paura di sfigurare. Ecco se davanti a lui siete apatici, un po’ come essere impotenti davanti a Jenna Jameson, vuol dire che vi serve una vacanza, il Messico, la tequila, combattimenti a mani nude con un alligatore, muovi questo culo chica, al panifilo amici, è uno zombi o un balbuziente? Vacanze. Ecco il perchè di questa pausa di un mese e mezzo. Oltetutto non la prima di questo blog e neppure l’ultima, ma i beghini stavano già contanto i corvi sopra le nostre teste, maledetti. Uccidere Malastrana è come cercare di inculare un bulldog senza pensare di essere poi, giustamente, sbranati. E che cazzo, d’altronde, i bulldog mica sono chiwawa, è come far fare 300 parte seconda ad un Ateniese, figo figo ma sotto sotto che cazzata.

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Diciamo che sono un uomo semplice: mi piace il divertimento e la giusta dose di menate intellettuali, amo le tette gratuite ma mi commuovo davanti ad Hong kong Express. Dura la vita quando i tamarri ti guardano con sguardo biego, “Ok Seagal, ma cazzo è questo Hanneke?”, i critici dei salotti buoni ridono di te e di una nouvelle vague cinese e non francese, manco la gioia di essere accettato dai pervertiti perchè a te piace, cazzo, il porno d’autore, e non tette culi e belle sborrate di youporn. Beh comunque mi è capitato a fine Febbraio di non avere più stimoli, di guardare i film e pensare “ma che cazzata”, ed era vero che erano cazzate, ma quando non distingui più la cazzata micidiale da quella divertente è un bel problema. Perciò, come diceva il mio amico Biff, ho preso armi e ritagli e ho aspettato come Confucio che tornasse quella voglia, ho frustato i miei storici colaboratori per recensire sempre e comunque, e sono tornato qui, in questa landa che amo come un figlio. Ho materiale nuovo in archivio, dai Vanzina thriller a Van Damme diretto da John Woo, ma oggi voglio fare qualcosa di diverso, perchè appunto non mi pagano, come dicevo poco prima, e posso respirare l’aria pura della libertà intellettuale. Stasera voglio parlare di videogame, in un appuntamento che voglio riprendere anche in futuro con altre console, ma questa volta voglio concentrarmi con la mitica playstation 1 e con il mio genere preferito il survival horror. Naturalmente sto scrivendo per Malastrana vhs e perciò tralascerò titoli ormai troppo famosi come i bellissimi Resident Evil e Silent hill, ma mi concentrerò su giochi meno famosi, magari da noi neppure usciti, ma che sarebbe bello qualche stronzone della Sony decidesse di ristampare magari in Hd. Quelli della playstation erano tempi mitici: potevi giocare a milioni di titoli pagando cifre irrisorie al tuo spacciatore, di solito il gestore di una videoteca che nel darti i dischi copiati tremava pensando tu fossi un fottuto federale con il morbo del nanismo. Il mio si chiamava Daniele e una volta mi nascose i giochi nel pertugio di un muretto, un luogo impossibile da trovare senza una mappa, e che ci crediate o meno, quel pazzo mi diede davvero una mappa. Con la modifica, fanculo se fosse una cosa morale o meno, un ragazzino che non avrebbe mai potuto permettersi un gioco da 100 mila lire, poteva, senza internet veloce, avere a portata di mano il mondo, con giochi fantastici, dalla grafica portentosa, frutto di una magia azteca probabilmente, visto che a giocarci ora sembrano l’aborto di un pittore futurista. Non tutti, anche se dispiace che una figata assurda come Syphon filter, il sogno di ogni amante dell’action hongkonghese, ora faccia venire al massimo i mal di testa, con il cattivo che si confonde col buono per via dei pixel sbarazzini, maledetti stronzissimi pixel. Beh comunque tra i vari generi presenti c’era il survival horror: inutile dire la paura che faceva Resident evil, con i corridoi lunghissimi e i cani che irrompevano all’improvviso, una cosa così figherrima che dimenticavi di non sapere l’inglese, unica lingua del gioco.  Ecco, Resident Evil, come Silent hill, era il must del genere, ma oltre a loro prolificarono giochi molto meno famosi, ma non per questo meno interessanti. Anzi alcuni, come Clock tower, vennero pure prima e vissero una vita travagliata ma piena di interessanti spunti. Ma andiamo in ordine e cominciamo proprio con lui.

Clock tower

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Uscì per Playstation ne 1997 ma era già stato visto e giocato per Super Famicon (il corrispettivo jappo del Super Nintendo) nel 1995, quando Resident Evil neanche si sapeva che fosse. Per la play aveva alcune migliorie grafiche, ma restava sempre un grande gioco del terrore anche in versione più scrausa. Clock tower era il più grande omaggio videoludico a Dario Argento e al suo Phenomena, ma dentro convivevano anche altre opere del maestro italiano, come la celeberrima scena dell’impiccagione di Suspiria. Quello che contraddististingueva Clock tower da ogni altro videogame horror, anche il famigerato Alone in the dark, era la sensazione di terrore e impotenza che percepiva il giocatore ad indossare i panni di Jennifer Simpson, studentessa in balia di un pazzo e deforme assassino in una magione gotica. Il gioco, fondamentalmente un punta e clicca, si basava sull’intuizione del doversi nascondere piuttosto che del combattere i mostri, con un’atmosfera paranoica unica. Clock tower non uscì mai fuori dal territorio nipponico, ed è per questo che Clock tower 2 in America uscì come Clock tower, anche se raccontava il seguito di quella prima avventura, un anno esatto dopo i delittuosi fatti accaduti alla sfortunata Jennifer. Stavolta a dare la caccia a lei e ai suoi amici era il misterioso uomo forbice, un assassino con il vizietto di decapitare le sue vittime. Il gioco, come per il precedente, presentava l’accattivante idea di un terrore così assoluto da poter fare impazzire letteralmente la giovane protagonista. La serie non si fermò qui e continuò con un capitolo scollegato, in America Clock Tower II: The Struggle Within, in Giappone Clock Tower: Ghost head, dove stavolta la storia ruotava intorno ad un’altra ragazza, Alyssa. Divertente, ancora più folle dei precedenti, questo nuovo Clock tower presentava un’eroina davvero anomala, dotata di una personalità multipla e schizzata, chiamata non per nulla Mr Bates. Sulla base di questo capitolo la Capcom, grazie alla collaborazione del grande regista Kinji Fukasaku, creò un remake next gen per playstation 2, ben fatto ma purtroppo mancante di tutta la genuina paura che avevano il suo modello e i suoi fratelli di sangue. Ogni Clock tower è ricordato poi per la marea di finali possibili, ben 13 in Ghost head, ed esistono persino dei romanzi ispirati alle avventure di Jennifer Simpson, anche loro mai esportati al di fuori dell’Oriente.

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D

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Il survival horror doveva avere una predilezione per le belle eroine, ma anche per il punta e clicca. In questo gioco, bellissimo e tenebroso, ci troviamo a rivestire i panni della bionda Laura, e vedere attraverso i suoi occhi un mondo bizzarro che cambia, un po’ alla Silent hill, scenario, da un ospedale pieno di cadaveri ad un castello pieno di pericoli. D, che avrà pure due seguiti, uno per lo sfigato Saturn (Enemy zero) e uno per l’ancor più sfortunato Dreamcast (D2), era un gioco maturo nei temi, affrontava il cannibalismo e le malattie ereditarie, un po’ sulla scia del primo Cronenberg o del Margheriti di Apocalipse domani. Purtroppo il gioco è invecchiato peggio di altri, soprattutto graficamente, ma ha dalla sua una storia interessante come poche, senza dimenticare le bellissime musiche del mai troppo compianto Kenji Eno.

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The note

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Uno dei survival horror meno noti, ma stranamente tradotto anche in italiano. Gioco in prima persona, raccontava la storia di Akira, giornalista freelance, incaricato di trovare la figlia scomparsa di una misteriosa committente. Questa volta il punto di forza del gioco erano gli enigmi, visto la scarsa possibiltà di affrontare a viso aperto i pochi nemici. Non era un gioco particolarmente amato, tanto che raccimolò un po’ dappertutto voti negativi e fu distribuito malamente. Non male a dire il vero, con una sua atmosfera unica, aveva purtroppo, anche all’epoca, una grafica raccapricciante.

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Parasite eve 1 e 2

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Squaresoft era la casa principe di Final Fantasy e ad un certo punto pensò di unire il gdr con il survival horror, ottenendo un ibrido dove i mostri apparivano casualmente nel gioco. La protagonista Aya Brea era di rara bellezza, così come la grafica, ma la prima parte risultava troppo insapore. Meglio con il numero 2, più bilanciato e con mostri mitocondri più bizzarri. Ultimamente si è aggiunto un nuovo capitolo su psp, ma nulla di che, soprattutto se confrontato alla scena del massacro iniziale all’opera nel primo e alla doccia voyeur di Aya nel secondo. In Italia arrivò solo il numero due, maledicendo Dio e gli uomini.

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Dino crisis 1 e 2

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La Capcom voleva rifare il colpaccio di Resident evil e pensò bene di sfruttare il genere dei dinosauri cattivoni reso immortale da Spieberg e il suo Jurassic Park. La struttura era la stessa del suo successo a base di zombi, solo che stavolta i giocatori impersonando la rossa Regina trovavano nelle stanze di una base dinosauri velocissimi e incattiviti. Nel numero 2 si pensò di puntare più sull’azione, ma, pur se il gioco era ancora più bello, deluse i vari fan. La Capcom non si arrese e sfornò per Xbox un terzo Dino crisis, stavolta nello spazio. Difficile dimenticare i bug di questa nuova avventura, la telecamera che inquadrava a destra mentre tu eri attaccato da un dinosauro meccanico a sinistra, e l’assoluta assenza di Regina, già per questo bocciato. Ora a chi chiede se verrà mai rieditato Dino crisis 3, la Capcom manda un sicario come risposta.

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 Overblood 1 e 2

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Siamo lì lì, al confine tra fantascienza e horror, ma la parte scifi è più preponderante. Ci piace però inserire i due Overblood per il titolo fighissimo e per essere il primo gioco survival su ps1 ad usare un ambiente virtuale completamente tridimensionale (ma il primato spetta a Dottor Hauzer su 3do del 1994). Nel primo troviamo un uomo che, risvegliatosi da un sonno criogenico, si troverà a scappare, senza memoria,  da un laboratorio segreto, il secondo è invece un ibrido free roaming ambientato nell’anno 2115. La cosa curiosa è che in Overblood il nome del protagonista cambia dal Raz Karcy della versione giapponese al Lars di quella occidentale, ma, detto tra di noi,  entrambi i giochi sono abbastanza orribili, legnosi e con una grafica anche all’epoca inconcepibile. A memoria però ricordo Overblood 2 molto colorato.

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Nightmare creatures 1 e 2

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Anche qui la parte horror è poca cosa, pur con ambientazioni da gotico Hammer e una serie di mostri fantasiosi e letali. I due giochi sono molto di più calibrati verso l’avventura frenetica i terza persona, tanto che, per non perdere una vita, dobbiamo riempire una barra di adrenalina con i combattimenti. Interpretiamo, nel primo, a scelta o la bella Nadia, armata di una spada, o il feroce Ignatius Blackward, abile a prendere a bastonate i mostri (ma la scelta di armi è davvero molto varia), mentre nel secondo siamo un folle scappato dal manicomio. La storia è poca cosa davvero, non per nulla stavolta nessuno ha sentito il bisogno di un doppiaggio italico. Molto carini comunque.

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Echo Night/Echo Night 2 – Nemuri no Shihaisha

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Echo Night era un survival horror in prima persona, ambientato su una nave, molto notevole soprattutto per atmosfera unica. Echo Night 2 – Nemuri no Shihaisha ne era il seguito, ancora migliore, ma purtroppo restò ancorato nel Paese del Sol Levante. Erano sì cloni di Resident Evil a livello concettuale, ma anche giochi molto ben fatto, capaci di coinvolgere come pochi altri e di riuscire a raccontare con efficacia due terrorizzanti storie gotiche. Sulla ps2 uscì un altro capitolo, ambientato nello spazio, notevole anch’esso ma non di molta fama, purtroppo.

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Hellnight (Dark messiah)

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Stavolta siamo davanti ad un horror puro, in prima persona, conosciuto in Giappone come Dark messiah. La peculiarità del gioco è che si incontra un solo mostro, non si può combatterlo ma solo scappare, e che ogni persona che si incontra è il corrispettivo di una vita da usare se ci si imbatte nel nostro nemico. Claustrofobico, a tratti cerebrale, non ottenne molta fama fuori dal suo Paese, ma fu rivalutato in pieno boom del survival horror come uno degli esponenti più originali.

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Koudelka

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La lezione di Parasite eve era stata ben colta: gdr più horror. Ambientato a fine 800, il gioco (in italiano!) presenta un personaggio principale fantastico,  Koudelka Iasant, una giovane zingara con poteri soprannaturali, tra le eroine più belle di sempre. Pur con ambientazioni gotiche questo strano ibrido non riuscì purtroppo mai a convincere, soprattutto per via di un gameplay legnoso in contrasto con eccellenti filmati in CGI. Dalle ceneri di Koudelka però nacque una serie interessante per Ps2, Shadow hearts, capace di far respirare orrori di stampo lovecraftiani con concitati combattimenti. La lezione di Koudelka era stata capita e migliorata.

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Galerians

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Un clone di Resident evil poco horror, che prende a piene mani da Scanners, Blade Runner e Akira. Legnoso da giocarci, molto manga come stile, Galerians non era proprio uno dei migliori esponenti del genere, anche se all’epoca ebbe pure qualche critica entusiasta, soprattutto per i temi maturi toccati dalla storia. Peccato che a noi uomini gretti interessi più la carnazza che altro e lo abbandonammo dopo poche ore di gioco senza neanche dare un occhio al suo seguito su Ps2.

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Dark Tales: From the Lost Soul

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Strano gioco horror mai distribuito fuori dal Giappone. Siamo in una sorta di Scegli la tua avventura in versione videoludica con una storia che prosegue, tipo film, e tu che devi decidere cosa farà il tuo personaggio, da semplici scelte di direzione, svolta a sinistra o destra, ad altre di stampo morale come se uccidere o meno qualcuno. La visuale è in prima persona, ma il gioco ricorda i vecchi antologici de I racconti della cripta. Le storie sono tre, tutte presentate da uno strano figuro:

– Cat & Mouse (un detective insegue un serial killer in un parco di divertimenti abbandonato)
– Ghost Writer (uno scrittore è in pericolo dopo avere ricevuto un CD misterioso)
– The Honeymoon (una coppia di sposi e una scorciatoia pericolosa)

Ah dimenticavo nel gioco non incontrerete mai nessuna persona, sentirete solo il suo respiro o la voce. Ancora più strambo e inquietante.

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Juggernaut

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Anche se le premesse erano da vero horror, con una ragazza impossessata da uno spirito malvagio e il suo ragazzo che per salvarla penetra nella sua mente, purtroppo il tutto si risolve con una copia malfatta di Myst densa di enigmi e dalla brutta grafica. Da evitare nel caso lo trovaste in cantina, magari eredità del vostro zio giapponese patito di videogames.

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Martian Gothic: Unification

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Martian Gothic era all’epoca il massimo esponente del survival horror di stampo spaziale. Naturalmente siamo in puro campo clone di Resident Evil, ma con parecchie idee interessanti, non ultima che i personaggi giocanti non potevano mai incontrarsi, pena il game over. Anche a livello grafico il gioco era davvero molto ben fatto e sicuramente divertente nel portare il genere zombesco in ambito scifi.

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Chaos Break

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Chissà perché i cloni di Resident Evil la buttavano sempre sulla fantascienza e mai sul puro orrore. Chaos Break era un gioco abbastanza mal fatto, poco divertente, dove in una base stile Umbrella dovevi scongiurare un invasione di mostroni. Potevi scegliere il clone di Jill Valentine o quello di Chris Rendfile, ma contro la noia nulla poteva vincere. Immaginate corridoi sempre uguali, mostri sciatti e poco fantasiosi, una grafica da vomito e l’orore di scoprire che prendere a cazzotti un nemico faceva più male di una bazookata.

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Countdown: Vampires

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I programmatori della  K2 LLC devono aver pensato ad un’idea originale per un survival horror, ma si sono arresi presto buttando in pasto alla povera gente un Resident Evil senza zombi ma con vampiri. Io prego Dio che nessuno ci giochi mai a questa cosa perchè non è divertente, è abbastanza stupida concettualmente e non appassiona mai. Peggio c’è solo la ragazza coi denti da squalo di 2001 maniacs pronta a farti un pompino. Per farvi meglio capire l’eroe di turno va in giro per il gioco vestito da Guerriero della notte, senza maglietta e con i muscoli ben oliati, quasi a invitare i vampiri a succhiargli il collo senza fatica.

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E con questo papiello siamo arrivati alla fine e, prima che ce lo diciate, sappiamo che mancano dei titoli, come il punta e clicca Necronomicon, ma aspettiamo di giocarci con mano perchè è vero che anche qui ci siamo affidati a volte ai ricordi di giovinezza, ma un conto è arricchire con la fantasia la smemoratezza, un conto è sparare a cazzo su qualcosa neanche provata. Torneremo settimana prossima con un Van Damme recensito dal nostro Ash Leale, ma per questa settimana, amici malastrani è tutto.

Andrea Lanza

Tornerò anch'io!

Tornerò anch’io!

E no cazzo! Tu no!

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