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Archivi Mensili: marzo 2015

La Piramide (The Pyramid)

25 mercoledì Mar 2015

Posted by stefanopaiuzza in alieni, animali assassini, demoni, film pericolosamente brutti, P, Recensioni di Stefano Paiuzza

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Tag

Alexandre Aja, antico Egitto, anubi, Gregory levasseur, maledizione della piramide, piramide


Ci sono aspetti della vita che non vanno sottovalutati, emozioni da cullare e riscoprire per far scudo alle bruttezze di quest’epoca. Sto parlando della tenerezza o, se preferite, di quella pietas, ricordata anche dal maestro Kim Ki- duk nel suo recente capolavoro, che in un senso etico più che moralistico dovrebbe distinguerci dai bruti, dai tagliagole, dai Camiti, dai Barbari, da Geronimo, Godzilla, Il Grinch, Hitler e Boss Hog.

Ed è proprio umana pietà che si prova dopo aver visto un film come questo, senza sarcasmo, senza ironia o doppi sensi. Una pietà compassionevole che nasce dall’overdose recente di portatori di luce in salsa kolossal con cathechesi  pseudo divulgativa annessa dell’Antico Testamento, come il lisergico e avveduto Noah di Aranofsky o il Mosè ruffiano e macho-epic di Ridley Scott. Sarà questo o sarà che il Milan fa cagare e col Diavolo con la febbre intestinale  meglio guardare ad altri lidi più salubri, fatto sta che vedendo Pyramid con tanto di pasta in bianco del campione e portacenere pret- a- porter, ho svuotato l’anima dallo stress per concedermi un’ora e mezza di umana empatia verso questa boiata degna, in altri momenti, di violenta stroncatura. Premessa. Pyramid è un esordio. Si tratta infatti dell’opera prima di Gregory Levasseur, feticcio di Alexandre Aja, suo fido collaboratore in fase di scrittura in Maniac, Alta Tensione, Le Colline Hanno Gli Occhi, Piranha 3D e -2 Livello Del Terrore.

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Qui Aja produce e il buon Gregorio tenta la strada irta e scoscesa della regia sotto l’occhio vigile di mamma Fox, stavolta indulgente come  Babbo Natale innanzi a un paziente ipoglicemico. E’ un esordio, dicevamo e come tutte le prime qualche passaggio a vuoto ci può stare. Qualche. Qui il francese sente una sorta di complesso d’ inferiorità paragonabile a quello di un cinese nella sauna con Rocco e nel mostrare le sue grazie alla Statua della Libertà soffre il contesto extraeuropeo come pochi. Mi spiego: se è pur vero che il pubblico americano vuole un horror più pop corn e meno vin rouge trovo delittuoso adattarsi al contesto produttivo snaturando l’essenza cattiva e zero patinata tipica del cinema horror francese contemporaneo. Qui si lavora più per confusione che per sottrazione mischiando clichè rubati da Goonies, vari Indiana Jones, The Blair Witch Project, Alien, Lo Squalo, Riddick e altri classici dell’animal horror. Se c’è una cosa che non manca quasi mai ai francesi  è il buon gusto nel riproporre il già visto. Evidentemente, come già visto, fuori casa si gioca per lo zero a zero e alla fine si prende l’imbarcata. Peccato.

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E l’Egitto? Beh.. la premessa è buona ma non approfondita, ovvero le manifestazioni antimilitariste di piazza Tahrir al Cairo due anni dopo la caduta di Mubarak (e dell’elevazione alle cronache della presunta nipote olgettina)… Poi cliché su cliché a iniziare con il collega e trombamico della protagonista, americano di origine egiziana che ovviamente muore per primo perché entra per primo nella piramide (che poi piramide non è ma è un tetraedro, altra mossa inspiegabile.. perché se non c’entrano gli alieni che motivo c’era di discostarsi dalla storia reale dell’architettura egizia? Mah..). Inciso. Chissà perché nei film di Hollywood a salvarsi sono quasi sempre o le fighe svampite fino a metà film, poi illuminate dall’istinto di sopravvivenza, o i ragazzi un pelo meno pompati dello strafigo- tamarro- arrogante che muore per primo o per secondo al più tardi. Per neri, asiatici, obesi, occhialuti, maghrebini e cessi in genere non c’è speranza per voi ch’entrate. E così è anche stavolta.

20121001_Site_ouarzazate_3389.CR2Il nerd maghrebino perde il robottino prestatogli (!) dalla NASA e decide di entrare a recuperarlo nonostante il bordello al Cairo, l’ordine di evacuazione conseguente e “pericolosissimi” gas solfurei da affrontare rigorosamente con maschera anti gas salvo poi toglierla dopo cinque minuti di film. Ovvio che la figa svampita, il padre archeologo e la classica troupe documentaristica non perdano l’occasione di seguire il furbone e di rimanere intrappolati. E li si parte con la fiera del già visto, soffitti che crollano, caduta massi con frattura, trabocchetti, geroglifici portatori di oscuri presagi e la classica presenza minacciosa. Pausa. Ora, a me sta bene che i mostri siano antichi gatti cannibali e ferocissimi, ma se i fuffi in questione dilaniano e lacerano la carne di Sunni, la ricciola milfona della troupe, magari sarebbe parsa buona creanza sviluppare meglio la scena e sempre magari evitare di riprendere giusto la sequenza dopo il corpo della vittima con poco più di un graffio che a confronto il bambino della Pic Indolor sembra un soldato della Lutwaffe internato in un Gulag siberiano. Vogliamo parlare dei dialoghi da sit com bulgara?O della caratterizzazione dei personaggi rasoterra?

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O ancora dell’incongruenza fra l’emozione ansiogena della situazione contingente e la recitazione rilassata e paciosa?Meglio di no. Ma la pietas direte voi? Che fine ha fatto la pietas? Sull’onda del ricordo della visione stavo tornando fumantino e solfureo senza accorgermene. Chiedo venia. E allora salviamo qualcosa in questo Pyramid, come il villain originale e simpatico, quell’Anubi che a pronunciare il suo nome in italiano si rischia la scomunica, specie di licantropo ruttante dalle movenze ingessate e innaturali, tipiche della smania da green screen imperante (quanto mi manca Rambaldi) che ha almeno il merito di mettere sul piatto (quello della bilancia per pesare le anime dei morti nello specifico) un po’ di carnazza gore e di brutalità infantile che non guasta mai. Peccato che al posto di mettere terrore con i suoi urli bestiali ricordi più un pastore sudtirolese nell’atto della digestione dello strudel ma pazienza, ricordiamoci la pietas. Pietas anche per la costruzione degli ambienti magari non fedelissima, ma comunque claustrofobica e pietas per i tempi scenici abbastanza giudiziosi. Pietas anche per il finale cattivello, che oramai non è più una novità assoluta ma che fa sempre piacere. Anche i movimenti di macchina non sono terribili soprattutto nella sequenza della fuga a gattoni dai gatti (scusate il gioco di parole). Peccato per la scelta di mescolare presa diretta (e conseguente allusione al mockumentary..ecchepalle..) con un girato classico nell’ennesimo cocktail annacquato fra finto vero e vero finto sperando che vada presto fuori moda e fuori tempo massimo. Pietas esaurita. Buona visione.

Stefano Paiuzza

La piramide

Regia: Gregory Levasseur

Interpreti: James Buckley, Denis O’Hare, Ashley Hinshaw, Christa Nicola, Amir K.

Durata 89 min.

Uscita dichiarata: 18 febbraio 2015

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Roadracers

19 giovedì Mar 2015

Posted by andreaklanza in azione, B movie gagliardi, drammatici, R, Recensioni di Manuel Ash Leale

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Tag

action inediti, anni 50, dal tramonto all'alba, desperado, el mariachi, grease, roadracers, robert rodriguez, salma hayek, tarantino

Robert Rodriguez è un regista strano.

Amato oppure odiato, il suo cinema sembra volteggiare in un mondo a parte, ora commerciale ora autoriale, senza apparente logica se non quella di un ragazzino che si è ritrovato fra le mani il giocattolo che sognava da una vita. E con questo giocattolo il regista di origini messicane fa quello che gli pare, rovesciando schemi e sorridendo sornione davanti a quelli che lo criticano aspramente, conscio, forse, che nonostante i detrattori lui segue comunque la propria strada. Il suo cinema viaggia contemporaneamente sulle note di Malagueña Salerosa e su quelle di Shoot to Thrill, creando connubi che il più delle volte affascinano per la loro sboccata visionarietà. E qualche volta, invece, provocano uno stentato sorriso di circostanza. Ma d’altronde, la genialità di un’artista passa anche attraverso i suoi passi falsi e le sue cadute di stile.

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Uno stile fatto di spaghetti western, action e horror, tra Sergio Leone, John Carpenter e Lucio Fulci, passando, perché no, da Chaplin, quello di Rodriguez è un modo di fare cinema citazionistico, ma anche assolutamente personale. Così è stato fin dal primo lungometraggio, El Mariachi (1992), girato con 7000 dollari e attori non professionisti, una piccola perla che varcò ben presto i confini messicani, aprendo possibilità fino ad allora nemmeno sperate. Tra queste, nel 1994, un anno prima di Desperado, c’è Roadracers, un film per la TV creato come primo episodio di Rebel Highway, serie di lungometraggi ispirati ai B-Movie da drive-in degli anni cinquanta.

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Da non confondersi con l’omonimo film del 1959, Roadracers dipinge un vivido ritratto dell’epoca, neanche troppo romanzato, a differenza di altre pellicole dal diverso target, e lo fa prestando più attenzione ai personaggi che non alla trama, di per sé infatti molto semplice. Il plot racconta di Dude Delaney, ragazzo ribelle che sogna di lasciare la sua città per diventare un musicista rockabilly. Nonostante il sostegno della fidanzata, Donna, una faida con il locale sceriffo fa scivolare il suo futuro in un buco nero, dal quale potrebbe non esserci ritorno.

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Lasciando da parte il fatto che Dude non è un nome, ma una parola colloquiale che oggi indica una persona cool, usata come appellativo o persino in esclamazioni di sorpresa, il protagonista è un personaggio anticonformista, in un periodo dove questa parola significava realmente qualcosa: fumatore incallito, amante della velocità e avvezzo a cacciarsi nei guai con spirito da fuorilegge. Si potrebbe definire un antieroe, non fosse che Dude non solo è un cliché ambulante, ma oltretutto è pure antipatico negli atteggiamenti. Per sua fortuna, peggio di lui c’è la gang rivale, capitanata dal figlio dello sceriffo, un trio di dementi con patologie psicologiche, che nella realtà finirebbero in una trasmissione della De Filippi senza battere ciglio. In questa gara a chi irrita di più, la trama scorre rapida, ricca di violenza, azione e ottima musica rock, da Gene Vincent a Johnny Reno, perfetta co-protagonista, indispensabile per rendere al meglio non solo le scene ma anche l’ambientazione.

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Non siamo certo al meglio delle capacità di Robert Rodriguez, dopotutto è il suo secondo lungometraggio, e la sensazione che il brodo sia stato eccessivamente allungato persiste un po’ per tutta la durata. Ciononostante, Roadracers è un B-movie solido, dal ritmo sostenuto e dalle scene ricercate, sicuramente imperfetto, e non si stenta a credere che possa essere considerato noioso e insoddisfacente, ma lontano dalla patinatura e dalla malinconia di film come Grease (1978) e American Graffiti (1973). Riesce a regalare divertenti trovate, in una rudezza generale che sfocia nel finale intenso e senza compromessi. Questo, da solo, lascia intravedere il Rodriguez che sarà, ed è una delle cose migliori in una pellicola energica, di puro divertissement senza troppe pretese. Ben interpretata da un convincente David Arquette, il cui viso da schiaffi è strafottente, duro e a tratti rassegnato, e da una giovane Salma Hayek, la cui bellezza latina emana dolcezza e sensualità a ogni sguardo. E non potrebbe essere altrimenti dalla donna che, due anni più tardi, vestirà i succinti panni di Santanico Pandemonium e che, con una sola scena, diverrà eccitante sogno proibito di erotismo e lussuria. Il biglietto da visita ideale per conquistare i cuori di tanti maschietti dalla forbita manualità.

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L’opera seconda del texano è rimasta sconosciuta ai più per molti anni, sepolta nelle sabbie mobili delle produzioni televisive. La fama ottenuta in seguito dal regista tuttofare ha contribuito solo in parte alla riscoperta della pellicola e infatti, ancora oggi, qualcuno si sorprende nel conoscere la sua esistenza, nonostante l’alone cult che il film ha guadagnato. Roadracers, però, è puro Rodriguez in ogni sua parte, dall’azione violenta a quella divertente, nella grande musica e nelle scelte obbligate da un low-budget che pochi sanno sfruttare meglio. Persino nei clichè, spogliati di negatività dal Grindhouse Style che ormai è marchio di fabbrica. Forse è il caso di accantonare Sharkboy e Lavagirl, nella sua filmografia Roadracers merita decisamente di più.

Manuel “Ash” Leale

Roadracers

Anno: 1994 (USA)

Regia: Robert Rodriguez

Sceneggiatura: Robert Rodriguez, Tommy Nix

Interpreti: David Arquett, John Hawkes, Salma Haye, Jason Wiles, William Sadler, O’Neal Compton, Christian Klemas, Aaron Vaughn, Tammy Brady Conrad, Mark Lowentha, Karen Landry, Lance LeGault, Tommy Nix, Gina Mari, Boti Bliss

Fotografia Roberto Schaefer

Montaggio: Robert Rodriguez

Musiche: Paul Boll, Johnny Reno

Scenografia:Brian Kasch, Kathleen M. McKernin

Costumi: Susan L. Bertram

Produttore: Lou Arkoff, David Giler, Debra Hill, Willie Kutner

Casa di produzione: Spelling Films International

Durata 95 min, INEDITO IN ITALIA (Prima visione Prima TV Stati Uniti d’America 22 luglio 1994 Rete televisiva Showtime Networks)
(NdR. Roadracers ha in realtà avuto un paio di passaggi televisivi italiani, doppiato, su Raimovie e La7, in orari da nottambuli e in pieno Agosto. Il modo migliore per far notare un film…) 

zVs1G4B8WbkPzEsYWmXies0Hs3U Roadracers_(1994) roadracerscapimg_1334917059 kinopoisk.ru

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