Alla morte della madre, Billy “Hurricane” Smith lascia gli Stati Uniti e si lancia alla ricerca della sorella scomparsa in Australia. Nell’altro emisfero la ragazza s’è messa a fare la prostituta ed è per questo che Billy entra in contatto con Howard, proprietario di un bordello, e con il suo braccio armato. Hurricane ci mette un po’, ma capisce d’essere caduto nel posto giusto.
Uragano Smith è un film strano, non riuscito, ma a tratti interessante, soprattutto se siete fanatici dell’action anni 80 trasposto nei ’90 e del cinema di serie B australiano. Eh sì perché dietro una patina di film d’azione alla Cannon, magari uno di quelli diretti da Aaron Norris senza Chuck o, che so, da Jack Lee Thompson orfano di Charles Bronson, si nasconde un prodotto d’imitazione in salsa ozploitation.
Siamo in un action che, fin dal titolo, scimmiotta il ben più riuscito e testosteronico Action Jackson, sempre con lo stesso attore, il Carl Weithers/Apollo Creed di Rocky. Solo che, dettaglio importante, al posto di Craig R. Baxley alla regia, abbiamo un semisconosciuto Colin Budds, una cosa non da poco.
Sulla somiglianza dei titoli ci gioca anche la locandina che recita “The man who put the action in Jackson, now puts the hurricane in Smith“, ma, come detto, se Baxley era un regista scatenato sul piano dell’azione, lo dimostra quel gioiello di Arma non convenzionale, il nostro Budds è meno avvezzo a giostrare sparatorie e tempi morti.
In primis a non convincere in Uragano Smith è inaspettatamente la colonna sonora di Brian May, non proprio l’ultimo dei compositori, che aveva reso memorabili gli inseguimenti adrenalinici dei primi due Mad Max di George Miller. Cioè credo che sia tra le cose più suicide del mondo l’idea di musicare un film d’azione con un tedioso jazz alla Cotton club; a me personalmente fa venire in mente delle gran scopatone alla Zalman King piuttosto che il sottofondo ideale per dei colossi muscolosi che si menano e si prendono a pistolettate, sempre che non siamo in un porno gay naturalmente. E ovviamente non lo siamo.
Altra cosa è il ritmo. Oddio, in 95 minuti sono più le parti dove non succede niente di quelle dove vediamo mezzi esplodere, ferite sprizzare sangue o pestaggi violenti. Non che, in un film d’azione, non ci debba essere anche una parte intimista o uno sviluppo narrativo, ma la cosa che non dovrebbe esserci mai è la noia e qui purtroppo è presente in dosi massicce.
Prendiamo la scena d’amore tra il buon vecchio Uragano Smith e la prostituta Julie, la scusa più gettonata per mostrare le tette dell’attricetta di turno, l’occhio vuole d’altronde la sua parte anche in un film d’azione, peccato che qui sia girata davvero alla cazzo di cane, per citare il buon vecchio René Ferretti. Luci rosse ad illuminare la sequenza forse per fare elegante, telecamera messa in una posizione random, questo jazz perenne e, merda, neanche una tetta. Cioè, caro il mio Colin Budds, che diavolo mi giri una scena di sesso se non hai il minimo talento per girarne una? Io voglio cavalcate alla Ombre rosse, le urla degli indiani del Sand Creek, il pelo di King Kong e l’esplosione dell’Etna, non due attori, tra l’altro neanche empatici, che fingono di sfregarsi in un letto e, men che te ne accorgi, sono già vestiti in pieno post coitum depresso. “Sono stato bravo?“. Hurrican Smith, ma vaff…

Testa o croce
Per lo meno quando ci sono i momenti action il film diventa più brioso con inseguimenti in piena città e scontri tra auto e bus, poi navi che saltano dal mare alla terra ferma, elicotteri come scenario di scazzottate volanti, esplosioni con tanto fuoco e proiettili che dilaniano carne spruzzando sangue a profusione. Peccato che, come detto, queste scene siano il 30 per cento in un 70 per cento di brutti dialoghi e momenti imbarazzanti.
In più c’è sempre quest’aria poverissima di prodotto d’imitazione, la stessa atmosfera che si percepiva nei nostri polizieschi d’imitazione più smaccati come una Magnum per Tony Saitta di Alberto De Martino: poche comparse, strade semideserte e al massimo un elicottero per fare tanto Hollywood dei poracci.

Qui non si scopa
Carl Weithers qui sceglie l’ultimo ruolo importante della vita, una pietra tombale per la sua carriera, un film che da noi è giunto solo in vhs e che, anche all’Estero, pur avendo una distribuzione Warner, non se lo sono cagati in tanti. Sarà che l’attore si priva dei suoi baffoni porta fortuna e che così, sbaffato, sembra quello che realmente è, un caratterista famoso, promosso senza molti meriti al ruolo di protagonista. Il nostro Apollo Creed funziona se affiancato da attori di più carisma come lo Swarzy di Predator o lo Sly dei Rocky, o quando un regista coi cosiddetti lo riesce a valorizzare malgrado la sua faccia da granito.
Ad affiancarlo l’altro nome internazionale del cast, Jürgen Prochnow, cattivo di tanti action americani e appena reduce dal successo di Un piedipiatti a Beverly Hills 2. Qui si limita a digrignare i denti e a ripetere il suo clichè di villain già visto meglio in altri suoi film. Però, diavolo di un Jürgen Prochnow, lui almeno ha una scena madre dove dialoga, giuro dialoga, con una prostituta nuda, interessata a tutto forchè che a chiacchierare, ma Colin Budds, visto che non scopa mai, vuole farci credere che in Australia tutti vivono il suo dramma.

Qui non si scopa 2
C’è da dire che, malgrado la sciattezza di una regia che, il più delle volte, sembra un tripudio di buona la prima, ci sono momenti di puro delizioso delirio narrativo. Per esempio, ad un certo punto, la spalla comica del protagonista, Stinco interpretato dall’ottimo caratterista Tony Bonner, bussa alla porta di Uragano e si presenta come Sylvester Stallone. In più Carl Weither viene sfottuto in almeno trecento modi dal classico “Vaccaro” al “Negro” con le varianti di “Ti vorrei picchiare ma non ho voglia di sporcarmi” e “Cioccolatino” in un razzismo difficilmente riscontrabile nei prodotti politicalmente corretti americani. Per non parlare del finale dove tutti abbiamo capito il destino della sorella di Uragano, tutti, dalle comparse sullo sfondo al povero spettatore, e quindi esasperato il cattivo gli urla “Oh è morta! Possibile che non ci arrivi?” e applausi a scena aperta.
Fa riderissimo poi che, dopo un pestaggio a petto nudo ai danni del nostro Apollo, gli aguzzini si prendano la briga di rivestirlo di tutto punto, prima di gettarlo da un’auto in movimento, non dimenticando però di rimettergli al polso il suo orologio! Ah l’Australia, terra di gentlemen, altro che di bifolchi!
Altra scena assurda poi è quella che ci mostra una specie di sottoscala, dove si svolge quello che a prima vista è un combattimento alla Fight club, con tanto di scommettitori accaniti, e che invece si rivela essere un banale lancio di monetine stile Testa e croce.
Nel cast si fa notare Cassandra Delaney, nei panni della coprotagonista Julie, star del classico della ozploitation Fair game di Mario Andreacchio, lì oltretutto nudissima e legata ad un auto in una delle scene più topiche di tutta la storia del cinema australiano d’azione. Altro che scopate flou su sottofondo di jazz.
Hurrican Smith, si chiama così tra l’altro perché il protagonista salvò sua sorella da un uragano quando aveva tredici anni, è uno di quegli scarabocchi cinematografici che si guardano per curiosità ma che si dimenticano più veloci della luce. Non proprio un peccato in fin dei conti. D’altronde cosa aspettarsi dagli ideatori di Uccelli di rovo 2: il ritorno?
Andrea Lanza
NB Naturalmente la pellicola non c’entra nulla con l’Hurricane Smith del 1941 di Bernard Vorhaus o con I Pirati della croce del Sud (Hurrican Smith) del 1952 di Jerry Hopper, tra l’altro bellissimo, con Yvonne De Carlo, John Ireland e James Craig. Esiste poi, per onor di cronaca, un famoso batterista, Norman Smith, collaboratore tra l’altro dei Beatles e dei Pink Floyd, conosciuto con l’appellativo di Hurrican Smith. Anche questa una casualità.
Uragano Smith
Titolo originale: Hurricane Smith
Australia, 1992
Regia: Colin Budd
Interpreti: Carl Weathers, Jürgen Prochnow, Cassandra Delaney, Tony Bonner
Durata: 84 min.
VHS Warner FILM PER TUTTI inedito