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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

Malastrana VHS

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Ghoulies 2

07 martedì Gen 2014

Posted by viga1976 in commedia horror, demoni, Empire, G, Le recensioni di Davide Viganò, mostriciattoli

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albert band, charles band, empire, ghoulies, sergio salvati

Negli anni 80 il genere horror ha dato vita a una lunga serie di saghe. Alla base c’è il più bieco sfruttamento capitalista sul far i soldi con prodotti che sono andati bene o hanno un certo potenziale economico, da sfruttare anche attraverso il mercato estero o quello delle vhs. Questo appuntamento fisso con il proprio beniamino di fiducia è la massima rassicurazione sia per le casse del produttore, che per l’immaginario e il modo di vivere il genere horror per lo spettatore. La pellicola diventa una sorta di festa collettiva, dove si festeggiano le imprese degli eroi più popolari: Micheal, Jason, Freddy, Chucky, e così via. L’attenzione cade sul cattivo e si gode sadicamente per la brutta fine delle povere vittime. Non hai quindi empatia , come dovrebbe essere, ti stanno abituando ad odiare e voler la peggio sorte possibile per gli altri. Dalle vittime di Jason a quelle delle guerre democratiche il passo è breve. La morte perde il suo peso, diventa un gioco,qualcosa di irreale.

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Insomma, questo passaggio che segna una forte mutazione tra le tematiche e il modo di fare horror negli anni 70 e la massima capitalizzazione del prodotto negli 80 ,ha da una parte cresciuto nuovi appassionati e dall’altra riempito lo schermo di pellicole mediocri e pleonastiche.

La saga dei Ghoulies si collega allo sfruttamento ad opera di Charles Band – nome assai popolare e tristemente noto per certe pellicole al confine con l’imbarazzo- del grande successo dei Gremlins. Non sono gli unici! Ci sono anche i bellissimi Critters, la mia saga -cazzatona preferita.

Questa è la seconda pellicola dedicata ai demonietti, i quali questa volta si troveranno ad agire in un Luna Park. Da prima visti come fonte di guadagno e poi subiti come ferocissimi assassini, sadici e goliardici.

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L’ambientazione nel parco giochi è abbastanza suggestiva, non diventa mai potentissima e malsana metafora sul male e la decomposizione sociale vista nel capolavoro di Tobe Hooper: Il tunnel dell’orrore. Rimaniamo sempre nei limiti di un prodotto di mero intrattenimento,che deve la sua fama ai ripetuti passaggi su Odeon e canali simili.  Per qualcuno è un piccolo cult, vabbè.

Trattasi di prodotto assai mediocre,di mero mestiere , che si rammenta per alcune morti ironiche e grottesche: la citazione del pozzo e del pendolo, lo yuppie divorato vivo dal ghoulie nascosto dentro il wc, la ragazza travolta dalla macchina degli autoscontri e così via. I personaggi sono già della macchiette e maschere in ribasso e la storia è quasi del tutto assente.

Può essere giusto una pellicola da guardare per passare il tempo,scusa idiota di questi tempi idioti. Fate voi!

Davide Viganò

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Ghoulies II

Anno: 1987

Regia:    Albert Band

Interpreti: Damon Martin, Royal Dano, Phil Fondacaro, J. Downing, Kerry Remsen, Dale Wyatt, Jon Pennell, Sasha Jenson, Starr Andreeff, William Butler, Don Jeffcoat

Durata: 80 min.

Inedito in home video (Fu editata una vhs dal titolo Ghoulies 2: Il principe degli scherzi ma conteneva il terzo capitolo)

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Ghoulies

03 venerdì Gen 2014

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, commedia horror, Empire, G, mostriciattoli, Recensioni di Davide Comotti

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charles band, empire, ghoulies, gremlins, luca bercovici, recensione

Se nel 1984 Joe Dante aveva creato i Gremlins con l’omonimo film diventato un cult mondiale, l’anno successivo Luca Bercovici porta sullo schermo i loro “cugini” (più) cattivi con Ghoulies (1985). Prodotto con meno mezzi ma altrettanta fantasia, si inserisce nel filone tipicamente anni Ottanta della contaminazione fra horror e commedia fantasy, e ha dato origine anch’esso a una saga di culto: ci saranno infatti ben 4 sequel, diretti da registi diversi.

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Il produttore esecutivo di Ghoulies è Charles Band (alias Carlo Antonini), un nome una garanzia: nato a Los Angeles, è il figlio di Albert Band (Alfredo Antonini), regista e produttore abbastanza famoso negli anni d’oro del cinema italiano. Charles si dedica alla produzione di film destinati a un intrattenimento orgogliosamente “di serie B” (passi, per una volta, questo brutto termine) e a basso costo, in cui l’horror si mescola di volta in volta con la fantascienza o con la commedia. Il bello di produzioni come questa è la loro artigianalità e il loro carattere quasi “familiare”, con una factory affiatata che si trova spesso a lavorare insieme: un cinema fatto con poco budget ma molta creatività, facendo di necessità virtù. Non a caso, le vivaci musiche sono composte da Richard Band (fratello di Charles) insieme a Shirley Walker, mentre il montaggio è affidato a quel Ted Nicolaou che inizia come montatore proprio nelle produzioni di Band per poi dedicarsi alla regia (ricordiamo La maschera etrusca, 2007). Un modo di fare cinema che oggi purtroppo sta scomparendo.

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Bando però alla nostalgia e godiamoci film come Ghoulies: Luca Bercovici (italo-rumeno naturalizzato statunitense) cerca di rifare probabilmente un’operazione sulla scia dell’ottimo Phantasm (1979) di Don Coscarelli, un altro grande artigiano del genere, che sapeva unire atmosfere da incubo con situazioni fantastiche più leggere. Bercovici prende quindi elementi tipici dell’horror puro (le messe nere, gli zombi) e li mescola con il fantasy (le mitiche creature del titolo) e con scene umoristiche. Il regista non possiede la stessa mano di Coscarelli, e il risultato è inferiore a Phantasm (forse perché soffre, in certi momenti, di un’eccessiva lentezza): ma è comunque un buon prodotto di puro intrattenimento, divertente e con ottimi effetti speciali (ce ne fossero oggi, di film così!).

Il prologo (prima ancora dei titoli di testa), serissimo e inquietante, racconta il raduno di una setta satanica un po’ in stile Rosemary’s Baby. Fra candele, simboli maligni e incappucciati bianchi, Malcolm – il capo della congrega (con occhi verdi e copricapo di corna) – sta per compiere il sacrificio di un bambino, figlio suo e di un’adepta. Uno dei seguaci, Wolfgang, riesce però a portare in salvo il piccolo, e così è la donna ad essere uccisa per mezzo di orribili e micidiali creature, i Ghoulies. Anni dopo, diventato ragazzo, Jonathan Graves (Petere Liapis) è ignaro dell’accaduto e trascorre una vita normale insieme alla fidanzata. Alla morte del padre, ne eredita la villa, sede dei riti malefici. Dopo aver scoperto alcuni oggetti rituali, decide di compiere per gioco una seduta spiritica insieme ad alcuni amici, riportando in vita i Ghoulies: quello che era iniziato come uno scherzo, diventa pian piano una vera possessione diabolica. Jonathan, non più padrone della sua mente, utilizza i poteri occulti e i mostri per riportare in vita il padre stregone. Solo l’intervento di Wolfgang, diventato il custode della villa, porrà fine al maleficio.

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Bercovici, autore anche della sceneggiatura insieme al produttore Jefery Levy, realizza con Ghoulies un bel mischione dell’inventario horror – fantasy, valorizzato da luci e scenografie fantasiose: vedremo quindi non solo le creature del titolo (una sorta di gnomi malefici di vario aspetto), ma anche riti satanici, una casa in stile gotico, nani che sembrano usciti dal Medioevo, pupazzi clown che si muovono, finestre che si spalancano come nelle case possedute, uno zombi che esce dalla tomba, il protagonista dai poteri occulti, fino alla conclusione squisitamente fantasy con la lotta fra Malcolm e Wolfang (una sfida tra maghi con tanto di raggi colorati che escono dagli occhi). Di sangue, a dire il vero, ne vediamo poco, ma in compenso abbonda la creatività nella realizzazione dei Ghoulies: effetti speciali e make-up artigianali a base di gomma, squisitamente anni Ottanta e decisamente migliori della brutta e fredda computer grafica che vediamo spesso oggi. Realizzati da John Carl Buechler (che dirigerà film comeTroll e Ghoulies 3), sono dei pupazzetti animati (i cosiddetti “animatroni”) dall’aspetto mostruoso, coperti di peluria oppure dalla pelle verde lucida, ma sempre con dentini belli aguzzi. Memorabile, a proposito degli FX, anche la scena della lingua che si allunga e strangola il ragazzo e la trasformazione del pupazzo clown in Ghoulies. Loro sono i veri protagonisti del film, cattivi ma anche divertenti – per esempio nella scena a tavola o quando il mostriciattolo verde esce dal water: una serie di situazioni umoristiche e grottesche che sono un po’ il simbolo dell’horror anni Ottanta e primi Novanta, o almeno di una certa parte di esso (vedasi, per esempio, La casa 2 e il sequel di culto L’armata delle tenebre). Strepitose le evocazioni dei mostriciattoli, con il protagonista vestito da stregone e armato di tridente tipo Nettuno che li fa sorgere dal pavimento o dalla piscina.

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Come anticipato, Ghoulies soffre di qualche momento troppo lento e gli interpreti non sono particolarmente carismatici, ma in fondo poco importa per un prodotto di questo tipo. Il film deve pagare anche lo scotto degli anni in cui nasce, per cui c’è l’immancabile festa nella villa in cui troviamo ragazze svampite e ragazzi arrapati, uno che fa il verso della rana, uno che balla per terra (ma in fondo anche questo fa parte del gioco). Nota di merito, però, alla regia e alla sceneggiatura per non essere caduti nello stereotipo dell’horror slasher che andava per la maggiore in quegli anni: una volta evocati i Ghoulies, la storia non prende la consueta piega del massacro dei presenti, ma si concentra sul progressivo sviluppo della vicenda – con il protagonista che viene pian piano assorbito dalle forze demoniache (assume anche lui gli occhi verdi come il padre) e guida l’esercito dei Ghoulies, per poi diventare più cruento nella seconda parte.

Davide Comotti

Ghoulies

Anno: 1985

Regia: Luca Bercovici

Interpreti: Peter Liapis, Lisa Pelikan, Jack Nance, Michael Des Barres, Peter Risch, Tamara De Creaux, Scott Thomas

Durata: 90 min.

VHS: Domovideo

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Dreamaniac (Sogno maniacale)

29 lunedì Lug 2013

Posted by andreaklanza in D, demoni, Empire, freddy krueger, nightmare, nightmare on elm street, Recensioni di Andrea Lanza, S, slasher, splatteroni, streghe, tette gratuite, thriller

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charles band, cinema, decoteau, dreamaniac, empire, lilith, recensione, recensioni, skorpion, sogno maniacale, vhs, wizard

Troppo gore per uscire al cinema

(Frase sulla locandina della vhs americana)

Adam è un rocker heavy-metal e un satanico nel tempo libero. Quando nei suoi sogna invoca Lily, che gli promette di avere successo con tutte le donne che vuole, scopre tardivamente che si tratta di un demonio che per esaudire la sua richiesta si deve nutrire di uomini, anche dopo averci fatto sesso. Una festa organizzata dalla sorella si tramuterà in una sanguinolenta decimazione di corpi.

Per tutti il primo film di Decoteau è ufficilmente questo Dreamaniac (Sogno manicale), ma, quando il regista, all’epoca appena ventiquattrenne, lo girò, aveva già alle spalle parecchi hardcore, etero e gay, dei quali il primissimo, Vortice sessuale, arrivò anche nel nostro paese. Cosa spinse nel 1986 Charles Band però ad affidargli la regia di un horror, il primo di una serie di film Empire che doveva saltare la sala per buttarsi nell’home video, non è dato saperlo, forse la discreta fama di buon esecutore che David nostro si era fatto nel porno.

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Sembra che Decoteau, autore anche del soggetto sotto lo pseudonimo femminile di Helen Robinson, investì nel progetto di tasca sua ben 30 mila dollari e la promessa di finire il film in una settimana. Dal canto suo Band coprì le spese di post produzione, ridiede i soldi investiti al giovane regista e gli riconobbe persino un premio per l’ottima qualità del prodotto. C’è da dire che Dreamaniac è una delle cose migliori di Decoteau con Creepozoids, ma questo non significa sia un buon film ovviamente. Nei miei ricordi (e lo testimonia la recensione recentissima di Tragica notte al bowling) era un horror tra i più brutti visti, cosa che non rende giustizia ad un prodotto a suo modo efficace. Il regista cerca di creare un’opera più ricca di quello che è effettivamente è, con un uso massiccio di luci coloratissime, nebbie e rallenti, un retaggio dell’estetica videoclippara anni 80 che qui, nella povertà di un horror usa e getta, trova il giusto terreno per uno stile quasi elegante.

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Se poi gli attori sono tutti atroci, con la bella Ashlyn Gere dal futuro di pornostar, gli effetti speciali, pur nell’economia, sono ferocissimi rendendo l’opera un divertente bagno di sangue con tante decapitazioni, occhi trapassati manco che in Fulci ed un uso abbastanza originale di un trapano (riuscitissima la sequenza dove l’arnese trapassa una mano); sono cose così ben riuscite a livello splatter che ti fanno sorprendere che il budget e il tempo fossero tanto limitati. A tal proposito all’epoca lo stesso Decoteau si lamentò dell’eccessiva lentezza del reparto make up definito “il peggior nemico di un regista a basso costo”. Senza dubbio Dreamaniac non è un bel film, come accennavamo, anche perchè la sceneggiatura è inesistente e ci sono eccessive lungaggini: basti pensare alla sequenza iniziale dove in un esasperante rallenti il protagonista sogna un amplesso con una sconosciuta.

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Non esistono neanche personaggi ai quali affezionarsi, tanto sono anonimi e incolori, e la stessa trama è confusa e a tratti incomprensibile. Lo stesso rapporto tra il  protagonista e il succubus Lilith (nella Bibbia apocrifa la prima donna) non è ben chiaro: prima lui ne sembra spaventato, poi invece ne è affascinato talmente da compiere i delitti in prima persona. Voglio capire il patto col diavolo poi, ma di solito funziona tutto in base al do ut des, tu mi dai il successo e io l’anima, non io ti do’ l’anima e tu nulla, ma alla fine sembra succeda proprio questo visto che nostro eroe non ha avuto in tutto il film un solo beneficio dalla sua evocazione satanica. Mah, contento lui… Un accenno poi va al finale gratuito e stupidello con un colpo di scena però così urlato e improbabile da essere quasi geniale.

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Naturalmente Dreamaniac, come vuole ogni buon film di Decoteau, presenta un gran numero di omaccioni in mutande o culo all’aria con il solito climax omosessuale anche quando si presenta un gruppo di etero, capacità unica del regista e cifra diventata poetica negli anni. A questo proposito segnaliamo una sequenza sadomaso tra un ragazzone e la bella Lilith dove lui, in mutande bianche, si struscia ad un palo e fa così tante mossettine col sedere da sembrare così poco maschio. Dreamaniac fu lanciato come risposta low low budget al Freddy Kruger di Wes Craven con la locandina che urlava persino “Non tutti gli incubi accadono ad Elm street” ed ebbe anche un discreto successo di noleggi. Sembra che all’epoca fu tagliato di quasi 15 minuti e, con il fallimento dell’Empire, quelle sequenze siano andate perdute. In Italia uscì per la Skorpion e la qualità video, pur se pessima, è la migliore in circolazione, in tutto e per tutto uguale a quella americana della Wizard. In tempi recenti infatti è uscito in patria anche in dvd, ma con la stessa sciagurata cattiva resa della vhs: il negativo infatti si è perso per beghe legali. Per tutti quelli che non hanno potuto vederlo all’epoca e lo vogliono gustare in italiano segnaliamo la pagina facebook di Horror splatter zone dove troverete la link per vedere il film completo. Tanto di cappello a chi promuove il bel cinema perduto.

Andrea Lanza

Dreamaniac – Sogno Maniacale

Anno: 1986

Regia: David De Coteau

Interpreti: Thomas Bern, Kim McKamy, Sylvia Summers, Brent Black, Cynthia Crass, Lisa Emery, Brad Laughlin

Durata: 82 min.

VHS: SKORPION

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Tragica notte al Bowling

23 martedì Lug 2013

Posted by andreaklanza in Empire, film pericolosamente brutti, mostriciattoli, Recensioni di Andrea Lanza, T, tette gratuite

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cinema, david decoteau, essere omosessuale e fingere di piacerti le donne, genio, linnea quigley, recensione, recensioni, registi gay, tragica notte al bowling, wishmaster

Tre collegiali, nel tentativo di spiare il rito d’iniziazione di una confraternita femminile vengono scoperti ed obbligati a diventare parte integrante del rito stesso. Così i baldi giovani, assieme alle fanciulle, per superare la prova devono entrare nottetempo in un sala da bowling per rubare un trofeo. Sfortunatamente all’interno dell’oggetto in questione è imprigionato un demonietto che, inavvertitamente liberato, si presenterà cordialmente ai giovani invitandoli ad esprimere un desiderio ciascuno, che lui esaudirà magicamente. Purtroppo però i desideri finiranno per rivoltarsi in modo orribile, contro chi li ha espressi.

Ringraziando gli amici di Horror Splatter Zone (che hanno messo online questo film)  ci accingiamo alla sua recensione. Difficile, ostica, a tratti simile, per senso di inerzia e impotenza, alla più sottile tortura cinese. Eh si, perchè se è vero che esistono poche cose letali come un film di David Decoteau nuovo, ci dimentichiamo i film di Decoteau degli esordi! Difficilmente ricordo di una cosa talmente brutta come il suo Dreamaniac, forse solo Vicious Lips di Albert Pyun, qualcosa di così inutile, noioso, ridondante da far sembrare l’Armageddon di Lars Von Trier un film di Michael Bay.

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Ecco Tragica notte al Bowling non raggiunge livelli così profondi di dabbenaggine narrativa, ma altrettanti (disastrosi) risultati finali. Quello che poteva essere sulla carta divertente per ogni amante del disastro cinematografico (geni burloni, belle figliole e zombi) diviene puzzolente sterco nelle mani impacciate del buon David. Eh si perchè lui ci prova ad essere il nuovo Fred Olen Ray o il novello Jim Wynorski, ma gli mancano le basi perchè ci puoi provare quanto vuoi ma se ti piace il pistacchione è inutile ricerchi la figa. D’altronde Decoteau è, non per niente, il regista più importante nel panorama gay horror di fine anni 90. I suoi film recenti sono pieni di maschioni che si spalmano il sapone addosso ma nel contempo fanno finta di essere etero, qualcosa di così sottilmente freudiano che se sei un’anima semplice potresti avere dubbi sulla tua sessualità.

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Quindi vedere Decoteau all’opera in Tragica notte al Bowling fa quasi tenerezza, sbaglia i tempi delle scene erotiche, tutte girate distrattamente e non più arrapanti di una doccia della Fenech. Ad un certo punto poi succede l’inenarrabile: David nostro non ce la più e i suoi personaggi recitano frasi come “Mi piace più prenderlo che darlo”…  L’erotismo di Decoteau è asessuato, più arrapante sarebbe un documentario sulla macellazione delle mucche, il suo è un j’accuse di stizza e di non condivisione della materia, girato con la freddezza chirurgica di un reportage di guerra. Basti pensare al personaggio di John Stuart Wildman: che fa quando si trova in intimità con la bellissima Michelle Bauer?

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Se la fa? Sciocchini. Tutto stizzito urla frasi come “Conosciamoci meglio” fuggendo via spaventato da lei. Per fortuna gli friggono la faccia subito dopo, ma si capisce che David si sarebbe comportato esattamente così, d’altronde cavoli suoi, peccato diventino anche i nostri da quando si è messo in testa di essere un regista. Raramente un film è stato girato in un tale evidente stato d’incapacità, scene di lotta mal coreografate, campi lunghi senza idea di cosa sia il ritmo, make up di simil zombi da prima media (e pensare c’era dietro Craig Caton, uno che ha lavorato in Grosso guaio a Chinatown) e soprattutto un’aria di amatorialità così pesante che ti soprendi il film sia girato in pellicola e non in vhs.

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Certo poi David Decoteau è il Tony Scott della serie Z, ricordiamocelo, e quando gira deve inserire una scena di controluci, colori violenti e nebbia come nel peggior video dei Duran Duran. Per lui è stile, ma solo per lui. Siamo sinceri però non tutto è così abborracciato: il demonietto ha belle espressioni facciali, da sotto Ghoulies, e una scena di incidente stradale è girata con perizia. Peccato ci sia il resto. Produzione Empire minore che avvalora la passione del buon Charles Band per i mostriciattoli, arriva un anno dopo il discreto The Lamp ma è nettamente inferiore. Manca di originalità e trabocca di scene cretine, non è capace neanche di far spogliare la regina del nudo anni 80, Linnea Quigley, ma la relega nel peggior ruolo della carriera. Tra scene di paura alla Scooby Doo, ciccioni vogliosi di aprire un centro estetico, una recitazione raccapricciante e horror tanto come in una puntata di Una mamma per amica, gli amanti del masochismo cinematografico, quelli che amano in intimità farsi frustare le palle da un gatto a nove code, troveranno pane per i loro denti. Per tutti gli altri di peggio c’è solo la morte.

Andrea Lanza

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Tragica notte al bowling

Titolo originale: Sorority Babes in the Slimeball Bowl-O-Rama

Anno: 1988

Regia: David DeCoteau

Cast: Andras Jones, Linnea Quigley, Robin Stille, Hal Havins, John Stuart Wildman, Brinke Stevens, Michelle Bauer, Kathi O’Brechtm, Carla Baron, Michael Sonye, George ‘Buck’ Flower

Durata: 70 min.

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Mutant Hunt

22 venerdì Feb 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, B movie gagliardi, Empire, fantascienza, film pericolosamente brutti, M, Recensioni di Danny Bellone, scifi horror, splatteroni, starlette, tette gratuite

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charles band, cinema, empire, essere vestiti da power ranger senza vergogna, fullmoon, mutant hunt, porno gay, recensione, recensioni, robot

1987. Una delle epoche più fiorenti per quanto riguarda la prolificazione del b-movie Americano, un anno in cui registi (fin troppo) visionari, riversano le loro premonizioni post-atomiche nelle loro pellicole…ed ecco che il regista americano Tim Kincaid partorisce Mutant hunt.

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Mutant hunt è la storia, ambientata in un incalcolato futuro, di uno scienziato pazzo di nome Z che grazie all’agente chimico dell’Euforbio, di cui tutti ne sono dipendenti, crea dei mutanti violentissimi e assetati di sangue, spinti ad uccidere per puro piacere sessuale (sì, avete capito bene) . Sarà Matt Riker, Rambo senza paura della situazione (interpretato da un attorone supermacho di nome Rick Gianasi, già visto nel capolavoro TROMA Sgt. Kabukiman Nypd), a sgominare l’organizzazione dei cyborg-mutanti, sempre più decisi a lasciarsi dietro una scia infinita di cadaveri e sangue. Riker sarà aiutato nell’impresa da altri amici e amiche dediti come lui al combattimento corpo a corpo, e quindi, tra una scazzottata, braccia tagliate vibranti di elettricità, e dolci effusioni, i nostri eroi riusciranno ad avere la meglio su Z e i suoi tirapiedi…ma non è finita quì! Domina, scienziata, acerrima rivale di Z e drogatissima di Euforbio, crea di nascosto il mutante assassino definitivo: un bestione alto due metri e dalle intenzioni per nulla pacifiche…la battaglia continua, senza esclusione di colpi. Per quanto riguarda il finale, beh, non sono il tipo che ve lo rovina, anche se è prevedibilissimo!

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Quindi a voi la visione, sempre ne abbiate il coraggio! Il regista Tim Kincaid ci regala questo bel film di serie Z (come lo scienziato antagonista della storia) girandolo quasi contemporaneamente con altri tre film tra cui il fantastici e deliranti Robot holocaust, The occultist e un Alien/monster movie chiamato Breeders,  ricliclandone la stessa colonna sonora del compositore Don Great (Chi cazzo è direte voi, ebbene ha creato anche le colonne sonore di filmacci come Dreamaniac o Necropolis ! check ‘em) tutta fatta di synth e chitarroni glam rock alla Twisted Sister e Motley crue, per intenderci, musica rock tipica anni 80. Il risultato è a dir poco allucinante, insensato e barcollante peggio di un clown ubriaco… Non basterà la mia recensione a descrivere la quantità di situazioni inverosimili di cui è permeato il film, però secondo  i miei personalissimi gusti c’è da divertirsi, e tanto: i mutanti sono tanti terminator vestiti di nero e che indossano i classici occhiali da sole neri di schwarzeneggeriana memoria.

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Lo scienziato Z è così ben vestito che sembra essere uscito da un episodio dei power rangers. La recitazione e i dialoghi sono ad un livello, spero cogliate l’ironia, imbattibile. Ma passiamo al dunque: il livello di splatter. Per quanto ne riguarda, non c’è niente di cui preoccuparsi o da rimanere delusi, perchè ce n’è per tutti! dal melting dei mutanti al quale si sciolgono i volti come burro, braccia che si allungano sui muri e teste esplose da cui schizzano circuiti e sostanze di dubbia provenienza di color giallognolo! Il tutto contornato da dialoghi più pecorecci degli effetti speciali, che credo li abbiano scritti in un pomeriggio sudatissimo d’estate sotto il sole cocente. Infatti ecco che vi riporto una parte di dialogo che mi è rimasta particolarmente impressa tra Matt Riker ed Elaine Eliot, la bella e aggressiva eroina del film innamorata del nostro muscoloso protagonista. Si trovano entrambi nel salotto di casa di lei e…

Riker : “ La vita è un omelette! “

Elaine : “ Già…e tu prendi sempre la parte migliore! “

e dopo tutti giù per terra a fare quello che normalmente due persone di simili e argute vedute fanno!

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C’è da dire però che nell’obrobrietà cinematografica più totale, Tim Kincaid però è un regista davvero particolare, soprattutto se andiamo a documentarci sulla sua carriera nel mondo del cinema, paragonabile, in termini attitudinali e di duttilità, al nostro miticissimo Aristide Massaccesi, ossia Joe D’Amato. Infatti il nostro Kincaid, oltre ad aver girato numerosi film di vario genere sotto tanti pseudonimi quali Joe Gage e Mac Larson, è stato anche attore, produttore e scrittore di tante sue pellicole, come facevamo noi tanti anni fa. Ha anche un suo particolare trademark, ossia la messa in risalto del corpo, sia maschile che femminile (primi piani ai muscoli e la virilità dell’uomo oppure ai seni e i corpi nudi delle donne). Vi chiederete come mai ho “osato” paragonare Kincaid al nostro amatissimo D’Amato e vi rispondo subito! Dopo aver intrapreso una lunga carriera nel cinema di genere, ed aver spopolato nel mercato home video americano, il buon Kincaid decide di dedicarsi al porno. ma a differenza di Massaccesi, che ha turbato le nostre adolescenze con filmoni quali “ Selen la regina degli elefanti “ (e quì scommetto scoppia la risata generale) il regista americano ha preferito dedicarsi al cinema sì a luci rosse, ma d’altro versante del canyon, diventando un affermato regista di film Porno-gay !

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Per quanto riguarda la reperibilità di questo film, sappiate che in lingua originale possiamo trovarlo quasi ovunque: in rete, sul mulo o semplicemente comprando il DVD originale americano della full moon… Naturalmente per chi non mastica bene l’inglese, esiste anche una versione italiana di Mutant hunt in supporto VHS e sotto etichetta STARDUST, una label che a quanto pare ha prodotto in versione italiana anche film di serie Z che più Z non si può. Tanto per citarne qualcuno oltre il film recensito : “Fratelli di sangue”, “Incubo dietro le sbarre”, “Full moon high” ecc ecc …ma per quanto riguarda la videocassetta del film di Kincaid, la reperibilità cala di molto, e il prezzo, ovviamente e purtroppo, sale! C’è tanto da dire per Mutant hunt … innanzitutto che quest’ horror/fantascienza è puro “ so bad it’s so good “ degli anni 80, e che sfortunatamente (almeno per me) film così non ne fanno proprio più, oppure si, ma pieni zeppi di effetti speciali creati in digitale che credo e spero a tutti stiano un po’ sulle palle. Ma spero concorderete con me, che con questi filmoni la cosa più importante da fare, appena accenderemo il videoregistratore o il nostro lettore dvd, è trovare il nostro pulsante di accensione/spegnimento del cervello, e impostarlo su OFF. Fatto questo, prendiamoci un pacco (ma anche due) da sei birre comprate al discount vicino l’autostrada, chiamiamo un po’ di amici e immergiamoci nell’assurdità più totale di questi film…ovviamente buttiamo nel gabinetto le pretese, perché non potremo averne con queste pellicole!

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Mutant hunt

Regia: Tim Kincaid

Interpreti: Rick Gianasi, Mary Fahey, Bill Peterson.

Anno: 1987

Durata: 90 min.

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Rawhead Rex

03 lunedì Dic 2012

Posted by ceccamaus in demoni, Empire, film pericolosamente brutti, mostriciattoli, R, Recensioni Francesco Ceccamea, splatteroni

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Trama:  Un antico dio pagano viene liberato dalla sua prigione millenaria e per poco non si mangia un intero villaggio inglese. Uno studioso riesce a ricacciarlo nel buio, con la decisiva complicità della moglie, scagliandogli contro una pietra a forma di donna obesa.

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Tratto da uno dei racconti più “truzzi” di Clive Barker e sceneggiato dallo stesso, questo film dimostra quanto sia stato lo scrittore a fare la differenza, non la storia, privata comunque di quasi tutti i suoi aculei letali. Il regista, tale George Pavlou, diresse un altro film scritto da Barker, il misconosciuto e a detta dei pochi che sono riusciti a vederlo, inguardabile Underworld. C’è chi sostiene che sia proprio a causa dei modesti risultati di queste due pellicole che Barker decise di portare lui stesso sullo schermo le proprie creazioni. Se fosse davvero così dovremmo ringraziare il vecchio George, anziché prenderlo in giro, ma la verità è che neanche gli script dell’autore inglese sono irresistibili, si nota la volontà di fare un buon lavoro, con alcuni momenti pieni di montaggio alternato abbastanza efficaci ma il film è didascalico e pedante: Clive che fa palestra e impara il mestiere del cinema.

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Nonostante tutto Rawhead Rex è un film che si fa amare, la confortevole ambientazione british, il paesino fatto di piccoli cimiteri, locande e chiesette pittoresche, campi sterminati e contadini buzzurri in perenne tenuta da lavoro; l’atmosfera di imminente condanna e la recitazione burbera di tutti gli attori entrano nel cuore dello spettatore solitario e decadente. Il film sembra quasi una roba discreta a dirla tutta, almeno fino a quando il mostro pagano non viene liberato inconsapevolmente da un campagnolo testardo. Ecco allora che sullo schermo iniziano a sfrecciare queste luci azzurrine anni ’80 che riconducono più a un fantasy per bambini tipo Labyrinth e il Re “Testacruda” irrompe come una versione sfigata di Predator e muggisce verso il cielo sprofondando tutti noi in un grosso bidone trash: un giocatore di basket vestito come un membro dei Gwar, che per chi non la conoscesse è la band metal più demente e geniale degli ultimi 30 anni. Il look del mostro, con i capelli a cresta da moicano e l’abito medieval-cyberpunk è lo stesso “post-atomico” che riporta a Interceptor e ai video più coatto-futuristici dei Duran Duran. Il faccione dell’essere, descritto appena nel racconto, ci viene mostrato in tutta la sua pochezza effettistica: una faccia a metà tra un cinghiale ed Enrico Meale, (un mio compagno delle medie che voi non potete conoscere) gli occhi rossi sempre accesi, tipo lucine natalizie, che dovrebbero esprimere l’irresistibile magnetismo dell’essere e invece ci riconducono a una miriade di giocattoli luminosi che ancora si aggirano nel buio nostalgico e inquietante della nostra perduta infanzia.

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Le scene violente non mancano e in fondo questo bestione infuriato e all’apparenza inarrestabile riesce a far venire persino i brividi quando carica i poveri contadinelli infondendo un picco di inquietudine nell’unica scena davvero ben fatta del film: quando il protagonista e la sua famiglia sono in viaggio con la macchina e lo vedono, immobile, immenso, che li scruta da un campo. Tornano indietro per guardarlo di nuovo e si fermano a studiare quel “coso” per un momento interminabile, con il motore acceso. Lui li fissa senza fare nulla e loro ripartono. Poi ovviamente finisce mooolto male.

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Nel racconto originario “Testacruda” è un divoratore di carne umana e predilige i bambini: più piccoli sono e meglio è. Nella storia cartacea non si limita a dirselo, se ne mangia un paio: la figlia di una contadina e il figlio dello studioso protagonista. Con il secondo addirittura ci pasteggia sdraiato in un campo, mentre guarda l’orizzonte. Perso in oscure elucubrazioni pagane, ogni tanto allunga la mano sul corpo sventrato del bambino, estraendo come fosse un vassoio di paste un polmone o il fegato. Nel film la cosa viene omessa con rammarico di tutti, ma almeno c’è il momento topico in cui Rex piscia in faccia al canonico, sorta di battesimo al suo proprio culto e scena sacrilega per eccellenza di tutto l’horror anni 80.

Il finale ha un colpo di scena piuttosto prevedibile e incoerente che non sveliamo perché di certo avrete già messo il cappotto per dirigervi nell’unica videoteca ancora in piedi nella vostra città, decisi a noleggiarlo, vero? Se ancora invece non vi abbiamo convinti ci proviamo assicurandovi che è il solo horror di tutti gli anni ’80 a non avere in colonna sonora un orrido pezzo hair metal, né Cindy Lauper nei titoli di coda.

Francesco Ceccamea

Rawhead Rex

Anno: 1986

Regia: George Pavlou

Cast: David Dukes, Kelly Piper, Niall Toibin, Ronan Wilmot

Durata: 80 min.

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Ork

23 domenica Set 2012

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, Empire, O, Recensioni di Andrea Lanza, tette gratuite

≈ 4 commenti

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avere 50 anni e fare la ventenne, cellar dweller, charles band, cinema, debora mullowney, jeffrey combs, john carl buechler, ork, recensione, recensioni, yvonne de carlo

C’era un tempo in cui la televisione più bella per gli appassionati di cinema horror, almeno quello bizzarro, era Odeon tv, e l’appuntamento settimanale era il Lunedì sera in seconda serata. Alla faccia della Notte horror di Italia 1 che, a parte qualche eccezione (Ticks, Waxwork) e il delizioso Zio Tibia horror show, proponeva film che ogni appassionato conosceva a memoria! Su Odeon invece si faceva sul serio e si intervallavano settimana in settimana alcune perle come i primi due Ghoulies, Terror vision, From beyond, in una riscoperta dei classici dell’Empire di Charles Band. Uno dei titoli di punta della rassegna era Ork dell’effettista John Carl Buechler, tra tutti quello che all’epoca aveva quel certo fascino in più, almeno per me che di anni ne avevo 14 e mi stavo accingendo al cinema horror divorando film su film e Dylan Dog prima della sciagura Barbato.

Ork, ma il titolo originale Cellar Dweller è meno gratuito, era un timido esponente del cinecomix horror, sulla falsariga del Creepshow di Romero, non era ad episodi, ma si potevano percepire lo stesso le influenze dei fumetti dell’EC Comics. In Italia queste storie brevi del terrore erano uscite ad inizio anni 70 per Oscar Mondadori con titoli ormai cult come  Le Spiacevoli Notti di Zio Tibia, Zio Tibia Colpisce Ancora e Mezzanotte con Zio Tibia che raccoglievano abbastanza arbitrariamente alcuni episodi della serie Creepy. Tanto bastava però per appassionarsi a questi fumetti dal sapore di proibito, disegnati divinamente in un bianco e nero rosso sangue, ed amare, con lo spirito del fanciullino pascoliano, ogni cosa potesse ricordare loro.

Cellar Dweller in Italia venne chiamato Ork per accostarsi al precedente lavoro di Buechler, dalla fama di cult, quel Troll che sapeva mischiare sapientemente lo splatter con la fiaba. Non stupisca che in questa pellicola non ci sia nessun orco, all’epoca i titoli arbitrari erano all’ordine del giorno,e poteva capitare che il seguito di Senza esclusioni di colpi uscisse in vhs come Colpi proibiti 2, confondendo due film diversi, accumunati solo dalla presenza (nel prototipo) dalla star belga di arti marziali Jean Claude Van Damme, e creando perciò un sequel possibile solo in Italia. Si trattava certo di irrispettosità nei confronti dei fan, ma alla fine, tirando le somme e vedendo i molti titoli che restavano inediti, era meglio così che nulla.

Ork, a rivederlo ora, è invecchiato e anche male, ma mantiene parte del fascino da filmaccio del terrore che aveva all’epoca, un po’ ingenuo ma non disprezzabile. Innanzi tutto a pesare come un macigno è il budget e l’uso di attori da miscasting incredibile. Jeffrey Combs, reduce da Re-animator, interpreta nell’intro il disegnatore Colin Childress, creatore del mostro, ma non si capisce perchè abbia indosso lo stesso camice da scienziato pazzo che sfoggiava nel film di Stuart Gordon. Per lo meno però, sia dato atto, lui è convincente, gli basta fare lo sguardo da folle per catturare l’80 per cento del suo pubblico, un po’ come il Klaus Kinski più alimentare, ma il resto del cast? Passi per Debora Mullowney che è carina quanto basta per far dimenticare un’interpretazione atroce che il nostro proverbiale doppiaggio scadente rende ancora meno sopportabile, ma prendiamo, per esempio, Pamela Bellwood che all’epoca aveva ben 37 anni, portati malissimo tra l’altro, che il regista vuol far passare per una ventenne soltanto vestendola come una scema. No no non ci siamo e ci fa riflettere sulle facilonerie di una storia che inizia anche bene citando Suspiria (l’arrivo della ragazza nell’accademia d’arte in taxi di notte), ma poi inserisce, tra le giovani promesse della pittura e della danza, pure uno sciroccato sessantenne ex poliziotto che sta scrivendo un giallo. E vogliamo parlare poi di queste presunte opere d’arte? I quadri di un talentuoso pittore astratto (il terribile Brian Robbins) sono dei pastrocchi brutti, ma così brutti che i disegni di mia figlia Morgana di 3 anni ricordano le opere di Da Vinci, ma sono la cosa forse meno peggio in un’accademia prestigiosa (di 5 persone) che sforna pessime attrici e mediocri ballerine come niente fosse.

D’altronde in tutto il film non si vede mai un insegnante, solo un’incompetente direttrice, interpretata dalla povera Ivonne De Carlo, bellissima negli anni 50 e qui ridotta, invecchiata e imbruttita, ad essere la parodia della Joan Bennett del capolavoro argentiano. La sceneggiatura di Don Mancini (il creatore della bambola assassina Chucky) non ci fa sapere molto sui vari personaggi, li lascia abbozzati come nel peggior porno, ma senza l’atto sessuale motivatorio per tanta superficialità. Tutto avviene senza un perchè che non sia lo scatenarsi del prossimo omicidio, i corpi sono solo carne da macello senza cervello mossi da pulsioni elementari, odio, invidia, rabbia, che il regista non contestualizza, interessato solo alla creazione del suo mostro. E pure qui fallisce visto che la creatura è tra le più legnose mai viste in un horror, anche nello standard Empire, impensabile data la bravura di John Carl Buechler come effettista. Fa quasi tenerezza questo baubau immobile come uno stoccafisso che mena fendenti a vittime che potrebbero scappare e invece vanno scioccamente incontro alla morte.

Sul piano prettamente voyeuristico, questo pastrocchio non si fa mancare però un nudo gratuito sotto la doccia dellaa generosa  Miranda Wilson. Cosa che però non compensa l’esiguità dello splatter, elemento che ogni B movie di tutto rispetto dovrebbe far scorrere copioso, e che Ork, a parte una buona decapitazione, è sotto lo standard dell’epoca.

Però… Però… Eh si c’è un però che esula i difetti evidenti dell’opera e ci permette di non bocciarlo in toto, quasi a rotto di cuffia nel finale, ed è la buonissima atmosfera. Ork, o Cellar Dweller che si voglia, ha questo impagabile climax da fumettaccio di quart’ordine, l’idea che un fumetto possa generare un mostro sanguinario è meno stupido di quello che si possa pensare, soprattutto quando si mette in bocca ad un’ottusa direttrice frasi da censura maccartiana, le stesse che avevano condannato le opere della EC Comics al fallimento. Si può dire tutto su quest’opera, che sia stupidella, mal scritta, girata malino, con scene ad effetto illogiche, come l’arrivo di Jeffrey Combs in versione zombi o il travestimento umano del mostro nel finale, eppure possiede questa strana malìa che ti tiene incollato alla tv comunque,  anche quando pensi “Che stronzata”. Questa è la magia della serie B e dei film che malgrado tutto, Dio, il governo, la crisi, ci mancano sempre e che hanno reso anche noi i (meravigliosi) mostri che siamo.

voto 2/5

Andrea Lanza

Ork

Titolo originale: Cellar Dweller

Anno: 1988

Regia: John Carl Buechler

Cast: Yvonne De Carlo, Deborah Farentino (come Deborah Mullowney), Brian Robbins, Pamela Bellwood, Miranda Wilson, Vince Edwards, Jeffrey Combs

Durata: 70 min.

VHS: Skorpion – FILM PER TUTTI – INEDITO CINEMATOGRAFICO

Trancers

22 sabato Set 2012

Posted by andreaklanza in azione, B movie gagliardi, Empire, fantascienza, Recensioni di Napoleone Wilson, scifi horror, T

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attrici da Oscar agli albori, charles band, corsa contro il tempo, empire, full moon, helen hunt, poliziotto dal futuro, Tim Thomerson, trancers

“Il 2247 si scontra con il 1985. . . Quando un combattente del crimine del 23° secolo si riscalderà al sole della Los Angeles di oggi”

 “Jack Deth è tornato … e non è mai nemmeno stato qui prima!”

 “Il suo nome è Deth. Egli caccia i Trancers. Anche nel 20 ° secolo.”

 “Incontra Jack Deth. E’ un poliziotto del futuro Intrappolato nel Presente, e sta inseguendo una minaccia del 23 ° secolo nel 1985.”

 “La battaglia per il futuro è iniziata“.

Tagline originali del film

Realizzato dall’ineffabile e spericolato Charles Band della -ancora- Empire Productions, sulla scia di “Blade Runner” e “Terminator”, rubando le idee di base ad entrambi, “Trancers/Un Poliziotto del futuro” è inevitabilmente un B-movie, che però si eleva di tanto al di sopra della media grazie ad una scrittura abbastanza intelligente e in qualche caso addirittura di una certa eleganza, e ad un eroe carismatico di nome Jack Deth, interpretato da Tim Thomerson, protagonista in uno dei ruoli “chiave” della sua sterminata carriera altresì di caratterista.

Nel film si tratta di un “futuro”, a circa 300 anni dal 1985, da prendere o da lasciare. Los Angeles è ora dopo “Il Grande terremoto”, “Lost Angeles”. Le rovine della città sporgono dall’oceano come lapidi. Ciò che rimane sulla terra ferma è ora chiamato “Angel City”.

Jack Deth (Tim Thomerson) è un poliziotto e cacciatore di taglie che va dietro ai “Trancers”, zombie senza cervello che sono psichicamente controllati dalla nemesi di Deth, “Whistler”(Michael Stefani). Nel tempo libero, gli piace anche fare immersioni attraverso Lost Angeles e raccogliere coprimozzi delle ruote e altri artefatti inutili.

Quando apprende che Whistler è andato “su tutta la linea” (ovvero il tempo di percorrenza verso il passato con il trasferimento della propria coscienza in quella di un antenato) per uccidere gli antenati di alcuni dei leader del futuro, Jack Deth lo insegue. La sua missione: proteggere gli antenati del “consiglio” e inviare Whistler indietro per la linea temporale al fine di affrontare un processo nel proprio corpo.

Deth si “risveglia” dunque nel 1985 nel corpo di un suo dalle molte volte bisnonno (ovviamente Tim Thomerson, ma ora con i capelli biondi), il quale sfoggia una giovane e fresca fidanzata, Leena (Helen Hunt, a quei tempi persino sexy), solo per scoprire che “Whistler” è stavolta “saltato” nel corpo del detective Weisling della polizia.

Suona come un purissimo B-movie di sci-fi d’imitazione, fino ad ora? Lo è, ma è anche divertente e non dozzinale, di quelli con cui si può anche ridere ma in qualche modo appassionarsi contemporaneamente. Ci sono infatti alcuni momenti veramente divertenti e che sono intenzionali, ed alcuni che sono ancora più divertenti, ma la cui volontarietà è alquanto dubbia. Le scene di combattimento sono girate anche con una certa onestà, ma in definitiva purtroppo realizzate piuttosto male. Gli inseguimenti in auto sono anche più pedestri. Ma Deth ha una qualche buona battuta fulminante e alcuni interessanti gadget – come un orologio da polso “allunga secondi” in grado di rallentare il tempo, dandogli dieci secondi per ognuno di quelli che tutti intorno a lui vivono (non ci sarebbe dunque da stupirsi se qualcuno ha strappato la buona trovata da questo film per inserirla in “Clockstoppers”.)

Helen Hunt praticamente impersona. . . Helen Hunt. Nessuno all’epoca avrebbe potuto prevedere quanto avrebbe davvero progredito enormemente nella carriera fino all’Oscar come Miglior Attrice Protagonista, ma poi, bisogna dire che il suo ruolo in questo film non richiede certo molta emozionalità. Per quanto riguarda Tim Thomerson – bèh, cosa potrei mai dire. Mi è sempre piaciuto fin da quando era ancora ben più giovane che nel 1985, uno dei miei attori caratteristi preferiti. Ed è vero, egli è praticamente sempre stato presente solamente in innumerevoli B-movies, e il suo curriculum si potrebbe leggere quasi come un rap dal foglio di una filmografia di “Guilty Pleasure”, e non sarà l’attore migliore per ruoli di una qualche grazia, ma buca sempre il grande come il piccolo schermo, grazie ai larghi margini di immaginazione sui propri personaggi, che egli riesce a trasmettere allo spettatore- il suo personaggio ha nel film di Band una burbera personalità, simpatica e ancora sostenuta da un fisico robusto, perfetta per essere un eroe da B-movie, certo non sembrando un bel ragazzo con il quale ogni donna vorrebbe bersi una birra e fare insieme un barbecue. Ma, come Bruce Campbell, è una di quelle “Morti al lavoro” di Hollywood , e certamente il suo fascino è molto più di tutto ciò che può rendere così piacevole un film come questo.

Purtroppo, come molte produzioni della Empire, “Trancers” è marcatamente approssimativo. E anche a soli 80 minuti di durata si comincia talvolta a sentire come troppo lungo. Oltre che ad essere, nonostante alcune idee piuttosto intelligenti, e seppur molto gradevolmente, impantanato in una eccessiva concezione da B-movie, e dai deboli valori di produzione, in termini di budget. E’ anche molto piacevolmente datato, in un strano miscuglio di sci-fi retrò 50′ e anni ’80 che quando riesce nei propri momenti migliori, è comunque molto divertente. In definitiva, si poteva fare certamente di peggio, oltretutto quando si era in vena di realizzare niente di più che un film da “Double bill”per i Late show di mezzanotte, nei Drive in degli stati del sud.

Come la serie di “Highlander”, “Trancers” ha generato una serie di film che è cresciuta in modo esponenziale votandosi al peggio (sì, ci sono ben cinque film, riuniti l’anno scorso in un cofanetto dvd “Definitive edition” per il mercato nordamericano, anche se quasi chiunque rinuncerebbe almeno al numero 3), quindi sarebbe molto meglio vedere soltanto il primo apprezzabile capitolo, e lasciare pure gli altri dove stanno.

In Italia, dopo essere stato programmato in innumerevoli serate e notti da Odeon Tv negli anni ’80, assieme agli altri titoli allora acquistati dalla Empire come gli “indimenticati” “Ghoulies”, “Trancers/Un Poliziotto del futuro” è stato pubblicato ed esiste tutt’ora nella nostra lingua, solamente sul supporto della vecchia vhs da nolo A.D. 1988 della ViViVideo, riproducente in copertina l’immagine disegnata di Tim Thomerson/Jack Deth, dal bel manifesto originale.

Napoleone Wilson

Trancers – Un poliziotto dal futuro (AKA Trancers – Corsa contro il tempo)

Anno: 1985

Durata: 76 min

Regia: Charles Band

Sceneggiatura: Danny Bilson, Paul De Meo

Fotografia: Mac Ahlberg

Montaggio: Ted Nicolaou

Effetti speciali: John Carl Buechler

Musiche: Phil Davies, Mark Ryder

Cast:     Tim Thomerson, Helen Hunt, Micheal Stefani, Telma Hopkins, Art LaFleur, Richard Herd, Richard Erdman

VHS: VIVIDEO

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