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Come to daddy

29 mercoledì Apr 2020

Posted by viga1976 in action comedy, commedia horror, Indie, Le recensioni di Davide Viganò, thriller

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Ant Timpson, come to daddy, Elijah Wood

Avete presente quando sentire dire cose del tipo ” tante idee ma confuse”, ” divertente ma manca la struttura”? Ecco, queste frasi potrebbero andar bene per questa pellicola  interpretata da Elijah Wood.

Costui in codesta pellicola interpreta un giovane che va a trovare il padre dopo anni di abbandono.  Fino a quando l’uomo gli scrive una lettera e il ragazzo decide che forse val la pena ricucire un rapporto, che a ben vedere non è mai esistito.

L’incontro non è dei migliori visto che finisce con la morte del padre. Da questo momento capitano tante cose che ribaltano la situazione e mescola generi con una sorta di allegra furia pesantemente influenzata dai pessimi imitatori di Tarantino negli anni 90.

A essere sinceri non avrei assolutamente altro da dire su questa trascurabile opera, ma chiedendo aiuto al cinefilo nell’era di internet che vivacchia in me, vedrò di allungare un po’ il brodo e annacquare il vino con dosi abbondanti di H2O.

Per cui pur partendo dal fatto che a me questo tipo di operazioni tanto folli quanto tragicamente fragili, insulse, inconsistenti nello sviluppo elementare della trama, nella ricerca ostentata e con effetti disastrosi della frase ad effetto, e la voglia di imitare Tarantino e un certo cinema grottesco, comunque di livello alto, portando in scena personaggi bislacchi e “strani”, non garba per nulla; cercherò di trovare punti di interesse per un pubblico che rimanendo forzatamente chiuso in casa, sia alla ricerca di svago.

Cosa possiamo salvare da una pellicola non riuscita, ma che alla fine non è nemmeno Il Bosco 1 o quella roba con il licantropo a Napoli. Per cui siamo pur sempre all’interno di un modo di far cinema con grande professionalità. Ecco, potremmo partire col fatto che la sua breve durata è un elemento a suo favore.

Perché in fin dei conti, prima della scoperta di chi sta incatenato sotto il pavimento del soggiorno, il film non è affatto male.  Meglio è accettabile e vedibile.

Fino a quel punto assistiamo ai patetici tentativi del figliolo di impressionare il padre, e costui si palesa come un ubriacone molesto, un perdente senza redenzione. Ci sono i giusti equilibri nel dialogo e nell’azione serviti da un sottile senso del grottesco, che è reale anche nelle nostre vite.

L’entrata in scena di altri personaggi aggiunge un gusto da commedia nera indie che a me lascia quasi sempre freddo, ma se gestita bene è un’aggiunta positiva perché smaschera l’assurdo di molti nostri comportamenti sociali e situazioni quotidiane.

Così arriviamo al primo cambio di registro, la parte migliore della pellicola, quando il povero protagonista si trova solo in casa con un cadavere.  Con un uso giusto degli effetti sonori e dell’inquadratura. In particolare è da segnalare la bravura di Wood, in grado di stare sulla scena per diversi minuti da solo, riuscendo a cavarsela molto bene.

Poi c’è la gran pensata e la deriva da filmino che vorrebbe essere tanto folle, sovversivo, tanto cazzaro e quello che vuoi, invece finisce per sgonfiarsi pateticamente, fino a un tentativo nel finale di darsi un colpo di coda anche commovente, ma ormai il disastro è fatto.

Perché non basta far irrompere in scena dei personaggi strampalati, dei dialoghi pieni di non sense, una buona dose di violenza estrema per la riuscita di una pellicola. Soprattutto se queste irruzioni, che avrebbero il compito di scomporre e rivoltare il genere, sono deboli ed effimere,

Tuttavia qualora cercassimo un modo per passare tempo senza pretendere nulla in cambio, forse questa pellicola potrebbe far al caso vostro. Passa veloce come un dannato Bip Bip drogato con la migliore delle droghe chimiche di Mr White. La parte splatter farà il suo effetto, quasi sicuramente, su persone poco avvezze al genere. O quelli molto impressionabili come il sottoscritto.

Però la domanda è: << Perché dovremmo accontentarci? Non meritiamo di esser intrattenuti da film tanto grotteschi quanti riusciti in qualche modo? Film medio vuol forse dire opera mediocre?>>

La risposta è no. Un film medio è opera robusta, onesta, in grado di mantenere una struttura che regga anche l’idea più bizzarra. Si cerchi e veda quel gioiellino che è The Voices. Cioè un film in cui assurdo, tinte horror, momenti surreali e grotteschi sono inseriti in una struttura forte capace anche di creare personaggi in grado di colpire le emozioni degli spettatori.

In poche parole Come To Daddy è a mio avviso un film non riuscito, un’ opera trascurabile anche dal punto di vista del puro intrattenimento, nondimeno i gusti delle persone sono sempre portatori di sorprese infinite. Non nego che a qualcuno invece questa cosa spacciata per cinema possa anche garbare e a loro non posso negare la visione di questo film.

In realtà mi rendo conto che sia un discorso assai contorto, ma è dovuto al fatto di allungare questo articolo. Che se fosse per me avrei finito giudicandolo con la celebra frase  di Fantozzi sulla Corazzata Potemkin.

Davide Viganò

Come to Daddy

Anno: 2019

Genere: thriller

Regia: Ant Timpson

Interpreti: Elijah Wood, Stephen McHattie, Garfield Wilson, Madeleine Sami, Martin Donovan, Michael Smiley, Simon Chin, Ona Grauer, Ryan Beil, Raresh DiMofte, Alla Rouba, Noam Zylberman, Gord Middleton, Oliver Wilson

Durata: 96 min.

Sakrifice di Raffaele Picchio

11 domenica Mar 2018

Posted by andreaklanza in Indie, Recensioni di Zaira Saverio Badescu

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Tag

raffaele picchio, sakrifice, sangue misto

Il film Sangue misto è composto da 8 episodi: Sakrifice è uno di questi. Con questo frammento, noi di Malastrana, vogliamo  inaugurare una rubrica che affronterà  soprattutto il cinema indipendente italiano affidando ad una delle nostre penne più valide e meno conosciute, Zaira Saverio Badescu, il difficile compito di dissezionare le opere che ci sembrano più interessanti. Zaira non ha amici tra i vari registi indipendenti e la sua visione di cinema è a 360 gradi, quindi cinema senza serie A, B o Z, solo cinema buono o cattivo che sia. Per questo, grazie a Dio, il suo giudizio sarà, magari non condivisibile, ma sempre imparziale. A lei però la parola.

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Quando Andrea Lanza mi ha dato da vedere Sakrifice non conoscevo Raffaele Picchio e perciò ho “studiato” la sua scarna filmografia. Non sapevo molto neanche di Sangue misto e tutt’ora non conosco niente se non questo frammento.

Picchio è il regista di un’opera altalenante, Morituris, girata molto bene ma anche deficitaria di buone interpretazioni. Micidiale poi una storia che non passa il giro il boa del cortometraggio dilatato, complice anche la pessima sceneggiatura di terribili velleitarismi e dialoghi strazianti. Non lo salva il sadismo che, nella sequenza alla American psycho dei poveri, usa, ahimè, anche un topo per fini sessuali deviati. E’ un film però che porta in scena alcuni tra i cattivi da slasher più interessanti, i gladiatori, con la loro maschera di terrore genuino.

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Peggio va con The Blind King, anche qui la regia è buona, ma il film è noioso, poco interessante e ancora  una volta siamo davanti ad un’opera che assomiglia ad un episodio stanco di un telefilm americano, i vari CSI e Cold case. Cambia poi lo sceneggiatore, ma non il risultato con l’aggravante di una storia che vorrebbe essere Hellraiser incontra Babadook e risulta invece Riposseduta di Bob Logan con tutti i momenti grottescamente e involontariamente divertenti del caso. The Blind King non è un disastro, solo e per merito della mano di Picchio, che si conferma stilisticamente interessante, ma un disastro nell’affidarsi a penne valide, lui stesso incluso.

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Sakrifice è sicuramente un’opera più matura, un frammento duro e cattivo che fa propria la lezione di Srdjan Spasojevic e del suo A Serbian film con il corollario di torture ai limiti del filmabili. Sta qui la bravura del regista perché, in realtà, pur se siamo tentati di distogliere lo sguardo per il sadismo delle sequenze, è solo l’idea della tortura a spaventare, a diventare insostenibile senza mai davvero palesarsi nell’esplicito. Che siano dildi con infilzate lamette (citazioni delle forbici di Morituris) o pinze, non si vede assolutamente nulla: il dolore traspira solo nel volto da martire della brava Desirèe Giorgietti.

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Il problema in Sakrifice, ma visto la durata esigua risulta meno evidente, è sempre la sceneggiatura che non ha mai davvero voli pindarici e diventa prevedibile nel suo urlato colpo di scena già pochi minuti dall’inizio. Così l’opera di Picchio diventa un esercizio di stile, elegantissimo nei movimenti di macchina e nella fotografia virata in rosso, ma anche un’opera fine a sé stessa, senza quel sussulto narrativo che aveva reso grande il suo modello serbo.

Senza dubbio però Sakrifice è un’opera cattiva, sporca e che ti lascia attaccata quella sensazione di malsano che probabilmente era l’obiettivo primario, senza quelle ambizioni narrative che gli snuff non hanno.

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Gli attori, stavolta, sono tutti bravi con un plauso per la melliflua Elsena Shehaj, davvero sgradevole nei panni della segretaria di produzione.

Sakrifice è un cortometraggio interessante che poteva essere eccezionale, senza dubbio un buon auspicio per quello che potrebbe essere nel toto Sangue misto. Raffaele Picchio lo aspettiamo nella sua prossima opera, una sorta di seguito de Le tombe dei morti senza occhi di De Ossorio, con la speranza di vedere la sua opera più convincente.

Zaira Saverio Badescu

 

 

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