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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

Malastrana VHS

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Kung Fu Yoga

02 lunedì Ott 2017

Posted by Manuel Ash Leale in action comedy, Jackie Chan, K, Recensioni di Manuel Ash Leale

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india, Jackie Chan, kung fu, kung fu yoga, sodu soon

Ci siamo. Forse il momento tanto temuto è arrivato e io, ahimè, non sono preparato. Eppure, se ora guardo indietro, vedo chiari e visibili i segni dell’apocalisse. Probabilmente non ho voluto vederli, ho finto che fosse solo un brutto periodo fatto di scelte sbagliate e compromessi necessari, ma la verità, in quest’ora tragica, ha strappato con violenza il velo della cecità lasciandomi nudo e impaurito. E così giro per le strade spaesato, come non riconoscessi più la mia città, i miei vicini, i miei affetti. La fine di tutto ti mette davanti alla realtà brutale dell’esistenza senza mai indorare, senza pietà, senza riguardi. Insomma, questa è l’ora di guardarsi allo specchio, di trovare la forza, di superare la sfida e di porsi una sola, essenziale, domanda: che cazzo è Kung Fu Yoga?!

Ogni scusa è buona, vecchia volpe…

Io amo Jackie Chan e posso buttare la mia professionalità nel cesso quando si parla di lui, ma farò uno sforzo e vedete di apprezzarlo perché è dannatamente faticoso. Che JC sia ormai il simbolo della propaganda cinese nel mondo è cosa chiara e appurata. Dragon Blade e Chinese Zodiac sono qui a dimostrarlo, se mai ce ne fosse bisogno e quello che la Repubblica Popolare Cinese ha demandato al buon Jackie è l’immagine perfetta, incorruttibile e illuminata di un Paese moderno e sotto dittatura. Risulta quindi difficile scindere il buonismo dei suoi ultimi film da quel, neanche troppo sottile, tentativo di rappresentare una rettitudine che poi tanto cinese non è. Kung Fu Yoga è l’ultimo esempio di tutto questo, un’avventura in salsa bollywoodiana dove Chan può essere mattatore, produttore, protagonista, atleta, cantante, insomma dove può essere quello che ultimamente è sempre: tutto. A scrivere e dirigere questo spot della Pro Loco India è il veterano Stanley Tong, regista di film decisamente più dignitosi come Police Story 3: Supercop e Terremoto nel Bronx, ma anche lui sembra completamente fuori dai giochi. Sicuramente gestire Chan non è impresa facile, questo bisogna concederglielo. E allora via alla giostra colorata che vede Jack (interpretato da Jackie. Avete colto il frizzante scazzo pure nello scegliere il nome?), famoso archeologo, alle prese con un grande tesoro indiano. Sulle tracce dello stesso, tuttavia, c’è anche un nobile riccone locale, intenzionato ad averlo a tutti i costi. Novello Indiana Jones, JC mostra quanta bassezza ci sia nella cupidigia e quanto amore ci sia invece nella condivisione, nella giustizia, nel restituire al popolo le…va beh, tralasciamo il pippone buonista, Kung Fu Yoga è così svogliato da lasciare interdetti.

In qualunque modo lo si guardi questo film sembra la parodia di sé stesso, un tentativo di divertire senza nulla che faccia ridere. E no, se ve lo steste chiedendo un inseguimento con un leone seduto sui sedili posteriori dell’auto non è per nulla divertente. Cosa avesse in mente Tong durante la stesura, se c’è stata, della sceneggiatura è materia per Roberto Giacobbo e voyager: tra personaggi senza caratterizzazione, dialoghi imbarazzanti, CG orrida e, crimine contro l’umanità, stunt ridotti a scaramucce rifinite al computer c’è da scoppiare in lacrime isteriche. La chiusura con tanto di classico balletto in stile Bollywood mette il sigillo a un’operazione inutile e insignificante. Ma perlomeno qui ballano tutti bene. Kung Fu Yoga è il canto del cigno di Jackie Chan? No, tutt’altro, è un ulteriore mossa commerciale per esportare la bella Cina nel mondo. Da questo punto di vista, quindi, c’è ancora speranza.

Manuel Ash Leale

Titolo originale: Kung Fu Yoga

Anno: 2017

Regia: Stanley Tong

Interpreti: Jackie Chan, Sonu Sood, Disha Patani, Aarif Rahman, Miya Muqi, Amyra Dastur, Yixing Zhang

Durata:  1h 47min

Kung Fury

21 venerdì Ago 2015

Posted by andreaklanza in action, azione, B movie gagliardi, curiosità, K, Recensioni di Andrea Lanza, Van Damme

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anni 80, barbare a cavallo di dinosauri, cortometraggi fighi, david haselhoff, kung fury, ragazzi del computer, spacconate senza un domani, triceratocops, van damme, videogames

Tante le incognite dell’estate: un mattone può colpirti alla testa, puoi innamorarti di una sirena oppure vincere il caldo facendo una rapina. Se l’ultima opzione ti riesce, ecco allora che ti vedi già spalmato su un’isola tropicale, mojito alla mano e belle ragazze – tette sode – culo scolpito nel marmo, che ti rendono meno difficile l’arsura del solleone dei Carabi pirateschi. Certo poi esistono le varianti, ovvero la prigione e il tuo compagno di cella che ti guarda birichino con la saponetta in mano, o ancora peggio di finire romanticamente crivellato dai colpi incazzosi della polizia, che non sarà quella di Miami beach, ma cazzo uccidono anche loro. Quindi magari ripieghi sulla tua ps4 e su una rapina a Gta V che sicuro non ti ucciderà realmente, ma tu a quel mare ci pensi davvero e il solleone si avvicina. Dove diavolo sono le puttanelle tropicali? La vita a volte è ingiusta.

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Ah i Caraibi!

Eppure la noiosa estate, quella dei telefilm sempre uguali, degli amici che ti dicono “Stasera spacchiamo” e ti ritrovi a 40 anni a fare le stesse cose dei tuoi 18 anni, quella dei pub che mai ti ridaranno la tua giovinezza, malgrado 15 km di corsa, malgrado la fede che non ti segna più il dito, perché cazzo, ammettilo Andrea, sei vecchio… Ecco quell’estate da depressione esistenziale può riservare qualche sorpresa, e ridarti per mezz’ora quello che Dio, il governo, la grande mietitrice con la falce ti hanno rubato: i tuoi 14 anni. Gli stessi anni che andavi alle giostre per fare colpo sulla ragazza più bella del tuo paese e ti preparavi un piano perfetto, dialoghi alla David Mamet, pugno di ferro alla Van Damme per fronteggiare i probabili teppisti sulla tua strada, e finivi miseramente sullo sfondo a fare quello che meglio ti riusciva, un cazzo. Allora tornavi, coda tra le gambe, e ti buttavi in un film ed era più bello di quelli che vedi oggi, non perché lo fosse davvero, ma perché eri tu ad avere l’entusiasmo e gli occhi del fanciullino, quello che la cecità e youporn, le rotture di cazzo e la tua ex moglie, il cinema italiano e i suoi figli indipendenti faccio un film con mille lire babbo, ti hanno portato via. E lo dice anche Kaiser Soze, se il diavolo lo porta via sono cazzi.

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Ed ecco che trovi Kung Fury, arrivato per caso su passaparola di un amico che, sguardo perso da folle, ti dice “E’ bellissimo, come i film degli anni 80”, e tu ci credi e non ci credi, vuoi perché te lo dice sputando sangue e allora pensi al panfilo, allo yatch, goobye my friend, l’ultimo viaggio non lo faremo insieme, vuoi perché tutte le volte che senti la frase, “come i film degli anni 80” non è mai vero. Anche perché siamo sinceri, i film degli anni 80 si facevano negli anni 80, tutti i tentativi nuovo millennio di resurrezione di una decade che è diventata, per citare, anzi malcitare, il Leonardo Notte di 1992, “uno stato mentale”, sono falliti miseramente. Non sono I Mercenari 2 a riportarci i nostri eroi amici dell’infanzia, non è un Tulpa a regalarci un nuovo Tenebre argentiano, non sono i Vanzina con un’ultima sfilata a riempire le sale di un Sotto il vestito dal sapore di un funerale, no, i tempi giustamente sono cambiati, anche l’approccio lo è, ma soprattutto loro, i Rambo, gli Stallone, le Renèe Simonsen, gli assassini nerovestiti, sono tutte favole che mitizzi e non vuoi davvero rivedere perché è finito purtroppo il tempo delle seghe.

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Eppure Kung Fury arriva, come uno snuff, come una visione che non ti aspettavi, la doccia gelata quando sei spaparanzato sul bordo piscina. Kung fury è il telefilm mai visto nei tuoi 14 anni, che non sarebbe mai stato prodotto probabilmente, ma che tu avresti consumato puntata dopo puntata su scalcinate vhs registrate e riregistrare. In mezz’ora ti trovi catapultato in un mondo fatto di spacconate, di calci volanti e spaccate incredibili, di donne scosciate a cavallo di dinosauri, pronto ad inserire il tuo cazzo di 200 lire nella speranza che stavolta il fottutissimo Hitler, il Kung fuher, il boss finale possa essere ucciso. E dietro di te la folla di ragazzini della spiaggia. Andrea… Andrea… Ecco, giri il cappellino al contrario. Over the top, ragazzi, over the top. E arriva lui ed è allora che capisci che in palio c’è il tuo destino, ora, in una partita da 200 lire.

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Kung Fury è un corto di mezz’ora, una follia di un regista/attore svedese, tale David F. Sandberg, che decide di chiedere la cifra minima di 200 mila euro per realizzare il suo progetto, un revival folle degli anni 80, grazie al sito Kickstarter.  Pubblica il trailer e neanche 24 ore dopo arriva alla cifra desiderata, ma non solo: nel giro di un mese raggranella ben 600 mila euro, tre volte quello richiesto. Ecco allora che, grazie ad un budget “faraonico”, Sandberg realizza il suo sogno e lo fa maledettamente bene, ingaggiando persino David Hasselhoff che gli canta una canzone, terribile come tutte le canzoni dell’ex Mitch Buchannon di Baywatch, ma a suo modo commovente.

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In Kung Fury non ci sono i film degli anni 80, non c’è lo stesso spirito, ma c’è lo sforzo di analizzare gli eccessi e i cliché di una decade cinematografica, le battute ad effetto, i personaggi sopra le righe, la follia di una tecnologia non alla portata di tutti, e quell’aria ingenua anche davanti a temi forti come il nazismo. In questo Kung Fury è perfetto nella sua esimia durata di soli 31 minuti, un minuto in più era troppo, ma tutto in questo corto funziona perché è un gioco, una macchina del tempo che ti appassiona e ti fa ridere, ti ruba il tempo di una scrollata di pisello facendoti illudere che sei tornato bambino, anche se non lo sei.

Kung Fury allora diventa il film che alle elementari raccontavi e tutti gli amichetti ti guardavano con gli occhi spalancati a dirti Wow, e non importava se il film esisteva o meno, ma era necessario il momento di quel Wow che portava la tua fantasia all’apice del suo potere. Ecco allora che potevi persino infilarci nel tuo racconto un triceratopo poliziotto al fianco di Cobra, tanto il film era vietato ai 14 e sarebbe passato molto tempo prima di finire in videoteca o in tv.

Ci sono pure io, ragazzi!

Ci sono pure io, ragazzi!

Kung Fury ha tutti gli elementi che rendono grande una spacconata diventata film: i teppisti da Giustiziere della notte 3, le macchine che volano come aerei prima che Bruce Willis le usasse come proiettili in un brutto Die hard, il suo protagonista granitico come un Dolph Lundgren dei bei tempi (lo stesso regista), un capo della polizia burbero, un nerd smanettone capace di hackerare il tempo e i proiettili come neanche I ragazzi del computer, i dinosauri, le belle donne di contorno, la pubblicità invasiva, il momento melò, lo splatter e le battute, tante, come i cazzotti.

All’inizio gli intenti sono rivelati subito quando il simbolo degli anni 80, un cabinato da sala giochi, prende vita e comincia a fare casini in città, come neanche Godzilla nei migliori Honda. Da qui è tutto è crescendo, di situazioni, persino di emozioni, assurde come essere colpito da un fulmine e morso contemporaneamente da un cobra, ma geniali, che culminano in un lungo combattimento dove il film si inchina ai videogames, i vari Mortal Kombact o Street fighter, e al loro stile. Ecco che vediamo il Kung Fury combattere con decine di nemici nazisti mentre uno sfondo animato si muove, sempre uguale, con i cattivi come platea, e se avessi un dannato joystyck ora lo useresti per menare le mani anche te.

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Poi c’è lui, il Kung Fuher, Hitler, ma non l’Hitler studiato nei libri di scuola, ma la versione action, maestro di kung fu, il nemico più odiato ora, che tu sia di destra o di sinistra, che tu sia anarchico o abbia tatuato sul culo il Mein Kampf, perché arrivato a quel punto tu sei il protagonista, e hai infilato il tuo gettone da 200 lire per vedere sanguinare quello stronzo, e lo vedrai, cazzo.

David F. Sandberg capisce in pieno cosa il pubblico si aspetta e riesce a condire la sua insalata in maniera impeccabile, con i colori saturati giusti e la geniale paraculaggine quando rende uno scontro ancora più spettacolare grazie all’escamotage dei difetti da vhs smagnetizzata. Arriva poi ad osare regalandoci persino una sigla del suo pseudotelefilm che, cazzo, sembra più vera del vero, con tanto di spiagge e delfini alla Miami Vice.

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Certo non vi ho detto di Thor, dell’aquila del Fuher, degli omaggi a Terminator, ma basta raccontare, il film lo trovate qui sotto, con i sottotitoli in italiano. Se volete farci sapere cosa ne pensate scriveteci, commentate, non abbiate paura, perché Kung Fury non è un corto, è una vera esperienza. Per il resto inserite il vostro gettone e buon divertimento.

Fight!

Andrea Lanza

killer klowns from outer space

19 lunedì Ago 2013

Posted by ceccamaus in alieni, B movie gagliardi, commedia horror, K, Recensioni Francesco Ceccamea, scifi horror

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Coulrofobia, fratelli chiodo, killer clown from outer space, paura dei clown

Coulrofobia. Paura dei clown. Per alcune persone si manifesta con attacchi di panico, per altre non va oltre un vago senso di inquietudine. Dal loro punto di vista il film in questione è di certo uno dei più spaventosi mai concepiti nella storia del cinema; per il resto dell’umanità una porcheria come poche, una delle più esasperanti prese per i fondelli che siano mai arrivate da Hollywood.

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Killer klowns Fron Outer Space dei Fratelli Chiodi (i supervisori agli effetti speciali di Critters 1 e 2) fu un flop quando uscì ma con il tempo ha guadagnato lo status di cult movie. C’è chi lo considera semplicemente un film demenziale e chi un film demente e forse il problema di fondo è proprio quello di non essere nessuno dei due, rimanere in bilico tra la parodia pura 8e in questo caso i film presi di mira sarebbero i fantahorror alla Blob, il fluido che uccide), e l’horror splatter vero degli anni 80, dove la violenza è spesso eccessiva e cartoonesca, (basti pensare all’intera serie Nightmare o Non aprite quella porta 2) ma i pop corn carnivori, le torte alla panna fin troppo acida e le pistolone laser fanno fuori la gente per davvero e gli autori rivoltano pure l’intera faccenda portandola su un piano lovecraftiano. Insomma, vedere i clown spaziali che avanzano con la loro andatura buffa verso la cittadina ignara dell’orrore che la sta aspettando, predispone al sorriso (spesso per come si muovono e per le poche parole che esprimono ricordano i Teletubbies) ma sfido chiunque a trovare divertente la faccia del clown che richiama sibillino una bimba fuori da un locale, mentre dietro di sé nasconde un grosso martello colorato perché l’associazione con il serial killer John Wayne Gacy è inevitabile. Oppure la trasformazione splatter del poliziotto reazionario in un pupazzo da ventriloquo, con due rivoli di sangue che gli escono lungo il mento, giusto per farlo sembrare accidentalmente il fantoccio credibile che un grosso pagliaccio ciccione fa blaterare mentre ha il braccio infilato dentro le sue viscere… Ecco, in questi momenti lo spettatore può ostinarsi a sghignazzare ma in fondo è costretto a rendersi conto che quei mostri non sono così innocui e gioviali, si tratta di spietati assassini, mostri carnivori che non fanno distinzione tra una banda di motociclisti ubriachi o una povera signora sola in casa. I Fratelli Chiodo mettono giù una puttanata e lo sanno: la recitazione degli attori è sopra le righe, i personaggi sono tutte macchiette, le scene di violenza sono quasi slapstick ma ci è impossibile godere fino in fondo di questi difetti perché non sono venuti fuori naturalmente. Il vero trash non può essere concepito a tavolino. Deve nascere da sé. Di tutte le stramberie, ecco emergere poi la frase più intelligente del mondo, quella che neanche nei capolavori del genere dice mai nessuno: “ehi ehi ehi, rimaniamo tutti insieme!” Tutto troppo meccanico e forzato per essere spassoso. Siamo sul piano del metacinema, ma non per molto.

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La spiegazione suggerita nel finale, che i clown stessi, l’astronave a forma di tendone da circo, le stelle filanti, le trombette e tutto l’armamentario festaiolo trasformato in arsenale da battaglia non sia derivato da noi umani ma il contrario, fa spegnere definitivamente le ultime risate idiote in fondo alla sala. Non è la prima volta che quegli alieni vengono sulla terra a procacciarsi il cibo e probabilmente da tempo immemore gli uomini sanno di loro e quindi il circo, il lunapark e tutto il resto non sono altro che antichissimi rituali nati per scongiurare la loro venuta e che nel corso dei secoli hanno perduto il significato originario trasformandosi in un semplice business dell’intrattenimento. Ecco spiegato perché tante persone hanno paura della figura eccessiva del pagliaccio, odiano le feste e rifuggono i luna-park, giudicandoli sinistri, specie di notte, al buio. Sarebbe il ricordo ancestrale di quel pericolo che i nostri antenati impararono a temere e scongiurare, magari venerando quegli alieni come dei e rifacendosi al loro aspetto per addomesticarli o difendersi da loro. Nel finale, il camioncino dei venditori di gelato, con un grosso clown finto sul tetto viene usato per spaventare i clown alieni. Al suo interno una voce amplificata da un microfono dice loro di ubbidire al re e questi si fermano, lasciando andare i protagonisti, mai così vicini alla morte.
Gli effetti speciali sono la parte migliore in assoluto, neanche a dirlo. Persino lo scontro definitivo con il clownzilla è fatto bene, nonostante si capisca che il camioncino dei gelati è riprodotto su scala più piccola e che quello che lo prende a pugni sul cofano è un ex rugbysta vestito da clown mostruoso.

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L’aspetto parodistico del film è ribadito incessantemente dalla colonna sonora, una specie di score circense in salsa punk che è forse l’unica componente davvero trash del film perché quelle tastiere sferraglianti, i sintetizzatori rutilanti, oggi suonano assai più goffi e insopportabili di quello che volevano essere all’epoca in cui furono concepiti.

Per il resto, Killer Klowns è meno buffo e spassoso di quello che ci si possa aspettare con dei cali di ritmo imperdonabili (la scena finale nel luna-park risulta davvero noiosa); e spesso è troppo elegante e sofisticato per passare da innocente divertimento alla faccia di Marcel Carné (la trovata delle ombre cinesi è raffinata).

La parata carnascialesca dove gli alieni raccolgono i frutti del proprio lavoro, i bossoli allo zucchero filato in cui sono imprigionate le vittime, accompagnata da una musica funebre che non ha nulla di simpatico, solleva il film al livello sinistramente poetico di Qualcosa di sinistro sta per accadere, anomalo prodotto disneyano tratto da Il popolo dell’autunno dello zio Ray Bradbury).

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Il film veniva trasmesso di frequente su Odeon TV, per la serie “I bruttissimi di Odeon TV”, ammiccamento sardonico a “I bellissimi di Rete 4”. Nel cast riconosciamo Suzanne Snyder (Dimensione terrore) e John Vernon (morto nel 2005) caratterista in una miriade di lavori diretti da Don Siegel, Clint Eastwood e doppiatore di cartoni animati di successo.
È stata annunciata più volte la realizzazione di un sequel/remake e i Fratelli Chiodo assicurano che il 2013 sarà davvero l’anno buono.

Francesco Ceccamea

Killer klowns from outer space

Anno: 1988

Regia: Stephen Chiodo

Interpreti: Grant Cramer, Suzanne Snyder, John Allen Nelson, Royal Dano

Durata: 80 min.

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Kickboxer 4

05 domenica Mag 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, B movie gagliardi, K, Recensioni di Andrea Lanza

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action con nudi da porno, albert pyun, cinema, kickboxer 4, recensione, recensioni, sasha mitchell, seguiti folli, vam damme

Eccoci al Kickboxer più scatenato della serie, il 4, quello che si scosta di dosso l’emulazione del primo immortale capitolo e sceglie strade nuove. Via il maestro Xian e benvenuti a una serie di combattimenti coreografati come il Dio dei lottatori comanda. A girare quell’Albert Pyun che già era stato colpevole del secondo capitolo, ma che qui si riscatta alla grande scrivendo pure una sceneggiatura stramba, ma non stupida, molto fumettistica, tributo all’immortale capolavoro di Bruce Lee, I 3 dell’operazione drago.

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Si immagina che il malvagio Tong Po, dopo le sconfitte dei primi due capitoli (il terzo è dimenticato), sia diventato un boss della droga, il maggiore del Messico, e che abbia portato alla rovina David Sloan mandandolo in carcere e rapendogli la moglie. Anzi la moglie la violenta proprio e spedisce al protagonista una foto di lei pesta con scritto “Mentre sei al gabbio te la curo io”. Bisogna dire che Vicky Sloan (ma quando l’ha conosciuta?) non è una donna comune, è proprio moglie di cotanto marito: prima di cedere alla depravazione di Tong Po la vediamo pestare uno scagnozzo armato e uccidere a mani nude un altro. Il buon David, dopo anni di carcere, non è più il bravo ragazzo che conosciamo: si è incupito, picchia senza proferire parola, peccato abbia sempre la faccia da tonno lesso di Sasha Mitchell. Scopriamo però che il giovane Sloan, non si sa quando, ma è diventato un agente della DEA, l’antidroga, e allora i capi gli offrono una via di fuga: Tong Po ogni anno, nel giorno dei morti, organizza una gara di combattimenti all’ultimo sangue con i migliori lottatori del pianeta terra e in palio c’è un milione di dollari, a lui spetta il compito di infiltrarsi.

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Occasione ghiotta che David, in versione cupa, non si lascia perdere: comincia col pestare dei bikers per soldi e farsi notare, poi in un bar sul confine messicano mette ko degli stupratori. E’ un trionfo di ossa rotta, di vetri spezzati, di carne sanguinante. Non male davvero. Lì incontra la prima lottatrice: una biondina alta un tappo che già era una figurate nel Buana movie per eccellenza Kickboxers vendetta personale. Riluttante a picchiare una donna, dark David le molla un cazzotto sul muso e la mette a Ko in tre secondi. Ed ecco che inizia il vero film: incontri concitati inframmentati da scene erotiche ai limiti dell’hardcore con ragazze bellisssime intente ad intrattenersi con i combattenti in menage a trois. Non hanno molto senso con la storia questi momenti, ma sono un bel vedere e si sa che una tetta non la si rifiuta mai! Però ecco che arriva come un macigno il sottotesto gay: David incontra il fratello di un suo allievo e lo fa innamorare! Cioè il film non lo dice chiaramente, ma vediamo questi, ogni volta che vede Sloan, andare in panico e rifiutare ben due donne: la biondina alta come un puffo e una strafiga che si spoglia vogliosa di lui.

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E lui mai che spiega il perchè, è vago e fa pure un grande sforzo ad andare a letto con una ragazza e solo, badate bene, per carpirle informazioni su dov’è nascosta Vicky Sloan. Fossero tutti così i sacrifici! Intanto Sacha Mitchell di notte si veste da ninja (giuro!!!) e fa casino così senza motivo. Il finale vede ancora David e Tong Po fronteggiarsi e per l’ennesima volta assistiamo alla sconfitta del cattivone pelato che non è più Michel Qissi, ma il tunisino Kamel Krifa con un make up orribile, posticcio, che lo rende quasi un transessuale devastato dal botulino, una Nicole Kidman meno figa e più muscolosa. Il Tong Po nuovo è un vigliacco, ha atteggiamenti da bambino viziato (salta tutto contento sulla sedia davanti ai combattimenti) e ha un background accennato di lutto mai superato (lo vediamo pregare in una cappella la moglie). Si racconta che David Chan dopo il terzo orribile capitolo non abbia accettato il ruolo di Xian. Certo che senza di lui la saga di Kickboxer ne guadagna in originalità ed è libera di muoversi su altri binari osando persino confrontarsi nella sceneggiatura con un mostro sacro come Bruce Lee.

Gli attori in toto sono indecenti, ma il film è molto, molto divertente con combattimenti da urlo.
Straconsigliato.

Andrea Lanza

Kickboxer 4: The Aggressor

Anno: 1994

Regia:  Albert Pyun

Cast: Sasha Mitchell, Kamel Krifa, Brad Thornton, Jill Pierce, Michele ‘Mouse’ Krasnoo, Nicholas Guest, Thom Mathews, Burton Richardson, Deborah Mansy, Nicholas Anthony, Derek Cravin (Derek Partridge), Jackson D. Kane, Kevin Wooten, Terri Conn

Durata: 90 min.

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Kickboxer 3: Mani di pietra

05 domenica Mag 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, film pericolosamente brutti, K, Recensioni di Andrea Lanza

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brasilr, cinema, duri a morire, film froci, kickboxer 3, mani di pietra, pulsioni omoerotiche, recensione, recensioni, rio de janeiro, sasha mitchell

Al terzo capitolo la serie di Kickboxer si prende una vacanza e si sposta a Rio De Janeiro in un intreccio che sarà presto dimenticato nel quarto segmento. Il film di solito non piace a nessuno, nè ai critici amanti del genere nè agli appassionati e la ragione è presto detta: è più un action con sparatorie tra le vie poverissime del Brasile che un film di lotta.

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La regia di Rick King (che scrisse solo l’anno prima Point break della Bigelow) è insapore, molto televisiva, e i due protagonisti ormai storici, David e il maestro Xian, sono gli stereotipi dei loro personaggi già stereotipati in fase di creazione, il bravo e puro ragazzo nel quale immedesimarsi e il saggio mentore cinese. Oltretutto la storia è qualcosa di incredibilmente demenziale: i nostri due eroi vanno a Rio per una gara amichevole di kickboxing (dare calci a dei bicchieri sulla testa di altri lottatori) e s’imbattono in una tratta delle bianche che cercheranno di scominare.

E’ la sagra dell’assurdo: per esempio David e il maestro si prendono a cuore due orfanelli, Marcos e Isabella, li nutrono, li vestono, poi li rimandano la notte a dormire sotto i ponti. Ma perchè? E soprattutto da cosa nasce l’interesse per questi due ragazzini? I più maliziosi diranno turismo sessuale, ma il film apre più certe pulsioni omoerotiche tra i due protagonisti soprattutto quando scopriamo il maestro Xian intento a massaggiare con olio i muscoli del suo allievo in mutande.

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Sempre in tema di assurdità, ma soprattutto di stravolgimenti di una poetica di fondo della serie, ad un certo punto i nostri due eroi imbracciano il fucile e fanno fuori di punto in bianco una decina di persone in scene d’azione abbastanza ben dirette con corpi generosamente crivellati dai colpi. Meno male che si preferiva la forza della mente alle armi da fuoco! Ma ecco che il film diventa per lo meno divertente: il giovane Sloan dovrà combattere contro il campione locale protetto dal riccastro che rapisce le ragazze, ma non cede al mezzo milione offertogli dal cattivo per perdere. Ecco che il malvagio miliardario lo segrega allora in casa sua e lo obbliga ad allenarsi nei modi più stancanti al fine di spossarlo al momento dell’incontro: lunghe salite con zaini pieni di pietre, sci d’acqua senza gli sci, scava quella buca figlio di puttana, ora fai dieci km di nuoto. E tutte queste prove con una pistola puntata alla testa. Il ricco intanto scommette, scemo, tutto quello che ha contro Sloan, villa, soldi in banca, tutto, ma davvero tutto. “Tanto non può vincere”. Ma non sa che:
1 il maestro Xian ha insegnato a David a scindere corpo e mente (mentre dovrebbe soffrire per il caldo il giovane si immagina una cascata dove rigenerarsi)
2 il maestro Xian con il piccolo Marcos va a fare la spesa a Rio di code di topo e con quelle cucina un beverone aggiungendo veleno di serpente, muschio, cacca di gatto, erbe sconosciute per farlo bere allo stanco Sloan che chissà perchè è stato rilasciato dal cattivo il tempo di riposarsi.

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Non solo: mentre il giovane dorme il maestro lo accarezza con delle pomate e dei fanghi rigeneranti, naturalmente solo per la sua salute senza trovarci chiavi di lettura sotterranee.

Inutile dire che sul ring David farà il culo al campione locale, un idiota preso a cazzotti già all’inizio, e scominerà l’impero del viscido miliardario (che si beccherà pure una coltellata mortale da Marcos). Kickboxer 3: mani di pietra (ma in tv era Duri a morire) è da prendere o da lasciare: l’assurdità di fondo potrà anche divertire, il film non è esente da momenti esilaranti e tutto sommato non è noioso. Ma non è un film sul kickboxing, è come detto, un action un po’ cretino su due americani che fanno il bello il cattivo tempo in una Rio povera e decadente fatta di mendicanti o di speculatori senza scrupoli. Sasha Mitchell stavolta neanche si impegna a fare il Van Damme di turno e tutto sommato è più a suo agio con un mitra che intendo a dare calci volanti ai suoi avversari. Bella però la sequenza della caporeira. “Era proibito agli schiavi combattere, per questo si inventarono una danza, ma nei piedi avevano mortali coltelli”. Sticazzi.

Andrea Lanza

Kickboxer 3 – Mani di pietra

Titolo originale: Kickboxer 3: The Art of War

Anno: 1992

Regia: Rick King

Cast: Sasha Mitchell, Dennis Chan, Richard Comar, Noah Verduzco, Alethea Miranda, Milton Gonçalves, Ricardo Petráglia, Gracindo Júnior

Conosciuto anche come: Kickboxer 3: duri a morire

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Kickboxer 2: Vendetta per un angelo

05 domenica Mag 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, K, Recensioni di Andrea Lanza

≈ 4 commenti

Tag

albert pyun, cinema, kickboxer 2, recensione, recensioni, sasha mitchell, seguiti, van damme

Il successo di cassetta di Kickboxer il nuovo guerriero fu talmente grande che si cercò in fretta e furia di cavalcare l’onda producendo un seguito. E’ così che esce dopo solo due anni il secondo capitolo, The Road Back, da noi Vendetta per un angelo. L’angelo in questione, un bambino bruciato vivo da dei mafiosi, quasi come in Napoli violenta di Umberto Lenzi, è il motore della vicenda che spinge David, fratello del Kurt Sloan protagonista della prima pellicola, a muoversi contro il terribile Tong Po, antagonista storico della serie.

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Via Van Damme che ormai è proiettato verso un cinema marziale più alto, quell’anno girerà tra l’altro il fondamentale Double impact, e avanti con il modello Sacha Mitchell, volto noto per il serial Dallas e assolutamente ignorante di arti marziali. A scrivere il plot il futuro Dio degli sceneggiatori David S. Goyer, anche se la storiella striminzita non faceva presagire nulla di buono nella sua carriera. In cabina di regia però, a fare la differenza, è il regista haywaiano Albert Pyun, l’autore di quel capolavoro hardboiled che sarà Pistole sporche e di tanti sci-fi a base di botte e androidi come il vandammiano Cyborg.

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Kickboxer 2 calca la mano sull’eccesso con combattimenti violentissimi dove i lottatori perdono sangue come in una passione cristologica, si crogiola in una fotografia flou molto anni 80 alla Tony Scott e ha una colonna sonora ruffiana e orecchiabile. Non basta però a salvare il film dal mezzo disastro: Mitchell sembra più un ballerino di breakdance che un vero lottatore, il paragone con Van Damme è d’obbligo, ma impietoso, ma a dare il colpo di grazia sono soprattutto i tagli abbondanti che penalizzano e semplicizzano l’opera. Leggenda vuole che in Grecia il film sia uscito senza modifiche in un cut originale che prevedeva un ruolo più consistente per Emmanuel Kervyn nei panni che furono del nostro Gianni Claudio. Sembra però che la bravura come combattente di Kervyn creò invidia alla star tv Mitchell che si incaponì con la produzione affinchè le sequenze dei flashback fossero tagliate così da non essere messo in secondo piano agli occhi del pubblico. Di quei momenti, che vedevano in scena anche l’altro fratello Eric e la bella Mylee, rimane solo un frammento che vede un Tong Po in disastro (il grande Michel Qissi) uccidere Kurt Sloan con un colpo di pistola alla testa. Peccato che il girato sia a tutt’oggi introvabile, ma a testimoniare l’esistenza di questo subplot è lo stesso Qissi in un’intervista recente.

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Peccato perchè Kickboxer 2 non è un brutto seguito, è un seguito inutile e un po’ ignorantotto, solo tante ferite e poca carne, con personaggi assolutamente telefonati come l’ormai parodistico maestro Xian (Dennis Chan) arrivato senza motivo apparente ad allenare il giovane David ferito nel corpo e nell’anima. Un paio di sequenze d’allenamento comunque sono divertenti tipo quando Mitchell viene spinto dal suo bastardisssimo allenatore giù da un palazzo, ma sono poca cosa in un film che ruba l’anima a personaggi sempre più simili ad un picchiaduro da sala giochi. Albert Pyun gira l’ultimo combattimento in maniera assolutamente originale, dettagli insistiti e rallenti con effetto eco dei colpi, una cosa così elittica e di sottrazione da essere antitetica al genere così generoso di campi lunghi e così per assurdo vicina al cinema hardcore. Per il resto il film è poca roba, ma il terzo sarà ancora peggio. San Van Damme proteggici tu!

NB In una piccola parte il giovanissimo Brian Austin Green ora invidiatissimo fidanzato di Megan Fox.

Andrea Lanza

Kickboxer 2 – Vendetta per un angelo

Titolo originale: Kickboxer 2: The road back

Anno: 1991

Regia: Albert Pyun

Cast: Sasha Mitchell, Peter Boyle, Dennis Chan, Michel Qissi, John Diehl, Cary-Hiroyuki Tagawa, Heather McComb, Vince Murdocco, Humberto Ortiz, Matthias Hues, Emmanuel Kervyn, Joe Restivo, Brian Austin Green

Durata: 90 min.

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Kickboxer il nuovo guerriero

05 domenica Mag 2013

Posted by andreaklanza in action, azione, B movie gagliardi, K, Recensioni di Andrea Lanza, Van Damme

≈ 4 commenti

Eccolo Kickboxer il nuovo guerriero, uno dei più famosi e divertenti film di Van Damme del primo periodo, quando muoveva i suoi passi da bimbo nella Hollywood dorata migrata in Cina per brillare di accecante serie B.

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Kickboxer è un bel film di arti marziali, anche dopo quasi trent’anni, lo si guarda con piacere senza sentire la pesante datatura per esempio del gemello Senza esclusione di colpi. Ma qui cambia anche la mano del regista, anzi dei due registi, Mark DiSalle e David Worth, che riescono a portare a casa un prodotto senza tanti fronzoli, diretto con occhio attento al tasso di spettacolarità non facendo cadere mai il plot in un’esecuzione sommaria dall’esito ridicolo. Qui Van Damme interpreta con molta più convinzione il suo ruolo rispetto alle mediocri performance passate, non siamo davanti ad un Al Pacino certo, ma ad un attore dall’impatto fortemente fisico che pellicola dopo pellicola migliora spiccando per costanza e determinazione rispetto a tanti suoi colleghi.

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La storia è debitrice del precedente Rocky 4 con tanto di tragedia iniziale e rivalsa verso uno spietato combattente straniero ma fortunatamente ogni analogia surclassa il plagio divenendo rielaborazione intelligente di temi conosciuti in un’ottica, quella dei combattimenti di arti marziali, interessante ed originale. La trasformazione, e quindi la maturazione, del giovane Kurt Sloan, da spalla eterna del fratello, Eric, campione di kickboxe, a guerriero bianco in un mondo di chiuso razzismo verso il diverso, come quello dei piccoli villaggi thailandesi che fanno da sfondo alla vicenda, non risulta banale, ma anzi è ricca di sfumature sotterranee, quasi cutanee, che rendono questo film non uno dei tanti del genere, ma il caposaldo.

I due registi forniscono all’opera uno stile ibrido di narrazione, che mischia i combattimenti più brutali con una certa ironia di fondo, basti pensare ai dialoghi tra Van Damme e il maestro Xiao, ma anche al momento di un certo culto dove l’attore belga, ubriaco, si lancia in una danza grottesca per via del suo fisico massiccio. E’ questo forse uno dei momenti più geniali dove il ballo si mischia con la violenza, dove un gruppo di teppistelli se la prende con il protagonista e questi a ritmo di musica li sbaraglia come in una sorta di videoclip al sangue. Da ricordare anche i momenti di allenamento del percorso iniziatico di Van Damme/Kurt Sloan all’interno della città morta, luogo di massimo avvicinamento all’entità divina, con i combattimenti passati che echeggiano ancora tra le mura diroccate. Divertenti invece i sadici insegnamenti dell’ascetico sensei Xiao che conta delizie da menu come lanciare dalla cima di un albero noci di cocco sullo stomaco di Gianniclaudio o farlo inseguire con addosso bistecche da cani affamati, fino alla terribile prova del fargli rompere un albero a calci.

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Quello che contraddistingue il maestro Xiao (debitore del più popolare Miyagi della serie Karate Kid) dai tanti emuli che si accalcheranno nelle imitazioni di Kickboxer, è l’ironia di fondo, ma soprattutto la filosofia zen di ascetismo bastardo alla base del suo pensiero, nell’idea che chi è portatore di una grande conoscenza deve essere strambo e soprattutto misterioso. Il guerriero Tong Po invece è una variante crudele del precedente Bolo Yeung di Bloodsport, non più un gladiatore semplice d’animo, animato solo dal desiderio di gloria, ma una creatura malvagia, che non esita a punire con sadismo la ubrìs del fratello di Kurt e che violenterà senza remore la giovane Mylee.
Alla frase “Sanguini come Mylee quando l’ho posseduta” il senso di vendetta prevale, i pugni frenati vengono riempiti di rabbia e il guerriero bianco verrà accolto dalla folla con onore.

L’inizio dell’era Van Damme con Kickboxer raggiunge qui uno dei suoi momenti più aurei, è la consacrazione di un nuovo mito del cinema d’azione quando ormai le vecchie glorie stavano andando verso il nulla più sconfortante.

Andrea Lanza

Kickboxer il nuovo guerriero

Titolo originale: Kickboxer

Nazione: Usa

Anno: 1989

Regia: Mark DiSalle, David Worth

Cast: Jean-Claude Van Damme, Dennis Alexio, Dennis Chan, Michel Qissi, Haskell V. Anderson, Rochelle Ashana, Steve Lee

Durata: 98 min.

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