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Malastrana VHS

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Edmond di Stuart Gordon

11 sabato Apr 2020

Posted by viga1976 in E, Le recensioni di Davide Viganò, neo neorealista, nightmare

≈ 1 Commento

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Bai Ling, David Mamet, Denise Richards, George Wendt, Jeffrey Comb, Joe Mantegna, Julia Stiles, mena suvari, stuart gordon, Vincent Guastaferro, William H. Macy

Stuart Gordon, come molti di voi sapranno, prima di debuttare come regista di opere legate al genere horror e affini, è stato un regista teatrale. La passione per questa forma nobilissima d’arte, nasce in lui durante il periodo universitario.  Fonda una sua compagnia che prende il nome di Screw Theater, destinata a farsi conoscere per via di un certo realismo sulla scena decisamente crudo.  Dopo l’università si dedica con passione, fervore e serietà approdando alla fondazione dell’Organic Theater.  Successivamente il resto è storia (una splendida e importante storia direi) del cinema: il folgorante debutto con Re- Animator, la collaborazione con Brian Yuzna,  sopratutto l’enorme contributo alla materia lovecraftiana.

Tuttavia ritenerlo in grado di saper gestire un solo genere, a mio parare, è limitante e non del tutto giusto. Il suo contributo alla fantascienza con opere come 2013- La Fortezza o Robot Jox o Space Truckers, tutte opere con una loro personalità precisa, forse non del tutto riusciti, ma in grado di creare un legame forte con lo spettatore, sono lì a dimostrarlo.

E poi arriva Edmond. Lo so, scritto in questo modo pare che vi stia presentando un’opera buffa, sentimentale. Nulla di più lontano, sotto tutti i punti di vista.

Possiamo essere prigionieri anche senza sbarre? Davvero siamo convinti che il nostro problema sia solo rimanere in casa? Quando è cominciata la narrazione per la quale abbiamo un prima pandemia da riprenderci o, peggio ancora, rimpiangere? Cosa significa essere uomini liberi in occidente? Davvero prima lo eravamo?  Queste sono le domande che mi ponevo durante la visione di questa breve, ma suggestiva pellicola.

Forse la nostra vita segue binari precisi, un destino o il volere di una qualche divinità pasticciona e sarcastica. Non lo so. Per cui non dobbiamo far i conti con la responsabilità e le scelte, semmai dobbiamo tener conto della produttività, efficacia ed efficienza da dare alla nostra esistenza. Un vestito sempre in ordine, parole rassicuranti ai clienti, obbedienza al padrone e sacrifici di noi stessi al dio profitto. Grazie a lui, grazie al mercato libero e giocondo, possiamo esporre agli altri i nostri trofei: casa, auto, soldi, moglie, figli.

Ed è tutto normale, tutto regolare, il nostro mondo si basa su questa religione laica e orribile. Donando ricchezza o libertà individuali, concludiamo a che un buon affare per tutte le parti in gioco.

Tuttavia (si avrei dovuto scrivere però, ma quel tuttavia è più intellettuale, il tono giusto per la pellicola di cui ci stiamo occupando), qualora dovessero dirci che viviamo una vita sbagliata, cosa succederebbe? Quali porte infernali, aprirebbe un’affermazione simile, nella mente di un uomo senza gloria, storia, un tizio invisibile, mero esecutore di convenzioni sociali?  La narrativa hollywoodiana nasce per difendere il regime così come è, imparate molto della società americana guardando i film sentimentali hollywoodiani, sissignore è proprio così.  Cosa c’è alla base delle commedie romantiche americane e del cinema americano in generale? Un conflitto.  Due che si scontrano per tutta la durata del film, salvo poi innamorarsi e vivere felici e contenti, perché l’elemento di disturbo viene rimosso (quasi sempre con una frase ad effetto o qualche altra meravigliosa baggianata) tutto ritorna come dovrebbe e si vende di nuovo una porzione di sogno americano per le masse.

Edmond potrebbe essere una splendida commedia sul riscatto di un essere mediocre, che scopre sé stesso e gli altri. Potrebbe. Perché no? Volete saperlo? Ok, ve lo dico. Abbiamo finito la scorta di sogni. Ci sono rimasti quelli più improbabili, con tante belle tutine, ma nessun scalpitante desiderio di rivincita e cambiamento.  Non lo vogliamo codesto maledetto cambiamento, vogliamo aver la possibilità di perderci, farci male, vivere in stato precario ogni singolo giorno.

Siamo prigionieri da sempre e ci va bene così. Ora, visto che siamo anche bimbetti deboli e petulanti,  sprechiamo le nostre fatiche vaneggiando di libertà da riprenderci. Di bar, caffè, aperitivi, viaggi, abbracci, ma una volta fuori torneremo prigionieri del sistema economico, a servire il padronato.

Edmond è travolto, sconvolto dal fatto di aver vissuto una vita non sua, per questo decide di attuare un cambiamento, prima cosa : lasciamo la moglie.  In fin dei conti è tipico nelle ribellione borghese, la coppia è solo un passaggio obbligatorio, ma la condanna a esser liberi ci impedisce di donarci a un’altra persona, per cui appena possiamo buttiamoci a capofitto in una via di fuga in solitaria.

Eppure non basta.  Liberarci dalle catene della relazione di coppia, per cosa? Per andare dove? Ma come dove? Al bar. Per ascoltare le parole di un altro uomo annoiato e in vena di confidenza a ruota libera. Certo la noia di un altro non vale, ma Ed è americano che ne sa di Guccini?  Soprattutto ora che pur avendo lasciato il matrimonio alle spalle, non si sa dove andare.

Ecco, cosa fa un uomo mediocre per darsi un’alternativa? Cerca sesso. In fin dei conti questo è il mondo in cui molti idioti si pavoneggiano dietro a scemenze tipo ” tromba di più” per aver un argomento da usare per raccattare il rispetto di qualche mosca da bar, o ometto assai suggestionabile e per nulla risolto. Eppure possiamo credere che Edmond cerchi solo un po’ di sesso a pagamento? Certo, è quello che vediamo, ma proprio la sessualità mette a nudo il vuoto, la finzione, la merce alla base del sistema capitalista. I corpi venduti, comprati, profanati in una sorta di stupro legalizzato o quantomeno accettato, è la versione estrema, imparagonabile, ingiustificabile e fisica di quello che capita alle vite degli Edmond di questo mondo, sotto altre forme meno crude e violente. Ma anche lui è un corpo in vendita, un’anima vuota in una vita senza significato, alla vana ricerca di qualcosa/qualcuno che lo possa salvare o aiutare.

La  ricerca di piacere sessuale obbligatorio, di svago erotico, è un atto di potere verso chi è schiavizzata e non ha forza o parola in merito, anche se nella visione di Ed è lui la vittima di persone che se ne approfittano.

La solita vecchia canzone.  Il convincersi di essere l’oggetto dello squallore e non il soggetto.  Ed è un uomo bianco, borghese, lavoratore che non deve abbassarsi a mansioni umili e manuali, che vive il suo tormento esistenzialista perché se lo può permettere. Veramente è alieno all’orrore del quartiere malfamato? Davvero è vittima di prostitute e afro americani criminali? O è un uomo che non ha ancora accettato il suo vuoto e la sua ferocia?

Egli è vittima e carnefice allo stesso momento. Usato e abusato dalla società e dalla vita fatta di regole anche stupide, vuole rifarsi abusando attraverso i soldi del corpo altrui, e trova una forza feroce e totale nel colpire un delinquente di strada. Una liberazione in cui classismo, razzismo, odio cieco e incontrollabile trovano la via di sfogo. Un punto di non ritorno, a farne le spese una ragazza.

Ed esercita il suo potere isterico e schizzato su di lei, perché può permettersi questo gesto, anche se la sta invitando a essere sincera con sé stessa e a cambiare vita.  Tuttavia egli è solo questo un animale ferito, un prigioniero senza via d’uscita, un uomo mediocre che scambia cambiamento con trasgressione da poco, volgare, in cui può far valere il suo potere economico,  ma si lamenta se le sue vittime si organizzano per derubarlo.

Perché se il film ci racconta l’odissea notturna di un uomo normale alla ricerca di una nuova vita, quello che il personaggio suggerisce è un terribile vuoto, disperato furore, mediocrità sorda e feroce. Per questo ci colpisce ancora di più. Perché alla base c’è un corpo riempito di illusioni pratiche e pleonastiche che cerca disperatamente la sua anima e rivincita. Sotterrando tutto di chiacchiere,

È cattivo Edmond? No. Allora è un buono travolto dalle circostanze? Ancora meno. Perché i buoni sono travolti dalle circostanze da quando nascono fino a quando muoiono, ma non sentono il bisogno di far del male agli altri.

Egli non può liberarsi o ricostruirsi la sua vita perché non ha nessuna idea di cosa sia la libertà. Infatti meglio le mura di una prigione, meglio adattarsi anche alla violenza che subisce e da cui par-a mio avviso assai erroneamente- un rapporto affettuoso con il suo compagno di cella. In realtà Edmond vive sotto la pressione violenta esercitata dal potere e prova quello che le donne dei quartieri malfamati ben conoscono, la sopravvivenza.

Edmond è un bellissimo film, diretto da un grande maestro del cinema. Un uomo colto e che mancherà agli appassionati di un certo cinema, mentre altri non sapranno mai cosa si sono persi, purtroppo per loro. Questa opera è tratta da una commedia teatrale di David Mamet, che firma anche la sceneggiatura della pellicola.  Un incubo che potrebbe riecheggiare le suggestioni di un Taxi Driver o di un Hardcore, ma è semplicemente un film horror in presa diretta e senza effetti speciali, però i mostri ci sono: la società capitalista che considera Edmond un oggetto per la produzione e il profitto, il vuoto esistenziale e umano del protagonista che alimenta la sua rabbia e frustrazione, i rapporti basati sulla violenza e la sessualità comprata.

Tutto questo messo in scena benissimo e recitato in modo a dir poco memorabile da uno straordinario William H Macy.

Opera che vista oggi ci dovrebbe far ragionare sulla nostra prigionia, sul vuoto che regola le nostre vite, sull’illusione di un’altra vita. Anche se- con buona pace di Monicelli- la speranza non è morta.  E forse, alla fine, Ed necessitava di quello che trova per strada, o nell’abbraccio di una relazione nuova, anche se basata su principi del tutto sbagliati.

In ogni caso, grazie Stuart Gordon. E che l’eternità ti sia dolce.

Davide Viganò

Edmond

Anno: 2005

Genere: drammatico

Regia: Stuart Gordon

Interpreti: William H. Macy, Julia Stiles, Joe Mantegna, Rebecca Pidgeon, Bai Ling, Frances Bay, Russell Hornby, Wendy Thompson, Denise Richards, Vincent Guastaferro, Matt Landers, Dulé Hill, Russell Hornsby, Aldis Hodge, Debi Mazar, Mena Suvari, Jeffrey Combs, George Wendt

Durata: 82 min

Nightmare 2 (La rivincita)

13 venerdì Lug 2018

Posted by andreaklanza in N, nightmare, nightmare on elm street, Recensioni di Domenico Burzi, slasher, splatteroni

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jack sholder, nightmare

L’episodio più odiato e meno apprezzato di tutta la saga kruegeriana, è girato nell’ormai lontano 1985 da Jack Sholder e scritto da David Chaskin.

Ai due citati autori non fregava assolutamente niente del Freddy Krueger  “personaggio” né della sua mitologia, ma solo la possibilità di imbastire un horror duro e puro che incassasse almeno quanto il precedente capitolo di Craven, ai tempi non interessato allo sfruttamento commerciale della sua creatura. Missione compiuta perché, al di là delle lamentele dei fans,  la pellicola in questione è un ottimo horror, senza ammiccamenti, battutine e imborghesimento del villain ustionato che rimane ancora figura inquietante e minacciosa. Un orco vero e proprio che elegge cantine, caldaie e fabbriche dismesse a sua dimora, con l’unica intenzione di uccidere e “collezionare” anime (ora siete tutti figli miei dice alle sue potenziali vittime durante la grande scena della piscina).

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Jesse (Mark Patton) si trasferisce con la famiglia nella casa che fu di Nancy Thompson, ereditando sia gli incubi terribili sia la presenza ossessionante di Krueger che, in una bellissima scena, vedrà  di soppiatto dalla finestra della cantina mentre brucia degli oggetti nella caldaia. Siamo quasi dalle parti di Amityville Horror (o Possession) per molti versi, la casa sembra posseduta, fa un caldo infernale, i pappagallini in gabbia impazziscono e muoiono per combustione spontanea, e poi, Jesse sogna, ha degli incubi spaventosi in cui si materializza la figura dell’uomo nero con il cappellaccio. In più, cominciano le morti, inspiegabili, tanto che Jesse comincia a credere di essere pazzo, non aiutato nemmeno da una delle famiglie più odiose e disfunzionali mai apparse sugli schermi. Plot classico, nessuna concessione all’ironia per un film che sembra viaggiare anche in territorio slasher regalando al pubblico grandi scene d’omicidio come quelle della morte  sadomaso del coach Schneider (Marshall Bell) o la già citata mattanza in piscina, con un Robert Englund in gran spolvero, torreggiante, a dispetto della bassa statura, in mezzo al gruppo di teen-agers festaioli (Anthony Hickox questa sequenza l’ha vista sicuramente, guardate un po’ il massacro discotecaro di Pinhead in Hellraiser 3-Hell on Earth).

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Forse gli appassionati della saga non hanno mai perdonato a Sholder il fatto di aver mostrato poco l’uomo nero di Elm Street, praticamente assente per tutta la prima parte. Vero, ma bisogna pur ammettere che tutte la apparizioni di Freddy sono straordinarie e centellinate in vista del twist finale in cui il Nostro si materializza nella “realtà” dei personaggi messi in scena letteralmente facendosi strada tra la carne del protagonista principale, ragazzo complessato in odor di omosessualità che non consuma il rapporto con la ricca fidanzata perché in simbiosi con il terribile Krueger. Scena grandiosa, orchestrata dall’effettista Mark Shostrom, regista non accreditato di tutta la sequenza di trasformazione, mentre il make-up di Englund fu affidato al bravo Kevin Yagher, destinato a divenire uno dei professionisti più apprezzati e richiesti in ambito orrorifico (la creazione di Chucky in Child’s Play su tutte). Una leggenda metropolitana, o presunta tale, vuole che il guanto artigliato sia stato rubato sul set, motivo per il quale, in alcune immagini,  le lame fuoriescono direttamente dalle dita di Freddy.

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Curiosità a parte, il film di Sholder (regista pure di un gioiello dimenticato come L’Alieno) è girato e fotografato in modo splendido, Jacques Haitkin fu il direttore della fotografia del capostipite, ed è un peccato relegarlo nel limbo dei seguiti indegni, non solo perché fu un buon successo al botteghino, ma perché è una pellicola in grado di camminare sulle proprie gambe. Dopo il buon Craven prenderà in mano le redini del franchise, ma questa è un’altra storia. E poi, ci sia concesso di dire che A Nightmare on Elm Street 2: Freddy’s Revenge sfodera l’incipit forse più fenomenale dell’intera serie, con la folle corsa dello schoolbus, guidato da un Robert Englund senza trucco, in una landa desolata e quasi preistorica che avrà portato all’innamoramento subitaneo una legione di giovani amanti del cinema horror. Non è poco. Da riscoprire.

Domenico Burzi

Nightmare 2 – La rivincita

Titolo originale: A nightmare on Elm Street 2 – Freddy’s revenge

Anno: 1985

Regia: Jack Sholder

Interpreti: Mark Patton, Kim Myers, Robert Englund, Clu Gulager, Hope Lange

Durata: 90 min.

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NOTA: Ogni curiosità sulla serie di Nightmare vi rimando sia all’articolo su Malastrana sulla serie https://malastranavhs.wordpress.com/2017/08/06/la-saga-di-nightmare-on-elm-street/ che al sommo blog di Lucius Etruscus (uno dei suoi tantissimi blog) https://ilzinefilo.wordpress.com/2018/06/22/nightmare-1-1984/

 

 

La saga di Nightmare on Elm Street

06 domenica Ago 2017

Posted by andreaklanza in freddy krueger, I grandi saggi di Malastrana vhs, nightmare, Recensioni di Andrea Lanza, robert englund

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criptogay negli horror, freddy krueger, fumetti, jack sholder, nightmare, videogames, wes craven

I sogni sono mondi incontrollabili dove fantasie e frustrazioni si riversano anarchicamente durante il sonno. Non esiste una ragione o un Dio che regola l’illusione di un’azione in questa landa onirica: si può volare, i nostri cari defunti posso risorgere per parlarci, l’assurdo daliano diventa realtà di tutti i giorni, e naturalmente tutte le nostre fobie prendono una forma materiale nell’irrealtà delle nostre visioni notturne.

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Freddy Krueger è l’incarnazione delle nostre paure ataviche, l’idea del buio che fa paura, del dormire senza risveglio, del baubau che vive sotto il letto. Ma non solo: Freddy Krueger è anche il sesso sporco, quello che distrugge l’idea da ragazza del principe azzurro, la rozzezza, la volgarità del maschio che al posto di essere detestata inconsciamente viene desiderata in un riappropriarsi del ruolo primordiale di femmina tolti i panni della donna pensante. Per questo forse, a differenza di Jason, il ritardato assassino di Venerdì 13, Freddy, con il suo maglione a righe e il cappello a lunghe falde, è diventato non solo un personaggio leggendario da film, ma una vera icona per i ragazzi di tutte le età: perchè è vero che Freddy è dannatamente pericoloso, ha gli artigli come un gatto e fa paura la sua voce, ma è anche tremendamente sexy nella sua mostruosità incarnando perfettamente tutto quello che detestiamo e che ameremo essere, un segreto che nascondiamo nella società delle apparenze.

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Nightmare dal profondo della notte (1984)

Alla base di A Nightmare On Elm Street (Nightmare dal profondo della notte) ci sono gli scritti di Castaneda, uno studioso che si addentrò attraverso i suoi libri nei mari inesplorati del sogno, ma anche le vicende del serial killer Albert Fish, uno tra gli assassini più infami della storia che uccise e stuprò centinaia di bambini nell’America dei primi del 900. Craven in diverse interviste poi asserì che furono fondamentali almeno due episodi della sua vita per dare forma a Freddy Krueger: l’incontro quand’era bambino con un barbone che lo spaventò a morte e le angherie subite da parte di un bulletto che si chiamava appunto come il nostro mostro dalle unghie aguzze. A questo aggiungiamo un fatto di cronaca americano dei primi anni 70 dove un ragazzo asiatico svegliò di notte la famiglia con urla terrorizzanti e morì nel sonno come se stesse lottando disperatamente contro qualcuno.

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“Era una notte quando mi svegliai e guardai fuori dalla finestra: sotto c’era questo barbone che mi guardava dritto negli occhi. Era vestito come Freddy Krueger, maglione simile e portava quel sudicio cappello, doveva essere un ubriacone. Mi nascosi, contai nel buio, uno, due, tre, cento, ma quando alzai la testa lui era ancora lì e mi guardava ancora, gli occhi cattivi fissi su di me. Vidi che faceva il giro della casa e sentii che armeggiava con la porta. Svegliai mio fratello che scese con una mazza da baseball, ma fuori non c’era nessuno (…) Poi ci furono una serie di articoli sul Los Angeles Times usciti a distanza l’uno dall’altro che raccontavano episodi simili su tre persone di origine orientale che non riuscendo a convivere con i ricordi della guerra in Vietnam morivano nel sonno. Uno di questi era più interessante di altri perchè appena letto mi dissi che c’era la materia per un film: un ragazzo che era stato in un campo di riabilitazione, in Cambogia credo, viveva ora con i genitori in America e si rifiutava di dormire perchè diceva che nel sonno poteva morire. Trovarono nella sua stanza nascoste tazze che aveva riempito con il caffè: cercava in tutti i modi di non addormentarsi. Una sera i suoi tornano e lo trovano addormentato davanti alla tv, sono felici perchè sta riposando pacificamente, ma poi nel cuore della notte si sveglia e sembra che lotti con qualcuno finchè non muore. Ecco lì c’era il seme per Nightmare”. [Wes Craven]

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Il regista aveva cominciato a scrivere una sceneggiatura di Nightmare on Elm Street già verso il 1981, dopo aver finito la produzione del cinecomix Swamp Thing (1982) quando era uno degli autori giovani più promettenti sulla piazza, ma piazzare il film su Freddy Krueger non fu facile anche perché l’horror in quel periodo era visto di malavoglia ad Hollywood, e poi non dimentichiamo che si parlava di un pedofilo assassino, argomento tabù per l’America puritana. Nightmare infatti viene rifiutato dalle maggiori major e trova una via solo grazie al coraggio di una casa indipendente che alle spalle aveva poche cose importanti per di più documentari, la New Line che, ancora a distanza di anni e di grandi successi, è conosciuta dai fan come “The House That Freddy Built“.

027-a-nightmare-on-elm-street-theredlist.jpgCurioso come tra le case che si interessarono al progetto ci fosse pure la Walt Disney che voleva però un prodotto molto più edulcorato e per ragazzini. Alla fine Craven scelse di descrivere Krueger soltanto come un assassino di giovani stemperando il risvolto pedofilo (che tornerà nel remake recente). Per il ruolo di Nancy Thompson, Craven voleva a tutti i costi un’attrice non conosciuta e la scelta cadde su Heather Langerkamp che battè qualitativamente ai provini quasi 200 attrici. L’indirizzo fittizio dell’abitazione dove si svolge la vicenda è il 1428 di Elm Street a Los Angeles, California, divenuto un po’ il marchio della serie. Durante la produzione, più di 500 galloni di sangue finto furono utilizzati per gli effetti speciali: si pensi che per la famosa sequenza del geyser di sangue, si riciclò lo stesso set con stanza girevole utilizzato per la coreografica morte di Tina. Altra curiosità è su come sia stata girata la famosa scena dell’artiglio che fuoriesce dall’acqua mentre Nancy sta facendo il bagno: il set fu costruito su una piscina e fu realizzata una speciale vasca senza fondo.

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Il regista di Venerdì 13, Sean S. Cunningham, vecchia conoscenza di Craven fin dai tempi del suo primo horror, aiutò l’amico girando una secondaria scena di inseguimento: i semi perchè le due icone dell’horror, Freddy e Jason, si incontrassero c’erano quindi già agli albori delle serie. Stilisticamente Nightmare è anche la prova più matura del regista Wes Craven che veniva da almeno due cult movie del cinema del terrore, Le colline hanno gli occhi e L’ultima casa a sinistra, stupendi affreschi di un orrore brutale e primitivo, ma di fattura registica (volutamente o meno) acerba e rozza. In Nightmare, Craven può sfogare la sua fantasia, il suo gusto per la citazione (che sfocerà in tempi recenti nell’accumulo ridondante e inutile di uno Scream 3), i suoi studi filosofici da ex professore universitario, ma soprattutto avrà l’occasione di girare forse il suo capolavoro, quello capace ancora oggi, accresciuto ancor di più da un mediocre remake, di far paura a distanza di quasi trent’anni.

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Si riconoscono echi del primo Dario Argento (la preparazione degli artigli come le lame dell’assassino di L’uccello dalle piume di cristallo), ma anche influenze meramente craveriane (la scena della vasca da bagno filtrata dal poco precedente tv movie Benedizione mortale) in un contesto totalmente innovativo però per l’epoca: un universo dove la realtà e il sogno si assottigliano sempre più fino ad assomigliarsi. Restano nella leggenda del cinema horror il magistrale omicidio di Tina sotto gli occhi atterriti del fidanzato (scena omessa per la sua crudeltà da molte versioni dvd) con le artigliate sul soffitto, e il geyser di sangue surrealista della morte del ragazzo di Nancy, ma anche Krueger che allunga le braccia assurdamente come un disegno sproporzionato di un bambino dell’asilo.

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A Freddy darà il volto l’attore di teatro Robert Englund, già celebre per essere stato l’alieno buono nella serie cult V Visitors, e che da allora rinuncerà quasi per sempre al suo viso per indossare una maschera sformata di esso in seguiti e horror debitori di Nightmare. Tra gli attori fa il suo esordio la futura star Johnny Deep che non si dimenticherà di Krueger ritornando per un breve cammeo nel capitolo, sulla carta, finale della serie, Nightmare 6. Altra faccia nota è il padre poliziotto della protagonista Nancy, John Saxon, volto conosciuto dei western, ma anche cattivo dei poliziotteschi italiani tipo Italia a mano armata col compianto Maurizio Merli. Wes Craven originariamente pensò di creare per il film un finale più suggestivo: Nancy uccideva Krueger smettendo di credere in lui, ma poi risvegliandosi scopriva di stare vivendo in un incubo più complesso. Ma la New Line insistette per un altro finale dove la morte di Freddy Krueger non era data per certa aprendo quindi la strada per altri incubi. Craven era assolutamente contrario, per lui il film doveva essere un unico capitolo, ma alla fine dovette cedere, grazie a Dio, aggiungiamo noi, perché questo fu l’inizio di una leggenda che durerà ben altri 8 incubi tra remake, seguiti e spin off, senza contare fumetti e due stagioni di una serie tv.

I seguiti

Il Krueger dei seguiti è ben diverso dal Krueger originale. A poco a poco la serie, sempre di più apprezzata dal pubblico di ragazzini, si attesta sull’horror umoristico con una metamorfosi del pedofilo serial killer onirico in un clown nero e diabolico dalla battuta pronta. Se il Krueger originale parla davvero poco e uccide selvaggiamente, man mano che la serie prosegue gli omicidi si faranno più spettacolari, assurdi e così surreali da non fare neppure paura commentati dalla volgare e cinica ironia del mostro di Elm Street. L’inizio di questa tendenza si ha col capitolo più odiato da tutti i fan della serie, quel Nigtmare 2 la rivincita (1985) che anarchicamente se ne fregherà della mitologia craveriana e dei suoi personaggi per creare una storia orientata verso il filone delle case maledette che da Amityville in avanti stavano vivendo un momento di nuova vitalità. Artefice dell’opera il giovane Jack Sholder che ha all’attivo uno slasher atipico con Jack Palance, Soli nel buio, con tre pazzi mascherati al prezzo di uno, e girerà nel futuro un cult della fantascienza horror, L’alieno.

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Umori omosex si mischiano a scene di morte spettacolari: corpi squartati e usati come involucri per il passaggio di Freddy nel mondo onirico a quello reale con un’idea di carnalità sessuale quasi barkeriana. Eliminato il personaggio di Nancy entra in scena quello di Jesse, il tipico ragazzo della middle class che vive in villette a schiera da American beauty con la famigliola da spot mulino bianco, fa sport ed è felicemente fidanzato con una ragazza altrettanto fasulla e asessuata. Ma sotto questa patina il regista Sholder scava, come farebbe Fred con le sue unghie, fino a trovare il marcio: un padre padrone che sottomette la moglie succube, un desiderio di massacrare tutti i cari come in Amytiville possession di Damiani, solo a colpi di artigli al posto del fucile, il desiderio represso dell’amore per un amico nascosto da una facciata di infatuazione idilliaca per una donna.

9aa54f5deccc79dae196f389f7d11b9f.png Ecco che i semi per l’arrivo – ritorno di Freddy Krueger ci sono tutti. La casa di Elm street acquista una dimensione regia in questo capitolo, quasi fosse una componente fondamentale per la resurrezione di Freddy: sotto, nella cantina, si ha la fornace dove si ipotizza che Freddy costruì i suoi guanti e dove abitò prima di Nancy, ma non solo, la casa diventa quasi un’appendice dell’inferno dove Kruger acquista una dimensione quasi luciferina (idea rinforzata dalla presenza biblica di un serpente in un sogno fatto da Jesse in classe).

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E’ l’incubo che non ha bisogno più del sonno per prendere forma: un pacifico uccellino diventa un impazzito predatore per esplodere, i dischi si sciolgono quasi come in quadro di Dalì, il desiderio di essere maschio stride attraverso la penetrazione della carne da parte di Krueger, le urla femminee, i balli cripto gay con mossettine, il disgusto del sesso femminile e la ricerca di un corpo maschile per i propri desideri sessuali sfociano in una strage che grida soltanto desiderio di essere accettati. Nightmare 2: la rivincita è un potente horror, svolta originale nel concept di Craven, così decisivo da essere odiato dal suo creatore che cercherà dal terzo capitolo di riappropriarsi della saga, ma anche un capitolo dai sottotesti così complessi e profondi, mai banale, da esigere una rivalutazione meno superficiale da parte di una critica troppo frettolosa a liquidare un sequel e da un pubblico cieco verso le novità.

hothorrorrusler.jpgNightmare 2 di Sholder è anche il debutto di Freddy Krueger come superstar che, in una scena entrata nella leggenda, sciorinerà il suo amore per il pubblico di fan, “Siete tutti figli miei”, frase che potrebbe pure essere interpretata con l’idea di un male latente nel passaggio tra fanciullezza e maturità. L’idea del pullman guidato da Freddy era un’idea scartata da Craven nel finale del primo capitolo sostituita dall’auto con il tettuccio a mò di maglione kruegeriano. Sembra che sul set (ma alcune voci vogliono il fatto spostato nel capitolo successivo) fu rubato il famoso guanto icona di Freddy e questo giustificherebbe l’assenza dell’arma in molte scene della pellicola.

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Il film, come il precedente, è un successone e passano solo due anni per il terzo capitolo scritto (tra gli altri) questa volta da Wes Craven, Nightmare 3: i guerrieri del sogno (1987). Torna ancora Nancy Thompson, la protagonista del primo capitolo e ci si dimentica del finale negativo che chiudeva quella pellicola: la ragazza ora è cresciuta, fa la psicologa e si interessa ad un gruppo di ragazzi che apparentemente si stanno suicidando in un centro di cura mentale per adolescenti. In realtà neanche a dirlo è Freddy Krueger che li sta uccidendo ad uno ad uno nei sogni. In questo nuovo capitolo, rispetto al precedente, più che la storia contano gli effetti speciale e Freddy diventa a tutto tondo il pagliaccio scuro amato dai fan.

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Si racconta che fu un’idea di Englund di improvvisare la frase leggenda “Welcome to prime time, bitch” al posto di una più inefficace “Ora sei dentro la tv”. Lo script originale calcava molto più la mano sul tema dei suicidi abbassando l’età dei giovani protagonisti, e alla base di questa sceneggiatura iniziale fu scritta la trasposizione letteraria The Nightmares on Elm Street Parts 1,2, 3: The Continuing Story di Jeffrey Cooper con un finale diverso quindi, personaggi che muoiono a differenza della versione filmata, e un’idea aderente molto di più al concept iniziale di Craven. A farla da padrone sono soprattutto, come già detto, gli effetti speciali e le grandiose scene di morte: oltre alla ragazza con la testa infilata a forza da una Krueger tv è bene ricordare il ragazzo marionetta con le vene al posto dei fili, la morte di una ex tossicodipendente con un overdose di eroina iniettata dal guanto del killer con siringhe al posto di lame, un combattimento omaggio agli argonauti di Harriausen con tanto di scheletro animato a passo uno e naturalmente il nuovo dissacrante umorismo kruegeriano a commento di tutto.

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Il film risulta divertente, ma anche molto prevedibile, ancorato banalmente alla formula del primo capitolo che sarà plagiata da tutti i capitoli successivi fino al sei. E’ però un Nightmare importante per la sua componente introspettiva nel passato di Krueger, figlio di una suora stuprata da una un centinaio di folli maniaci (tra cui lo stesso Englund senza maschera), storia fondamentale per il capitolo più minimale spettacolarmente, il numero 5 dove l’assassino ustionato ha desiderio di paternità.

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Nel cast spiccano almeno tre volti noti: la futura star Patricia Arquette (Una vita al massimo), Craig Watson fresco fresco di Omicidio a luci rosse di Brian De Palma e il grande Lawrence Fishburne ancora lontano sia da CSI che da Matrix. Meglio va con Nightmare 4: il non risveglio (1988) del finlandese Renny Harlin: stessa formula del tre, ma ritmo più veloce, puro divertissement pieno di grandiosi effetti speciali, ma con la consapevolezza di essere un giocattolone senza pretese di nessun tipo. Lo scettro di protagonista passa dalla Kristen di Patricia Arquette (qui sostituita dalla poco efficace cantante Tuesday Knight) alla carrolliniana Alice della bellissima Lisa Wilcox.

1088021974Morti spettacolari e alcune finezze di sceneggiatura (firmata dal geniaccio di Hollywood Brian Hegeland) come l’idea di un tempo onirico in loop. A firmare gli effetti speciali il leggendario Screaming Mad George, che trovò con Brian Yuzna il suo massimo apice di espressione artistica (Society), e che qui si scatena soprattutto in una delirante metamorfosi kafkiana di un’adolescente in uno scarafaggio gigante. Alice più della Nancy del prototipo diventa l’eroina per antonomasia della serie: non più vittima, ma protagonista capace di tenere testa a Krueger, portatrice e custode dei sogni altrui, quando Freddy invece li uccide, incarnazione perfetta di un sesso femminile forte che nella Hollywood degli anni 80 aveva visto il suo massimo apice con la Sigourney Weaver di Aliens scontro finale. Bella oltretutto la metaforfosi di Alice da nerd a guerriera del sogno man mano che qualche caro muore.

Nightmare5.jpgCon Nightmare 5: il mito (1989) la serie comincia a decadere. Alla regia il talentaccio australiano Stephen Hopkins, mal sfruttato da una sceneggiatura debole e stanca che ripropone in maniera patetica il personaggio della madre di Krueger, Amanda, e offre le morti meno originali della serie. Se il motociclista cyborg fa un certo effetto (ma la scena attenzione è stata tagliata in fase finale) lo stesso non si può dire delle altre trovate che quando non scopiazzano dai capitoli precedenti si inventano idee patetiche (Super Freddy).

In più una fotografia scura tendente al blu ed effetti specali più poveri del solito non aiutano neanche l’ottima perfomance della brava Lisa Wilcox per la seconda volta nei panni di Alice, qui da semplice antagonista di Krueger a madre di un bambino ambito dal mostro. Interessante, ma anche qui non molto sviluppata, l’idea che un feto possa sognare. Englund è sempre più senza controllo e le sue battute sono un continuo Puttana di quà puttana di là a mò di Figaro del Barbiere di Siviglia.

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Peggio si va con Nightmare 6: la fine (1991) della produttrice Rachel Talalay, purtroppo pessima autrice dietro la macchina da presa qui come in altre occasioni (Killer machine). Nello script originale del film il protagonista doveva essere il quindicenne Jacob Johnson, figlio della Alice dei due film precedenti. Peter Jackson scrisse (con l’idea di poterla girare) una sceneggiatura alternativa di Nightmare 6, che venne scartata, dal titolo di A Nightmare on Elm Street: The Dream Love. Freddy era diventato così debole nel mondo dei sogni che gli adolescenti si vendicavano di lui entrando nel suo universo e torturandolo. Da questo incipit poi partiva la rivincita di Freddy e il viaggio onirico di un ragazzo per salvare il padre dalle grinfie del mostro di Elm Street.

Purtroppo la sceneggiatura ufficiale accettata dalla Dimension sarà peggiore delle due scartate con in più il rimpianto di cosa avrebbe potuto creare a livello visivo un talentaccio come Peter Jackson. Il livello di stupidaggine in Nightmare 6 è sopra il livello di guardia (Krueger sulla scopa a citare il classico Mago di Oz di Victor Fleming), il pubblico al quale si rivolge è quello under 14 anni con tanto di morti cartoon, scene alla game boy e tanto basso umorismo demente. Il film è impreziosito dal finale girato in 3d dove si cerca di mettere fine alla saga di Krueger con un escomotage abbastanza puerile. A interpretare il padre del giovane Fred la star dell’heavy metal Alice Cooper, ma non basta per salvare una saga giustamente arrivata alla fine.

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Ma mai dire mai ed ecco che nel 1994 Wes Craven gira il più grande insuccesso commerciale della storia della serie, Nightmare nuovo incubo, ma per assurdo anche uno dei capitoli più interessanti e complessi. Si ha proprio qui la genesi del metacinema che sarà alla base del successo dei 4 Scream sempre di Craven, finzione e realtà si mischiano, gli attori interpretano loro stessi, Krueger esiste nella maschera engluniana come nell’inedita versione realista. Il creatore della serie si riappropria della sua creatura, la incupisce, gli regala una nuova mitologia, si autocita ripercorrendo le morti del primo Nightmare arricchendole però di un inaspettato realismo surrealista (vedere la morte della babysitter con stavolta Krueger presente e non più presenza invisibile come con Tina). Si citano le fiabe (Hansel e Gretel e il forno della strega) e lo stesso film diviene a sua volta una fiaba da raccontare a un bambino per stavolta esorcizzare gli incubi. Nightmare diventa l’ossessione che lega i protagonisti, l’ironica idea craveniana che Krueger ha bisogno di un seguito per sopravvivere, proprio il regista che era contrario ad un seguito fin dal primo capitolo. In questo caso, a differenza dei capitoli precedenti, non sono gli effetti speciali, ma proprio la storia a farla da padrone in una sorta di biografia fittizia dei vari interpreti e creatori di Nightmare dal profondo della notte, con legami sentimentali inesistenti nella realtà, ma possibili nell’idea di un cinema che mima la realtà, ma non è la realtà. Con questo capitolo, non capito, non amato, troppo complesso per il pubblico teen che seguiva Freddy Krueger che la saga definitivamente si spegne, ma non il personaggio di Freddy che vede in improbabili scontri e in nuovi remake una nuova linfa vitale. Difficile uccidere lo zio Fred, vero?

Lo spin off

L’idea di un film che unisse le icone dell’horror moderno (Jason Vorhees di Venerdì 13, Michael Myers di Halloween, Pinhead di Hellraiser, Letherface di Non aprite quella porta e, appunto, il Freddy Krueger di Nightmare) era nell’aria da molto tempo, ma le varie case non trovarono mai un accordo sullo sfruttamento dei vari personaggi, preoccupate su chi tra queste creature sarebbe stata l’effettiva star. Vogliamo stendere un velo pietoso su cosa l’industria in tempi moderni ha creato con la stessa idea in chiave parodistica con l’invedibile Horror movie, villipendio al buon gusto e all’intelligenza dei fan del cinema di paura.

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L’idea che sembrò più fattibile fu appunto un Freddy vs Jason soprattutto dopo che i diritti del mostro con la maschera da hockey passarono alla New Line visto l’insuccesso di Jason a Manhattan. Si preparò il crossover con il finale di Jason all’inferno dove l’artiglio di Kruger prende la maschera del gigante di Cristal lake e a commento la famosa musichetta di Nightmare con la diabolica risata di Freddy. Si vagliarono diverse sceneggiature e le più accreditate furono soprattutto 2: The millenium massacre, in cui Freddy si scopre era uno dei sorveglianti di Jason quando affogò, e Fred teste dove una setta vuole sacrificare una bambina a Krueger, ma la sorella maggiore mette il cuore del suo fidanzato morto nel corpo di Jason per impedire questo. Alla fine la sceneggiatura finale utilizzò i migliori momenti delle due, ma trattò un’altra storia. Alla regia troviamo il regista di Hong Kong Ronny Yu da poco migrato con successo in America con La sposa di Chucky, meraviglioso capitolo della saga della Bambola assassina creata da Tom Holland (Ammazzavampiri).

d78d0175b9c730b00ecbe685739dd70c9e462828_hq Anche Freddy vs Jason sarà un successo, ma il film alla fin fine è poca cosa, divertimento nerd per fan. Il make up di Englund è stranamente simile a quello di Nightmare il nuovo incubo, più dribblato verso un Krueger surrealista e dai tratti luciferini. Purtroppo non aiuta l’eccessiva dose di umorismo becero che pensavamo di avere abbandonato dopo i mediocri ultimi capitoli della serie e alla fin fine la storia non ha una trama abbastanza forte da giustificare l’incontro tra queste due superstar del cinema horror. A interpretare Jason viene preferito Ken Kirtzinger al posto del solito Ken Hodden (stunt man icona di Jason) sembra per una maggiore altezza del primo sul secondo, ma nella scena finale, per complicare il tutto, i panni del gigante di Venerdì 13 vengono indossati da Douglas Tait. Nel cast fa la parte della protagonista la Monica Keena del serial Dawson creek e in ruoli secondari possiamo riconoscere la star della serie Ginger snaps, Katharine Isabelle, qui ridotta al ruolo di carne da macello per Freddy e Jason. Fra le tante scene oniriche da ricordare il risveglio dei suicidi in coma e l’arrivo di un Krueger in versione Bruco di Alice nel paese delle meraviglie. Di questo film esiste una trasposizione lettararia a firma di Stephen Mano che firmò pure la novelization di The texas chainsaw massacre di Nispel. Dal romanzo al film le differenze sono poche e si riassumono nel personaggio di Will che eccitandosi si trasforma in Freddy Krueger.

Il remake – reboot

Prima che la Platinum Dunes di Michael Bay (Non aprite quella porta e Venerdì 13 di Nispel tra i molti reboot di classici della paura) si interessasse a Freddy Krueger, i produttori Toby Emmerich, Bob Shaye e Richard Brenner per la New Line avevano in mente da diverso tempo un progetto per un nuovo A Nightmare on Elm Street. Dopo gli scarsi risultati dell’ultimo capitolo i vertici arrivarono alla conclusione che si sarebbe dovuta reinventare la serie in un’altra ottica totalmente diversa. Nacque l’idea di un prequel dal titolo Nightmare: The First Kills, con John McNaughton alla regia, un film sullo stile di Henry pioggia di sangue, più maturo, vero e sanguinoso di ogni altro Nightmare mai concepito.

A-Nightmare-On-Elm-Street-9-2010.jpgLo stile documentaristico sarebbe stata la chiave giusta per narrare le vicende di Freddy Krueger, dai primi omicidi sino alla sua morte. Robert Englund, informato del progetto, si mostrò interessato a interpretare un Freddy Krueger anomalo senza nessun make up. Alla fine però questo progetto fu cassato a favore del più ricco e accomodante reboot della Platinum Dunes. Inutile dire che il remake è forse uno dei punti più bassi raggiunti dalla saga di Nightmare, più di tanti brutti capitoli, perchè tradisce in pieno il concept originale di Craven pur ripercorrendolo a volte pedissequamente. Prima di tutto a non convincere è il make up del nuovo Krueger: verosimile quanto si vuole, ispirato a veri ustionati, ma indigeribile per chi è cresciuto a pane e Robert Englund. Con questo non si vuole dire che non può esistere un Nightmare senza Englund, lo stesso si pensava con Bond senza Sean Connery, ma è indiscutibile che almeno la maschera indossata dal bravo Jackie Earle Haley (Watchmen) potesse essere un po’ più aderente al prototipo.

a-nightmare-on-elm-street-movie-image-14.jpgQuesto Kruger senza naso è francamente imbarazzante a livello visivo e, pur se simile come comportamento all’originale villain craveniano, non riesce mai ad avere il carisma che caratterizzava il Krueger fin dagli esordi. Bisogna poi dire che di fondo manca una dose di coraggio e c’è la fastidiosa tendenza di lanciare il sasso e nascondere la mano come nell’indecisione di descrivere un Freddy ingiustamente lapidato da una folla di genitori giustieri. Alla fine il male deve sempre essere pedantemente male così da rendere i nostri sogni più leggeri. A livello visivo il film è poca cosa: i momenti onirici, vera attrazione della serie, sono prevedibili, e il passaggio dell’esordiente Samuel Bayer dal mondo dei videoclip a quello del cinema è imbarazzante. Inconcepibile la mancanza di Robert Englund: neppure in un piccolissimo cammeo. In qualsiasi caso questo reboot ha incassato moltissimo, ma forse per le critiche scarse si è preferito, come già con Venerdì 13 remake, far morire qui la saga. Peccato

I fumetti

Freddy ebbe una vita alternativa anche nel mondo dei fumetti con diverse serie nate e defunte nel giro di pochi numeri, interessanti molte volte più a livello di soggetto che di effettiva resa finale. La prima a portare Krueger nei comics fu la casa delle meraviglie, la Marvel, che fece uscire a fine anni 80 due numeri in bianco e nero che raccontavano una storia inedita rispetto a quelle trasposte sul grande schermo. Dreamstalker scritto da Steve Gerber e disegnato da Rich Buckler si prendeva delle libertà rispetto ai 4 film usciti sul grande schermo, tanto da stridere con la mitologia kruegeriana in diversi punti, ma qualitativamente non era peggiore di tanti capitoli passati e futuri della serie.

noes-issue-1aIl fumetto fu un successo senza precedenti, uno dei più venduti tra le pubblicazioni in bianco e nero di questa casa, ma venne comunque interrotto. Sembra infatti che i dirigenti della Marvel, famosa per i suoi supereroi da Spiderman a Hulk, avessero paura che un fumetto dai contenuti così maturi potesse allontanare una fetta di affezionati lettori dalle loro pubblicazioni. Altre due storie scritte da Peter David avrebbero dovuto vedere la luce, ma l’interruzione della serie relegò al limbo delle idee mai pubblicate queste nuove avventure kruegeriane. Bisogna aspettare quindi il 1991 quando L’Innovation Publishing fa uscire ben tre serie di A Nightmare on Elm Street, tutte scritte da Andy Mangels e questa volta a colori. La prima serie vedeva come protagonisti molti personaggi conosciuti dai fan di Freddy, tra cui Nancy Thompson, Kristen e Alice con un arco temporale che spaziava un po’ in tutti i film di Nightmare, coprendo pure il buco narrativo tra il capitolo 5 e il 6. La seconda serie, La morte di Freddy, era un mero adattamento del film omonimo con tanto di ultima parte da leggere con gli occhialini in 3d.

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L’ultima serie, una delle più interessati, era invece un vero e proprio seguito a fumetti del sesto capitolo. Purtroppo il fallimento della casa nel 1992 ha interrotto la storia che non ha mai visto la fine, ma il suo autore Mangels ha recentemente pubblicato sul suo sito web la sceneggiatura dell’ultimo episodio inedito. Tra ristampe varie bisogna aspettare il 2005 perché Freddy infesti ancora le edicole con una miniserie di tre numeri editata dalla Avatar press, storie non molto interessanti e realizzate senza nessun nerbo. Meglio va nel 2006 quando la WildStorm Productions , una succursale della DC Comics, acquista A Nightmare on Elm Street, lancia una nuova serie regolare scritta da Chuck Dixon e disegnata da Kevin J. West, Bob Almond e Joel Gomez. La prima storia, Freddy’s War, è incentrata su un’adolescente di nome Jade, che trasferendosi a Sprinwood entra in contatto con Freddy. Aiutata dal padre, un ex ranger dell’esercito, e da una ragazza in coma, Jade inizia a fronteggiare Krueger. Altra storia interessante e dallo sviluppo non banale è Demon of Sleep, che racconta la vicenda di un gruppo di emarginati che, per non essere uccisi da Krueger, evocano un demone azteco del sonno che possa aiutarli. La serie comunque si interrompe perché la Wildstorm decide di creare dei volumi autoconclusivi incentrati sulle icone horror, oltre a Freddy pure Jason e Letherface.

2307629-anoes_04_coolidge__001 La storia su Krueger fu scritta da Christos Gage e Peter Milligan dal titolo Copycat, dove appunto un emulo del mostro di Elm Stret uccide adolescenti a Springwood. E’ questa l’ultima apparizione in solitario di Freddy che dovrà dividere la scena con altri nei due seguiti a fumetti di Freddy vs Jason ovvero Freddy vs. Jason vs. Ash e Freddy vs. Jason vs. Ash: The Nightmare Warriors, scritta da James Kuhoric e illustrate da Jason Craig, dove ai due mostri si aggiunge la presenza del protagonista caciarone della serie Evil dead di Sam Raimi. E’ questa forse la più riuscita tra tutte le trasposizioni a fumetti di Krueger, quella più fresca e sicuramente più divertente. Certo è che ognuna di queste pubblicazioni merita, anche a discapito della scarsa riuscita artistica, un recupero per leggere versioni alternative o nuovi sviluppi della serie Nightmare che abbiamo amato e che amiamo ancora.

Altri media

Nel 1988 sbarca, sfruttando l’eco del personaggio, in tv un telefilm tutto incentrato su Krueger, Freddy’s Nightmare. Composta da appena due stagioni la serie, noiosetta e estremamente frenata nei temi, vede Freddy Krueger come narratore di storie sul filone di Ai confini della realtà che solo in rarissimi casi (come per esempio i frammenti Sister’s keeper e Freddy’s Tricks And Treats) lo vedono protagonista.

freddys-nightmares-glossy-05.jpgL’episodio più interessante porta la firma di Tobe Hooper ed è il pilot, No more Mr. Nice Guy, che racconta la genesi di Krueger come assassino di Elm Street con il suo linciaggio e il relativo ritorno per vedicarsi di un poliziotto che non ha fermato la folla. Per il resto la serie, a livello narrativo e visivo, si affossa nella mediocrità più assoluta senza dire nulla di nuovo o di interessante nella mitologia del mostro daglia artigli affilati. In Italia la serie oltre che su piccoli canali privati è uscita all’epoca in qualche vhs che spacciava il collage di episodi come nuovi Nightmare in attesa del quinto episodio di lì a venire.

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Il mondo dei videogame non ha ospitato molte volte il personaggio di Krueger. Si può ricordare Nightmare on elm street (per comodore 64 e Nes) nel quale dobbiamo aiutare un gruppo di ragazzi (gli stessi di Nightmare 3) a ritrovare le ossa di Krueger per poi fronteggiarlo alla fine. Videogame tipico degli anni 80 non peccava neanche all’epoca per grafica e pathos.

maxresdefaultA ridosso dell’ultimo remake-reboot fu realizzato un gioco in rete nel quale l’utente deveva riuscire a tenere sveglia la ragazza protagonista con ogni mezzo (dal bere caffè, farsi docce, arrivando anche all’autolesionismo e altro) per proteggerla da Krueger. Poca cosa. Molto più divertente, ma folle, è stata l’idea della saga di Mortal kombact di inserire Krueger come personaggio giocabile nel 2011.

Noi, i sognatori, ti aspettiamo sempre, Freddy.

 

Andrea K. Lanza

Dreamaniac (Sogno maniacale)

29 lunedì Lug 2013

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charles band, cinema, decoteau, dreamaniac, empire, lilith, recensione, recensioni, skorpion, sogno maniacale, vhs, wizard

Troppo gore per uscire al cinema

(Frase sulla locandina della vhs americana)

Adam è un rocker heavy-metal e un satanico nel tempo libero. Quando nei suoi sogna invoca Lily, che gli promette di avere successo con tutte le donne che vuole, scopre tardivamente che si tratta di un demonio che per esaudire la sua richiesta si deve nutrire di uomini, anche dopo averci fatto sesso. Una festa organizzata dalla sorella si tramuterà in una sanguinolenta decimazione di corpi.

Per tutti il primo film di Decoteau è ufficilmente questo Dreamaniac (Sogno manicale), ma, quando il regista, all’epoca appena ventiquattrenne, lo girò, aveva già alle spalle parecchi hardcore, etero e gay, dei quali il primissimo, Vortice sessuale, arrivò anche nel nostro paese. Cosa spinse nel 1986 Charles Band però ad affidargli la regia di un horror, il primo di una serie di film Empire che doveva saltare la sala per buttarsi nell’home video, non è dato saperlo, forse la discreta fama di buon esecutore che David nostro si era fatto nel porno.

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Sembra che Decoteau, autore anche del soggetto sotto lo pseudonimo femminile di Helen Robinson, investì nel progetto di tasca sua ben 30 mila dollari e la promessa di finire il film in una settimana. Dal canto suo Band coprì le spese di post produzione, ridiede i soldi investiti al giovane regista e gli riconobbe persino un premio per l’ottima qualità del prodotto. C’è da dire che Dreamaniac è una delle cose migliori di Decoteau con Creepozoids, ma questo non significa sia un buon film ovviamente. Nei miei ricordi (e lo testimonia la recensione recentissima di Tragica notte al bowling) era un horror tra i più brutti visti, cosa che non rende giustizia ad un prodotto a suo modo efficace. Il regista cerca di creare un’opera più ricca di quello che è effettivamente è, con un uso massiccio di luci coloratissime, nebbie e rallenti, un retaggio dell’estetica videoclippara anni 80 che qui, nella povertà di un horror usa e getta, trova il giusto terreno per uno stile quasi elegante.

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Se poi gli attori sono tutti atroci, con la bella Ashlyn Gere dal futuro di pornostar, gli effetti speciali, pur nell’economia, sono ferocissimi rendendo l’opera un divertente bagno di sangue con tante decapitazioni, occhi trapassati manco che in Fulci ed un uso abbastanza originale di un trapano (riuscitissima la sequenza dove l’arnese trapassa una mano); sono cose così ben riuscite a livello splatter che ti fanno sorprendere che il budget e il tempo fossero tanto limitati. A tal proposito all’epoca lo stesso Decoteau si lamentò dell’eccessiva lentezza del reparto make up definito “il peggior nemico di un regista a basso costo”. Senza dubbio Dreamaniac non è un bel film, come accennavamo, anche perchè la sceneggiatura è inesistente e ci sono eccessive lungaggini: basti pensare alla sequenza iniziale dove in un esasperante rallenti il protagonista sogna un amplesso con una sconosciuta.

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Non esistono neanche personaggi ai quali affezionarsi, tanto sono anonimi e incolori, e la stessa trama è confusa e a tratti incomprensibile. Lo stesso rapporto tra il  protagonista e il succubus Lilith (nella Bibbia apocrifa la prima donna) non è ben chiaro: prima lui ne sembra spaventato, poi invece ne è affascinato talmente da compiere i delitti in prima persona. Voglio capire il patto col diavolo poi, ma di solito funziona tutto in base al do ut des, tu mi dai il successo e io l’anima, non io ti do’ l’anima e tu nulla, ma alla fine sembra succeda proprio questo visto che nostro eroe non ha avuto in tutto il film un solo beneficio dalla sua evocazione satanica. Mah, contento lui… Un accenno poi va al finale gratuito e stupidello con un colpo di scena però così urlato e improbabile da essere quasi geniale.

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Naturalmente Dreamaniac, come vuole ogni buon film di Decoteau, presenta un gran numero di omaccioni in mutande o culo all’aria con il solito climax omosessuale anche quando si presenta un gruppo di etero, capacità unica del regista e cifra diventata poetica negli anni. A questo proposito segnaliamo una sequenza sadomaso tra un ragazzone e la bella Lilith dove lui, in mutande bianche, si struscia ad un palo e fa così tante mossettine col sedere da sembrare così poco maschio. Dreamaniac fu lanciato come risposta low low budget al Freddy Kruger di Wes Craven con la locandina che urlava persino “Non tutti gli incubi accadono ad Elm street” ed ebbe anche un discreto successo di noleggi. Sembra che all’epoca fu tagliato di quasi 15 minuti e, con il fallimento dell’Empire, quelle sequenze siano andate perdute. In Italia uscì per la Skorpion e la qualità video, pur se pessima, è la migliore in circolazione, in tutto e per tutto uguale a quella americana della Wizard. In tempi recenti infatti è uscito in patria anche in dvd, ma con la stessa sciagurata cattiva resa della vhs: il negativo infatti si è perso per beghe legali. Per tutti quelli che non hanno potuto vederlo all’epoca e lo vogliono gustare in italiano segnaliamo la pagina facebook di Horror splatter zone dove troverete la link per vedere il film completo. Tanto di cappello a chi promuove il bel cinema perduto.

Andrea Lanza

Dreamaniac – Sogno Maniacale

Anno: 1986

Regia: David De Coteau

Interpreti: Thomas Bern, Kim McKamy, Sylvia Summers, Brent Black, Cynthia Crass, Lisa Emery, Brad Laughlin

Durata: 82 min.

VHS: SKORPION

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Nightmares incubi

05 martedì Feb 2013

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, N, nightmare, Recensioni di Andrea Lanza, Senza categoria, tette gratuite, thriller

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All’età di quattro anni, la piccola Helen, ha subito un pesante shock dopo aver visto la madre morire, in un incidente automobilistico, uccisa dai vetri rotti del parabrezza. Sono trascorsi vent’anni ed Helen, ormai cresciuta, ha intrapreso la carriera di attrice teatrale. Ma, pochi giorni prima della data prevista per la messa in scena dell’opera, una serie di brutali delitti inizia a turbare la quiete della compagnia teatrale. Un folle assassino, armato con una scheggia di vetro rotto, ha deciso di uccidere, uno ad uno, tutti i membri dello staff.

PDVD_005Nightmares incubi è un film australiano uscito da noi soltanto in vhs e mai più editato in epoca digitale. Si tratta di un filmetto senza dubbio, glorificato però da un reparto tecnico (regia ma soprattutto fotografia) eccezionale. Sia dato atto al regista John D. Lamond di avere nobilitato una trama banalotta con un certo estro visivo che rende il suo prodotto di un certo interesse. Il film pecca però di un’eccessiva mancanza di ritmo e una certa imbellità 15n7s5edi fondo nel riproporre per l’ennesima volta e senza grandi guizzi una storia che occhieggia malamente Hitchcock e il suo allievo Brian De Palma, soprattutto negli inarrivabili Psycho e Le due sorelle. Gli autori non faticano neanche tanto a celare l’identità dell’assassino, tanto questa è evidente fin dai primi minuti, non bastano quelle due false piste buttate malamente se non apportate da uno sviluppo solido. C’è un’idea, questa sì disonesta, di considerare il pubblico una massa di cretini, quindi agli autori non interessa altro che la pura estetica, i virtuosismi di macchina, lasciando naufragare il film nel nonsense narrativo, dove vari personaggi sono destinati ad azioni sceme, quasi fossero solo carne destinata al prevedibile macello. John D. Lammond comunque ce la mette tutta, e su questo piano l’opera è ottima, nel curare l’estetica violenta degi omicidi, baciati da luci violente, colori accesi e piogge feroci, un po’ come negli horror italiani di matrice argentiana. Peccato che, come già detto, non basta, ci sarebbe voluto lo sforzo di scrivere anche una vera sceneggiatura. Nightmares incubi non è splatter, anche se le occasioni non mancherebbero per mostrare il budello, ma offre un modus operandi del  suo assassino abbastanza atipico con taglienti schegge di vetro usate come arma (difficile stabilire chi fu ispirato e chi ispirò, se Nightmares e il contemporaneo Mirror di Ulli Lommel). La parte finale, anticipatrice del futuro Deliria, con il 511nkoteatro diventato mattatoio è il punto forte dell’opera: la telecamera impazzita a seguire le vittime, ma anche la gestione perfetta e non facile degli spazi sono segno di un’opera che grida vendetta per tanto è stata sprecata. Gli attori sono atroci è vero, così come il doppiaggio italiano, ma Lammond, che veniva dai film sexy (suo Felicity sexy adolescenza), riesce a farcelo dimenticare grazie agli abbondanti nudi delle sue interpreti, spesso e volentieri riprese in pose maliziose. Bisogna comunque riconoscere al cinema australiano di non essere secondo a nessuno (Interceptor era di poco prima) come spettacolarità nel confezionare i propri film. L’ozploitation (il cinema di genere australiano), con i suoi guizzi registici e i suoi molteplici temi, si conferma un universo filmico sconosciuto ai più, ma ricco di grandi sorprese, anche quando venivano prodotti film sbilanciati come Nightmares incubi.

Nota: Da non confondersi con il film ad episodi del 1983 dallo stesso titolo diretto da Joseph Sargent.

VOTO 2/5

Andrea Lanza

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Nightmares – Incubi

Titolo originale: Nightmares

Anno: 1980

Regia: John Lamond

Cast: Jenny Neumann, Gary Sweet, Nina Landis, Max Phipps, John Michael Howson, Edmund Pegge, Sue Jones, Maureen Edwards, Peter Tulloch

Durata: 80 min.

VHS: Eureka video

16h20cz

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