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Videogames: STREET FIGHTER: THE MOVIE (Arcade version – Home versions)

06 domenica Set 2015

Posted by andreaklanza in Recensioni di Daniele "Danji Hiiragi" Bernalda, videogame

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street fighter, van damme, video games tratti da film, videogames

Negli anni ’90 la grafica digitalizzata andava un casino e gli amanti dei ‘VS Fighting’ games, a riguardo, ne sanno qualcosa… Se nel contesto dei picchiaduro ad incontri questo genere grafico trova la sua più alta consacrazione – nonchè la sua forma più completa e pulita – nella prima trilogia classica di “Mortal Kombat” (Midway, 1992 – 1995), risulta alquanto impossibile dimenticare piccole atrocità del calibro di “Pit Fighter”(Atari Games, 1990), “Survival Arts” (Sammy, 1993), “Blood Warrior” (Kaneko, 1993), “Way of the Warrior” (Naughty Dog, 1994), “Tattoo Assassins” (Data East, 1994), “Kasumi Ninja” (Hand Made Software, 1994)… Produzioni talmente ridicole che viene normale chiedersi se programmatori e designers impegnati in tali progetti fossero nel pieno delle loro facoltà mentali oppure completamente strafatti, in vena di sprofondare nel ridicolo e con la voglia di farsi deridere dalla intera comunità dei videogiocatori. Ma è così, lo sappiamo: sotto un aspetto squisitamente videoludico, gli anni ’90 sono stati anni belli, pieni di colpi di scena e dai gusti estetici spesso discutibili: per l’appunto, in aggiunta alle ciofeche poc’anzi elencate, chi si sarebbe mai immaginato che venissero prodotti addirittura degli “Street Fighter” realizzati con grafica digitalizzata sullo stile dell’inarrivabile “Mortal Kombat”? Eresia!

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Ebbene, tutto ciò avvenne nell’anno 1995…

In seguito all’uscita del film cinematografico “Street Fighter – Sfida Finale”, che ovviamente noi tutti abbiamo amato visceralmente (se ancora non lo avete fatto, vi rimando alla lettura della mia recensione del film), vengono prodotti degli adattamenti dello stesso sotto forma di picchia picchia ad incontri, sia per il mercato arcade, sia per il mercato domestico, e che vantano l’utilizzo della grafica fotorealistica di cui parlavo prima. Signori, ecco a voi i giochi tratti del film, a sua volta tratto del gioco (ehm… va beh, ci siamo capiti): “Street Fighter: The Movie”.

Molti pensano erroneamente che le versioni casalinghe di “Street Fighter: The Movie”, realizzate per le neonate console a 32 bit Sega Saturn e Sony PlayStation, siano un porting della versione da sala. Beh, sbagliato. Le diversità esistenti sono infatti molte. Ma andiamo con ordine e vediamo di analizzare le differenze che intercorrono tra la versione arcade e la versione domestica del titolo, i loro pro (pochi) e i loro contro (ahimè, tanti).

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La versione arcade, sviluppata dalla software house americana Incredible Technologies e distribuita da Capcom, aveva poco a che spartire con quella casalinga per Saturn e PlayStation e, inoltre, differiva in vari modi dai precedenti episodi di “Street Fighter” usciti fino ad allora. Oltre a fregiarsi della grafica fotorealistica – con l’utilizzo di immagini digitalizzate degli attori protagonisti del film che ‘posano’ apposta per il videogame – propone un sistema di gioco che enfatizza la messa in atto di combo aeree dal particolare effetto ‘rimbalzante’… Il gameplay include poi “counter throw”, “throw escape”, “interrupt moves” (eseguibili dopo avere bloccato un attacco avversario) e le “comeback moves”, ovvero mosse speciali utilizzabili quando la barra dell’energia del lottatore è al livello “Danger”. Direttamente dal mitico “Super Street Fighter II Turbo” uscito l’anno prima, troviamo la barra delle ‘Super Combo’ (Super Combo Gauge), fondamentale per l’esecuzione, appunto, delle ‘Super Combo’. In aggiunta alla propria ‘Super Combo’ (alcuni personaggi ne possiedono almeno due), il lottatore può eseguire anche una “regeneration move” quando la propria ‘Super Combo Gauge’ è piena, in modo da poter ripristinare una porzione di energia vitale.

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Ok, siamo d’accordo, su carta questo parrebbe entusiasmante, peccato che in pratica tutto appaia molto grezzo e confuso. A peggiorare le cose ci si mette pure una realizzazione tecnica decisamente dozzinale: sotto l’aspetto grafico e sonoro “Street Fighter: The Movie” si presenta infatti alquanto scrauso. Benchè i fondali, ispirati agli ambienti visti nel film, mantengono una certa decenza generale, e benchè i lottatori appaiano tutto sommato grossi, abbastanza dettagliati e ben digitalizzati, il risultato finale dell’operazione grafica profuma davvero di ridicolo, con animazioni goffe e sequenze d’azione davvero risibili. Non che il comparto audio sia da meno! Musiche ed effetti sonori mediocri ci infastidiscono e ci urtano nel corso dei noiosi e difficili match di lotta.

Le battaglie, infatti, sono all’insegna di un gameplay rigido, legnoso, irritante, e il più delle volte ci ritroveremo, con nostro sommo stupore, a spaccare di sberle il nostro avversario semplicemente abbandonando qualsiasi tipo di strategia di lotta, limitandoci a schiacciare a vanvera i tasti della pulsantiera di comando. Sì, avete capito, non ci siamo affatto.

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Riguardo invece il bestiario dei fighters selezionabili, il roster propone una scelta tra quattordici dei principali personaggi/attori tratti dal film, con l’esclusione di Dee Jay, T. Hawk, Blanka e Dhalsim. Tra di loro si nota la presenza di Kenya Sawada (personaggio originale del film, la ‘spalla’ giapponese di Guile all’interno delle forze armate delle Nazioni Alleate), Blade (in pratica un soldato standard delle truppe di Bison) e Akuma, stranamente presente nel roster come regolare lottatore anche se nel film di lui non c’è neanche l’ombra. Alcuni dei personaggi ‘storici’ presenti nel gioco hanno nuove ed esclusive mosse speciali create apposta per l’occasione, in aggiunta alle mosse classiche già conosciute. Ma niente, anche sotto questo aspetto il risultato è comunque discutibile e maldestro!

Prima di passare oltre, chiudiamo in bellezza con la versione arcade accennando alle modalità di gioco proposte. Oltre alla normale modalità ‘Single player’ (consistente in una serie di quattordici frustranti match che terminano nella sfida finale contro Bison) e alla modalità ‘VS’ per due giocatori, il gioco include una segreta modalità ‘Tag Team’. In un ‘Tag Team’ match, il giocatore sceglie due lottatori e combatte contro gli alti team in sfide a round singolo, passando al secondo lottatore solo dopo che il primo è stato sconfitto…

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Et voilà, quello che c’era dire sulla versione arcade di “Street Fighter: The Movie” è stato detto. Diamo ora una occhiata a cosa ci propone la versione domestica del gioco. Questa, realizzata per i nuovi mostri a 32 bit Sega Saturn e Sony PlyStation e conosciuta in Giappone con il nome di “Street Fighter: Real Battle on Film”, viene sviluppata direttamente da Capcom (la quale si occupa anche della distribuzione su territorio giapponese) e distribuita in Europa e America da Acclaim. Il risultato di questa operazione è un titolo più vicino al feeling della serie classica, con evidenti diversità rispetto alla versione arcade… diversità che appaiono lampanti in fase di gameplay. Benchè anche questa versione (che risulta praticamente identica su entrambe le console) possa ‘vantarsi’ della grafica digitalizzata, il gioco si basa infatti sull’engine di “Super Street Fighter II Turbo”… e questa, anche se solo in apprenza, potrebbe addirittura apparire come una buona cosa.

In aggiunta alle normali mosse speciali e alle ‘Super Combo’, la versione domestica di “Street Fighter: The Movie” aggiunge le ‘Super Special Moves’, ovvero versioni potenziate delle normali mosse speciali. Le ‘Super Special’ richiedono che la ‘Super Combo Gauge’ sia almeno carica per metà e possono essere performate eseguendo lo stesso comando di una regolare mossa speciale, ma premendo due pulsanti di attacco anziché uno. Quando la ‘Super Combo Gauge’ è piena è possibile eseguire un numero illimitato di ‘Super Special’ fino a quando non verrà eseguita una ‘Super Combo’. Il roster di selezione propone lo stesso numero di personaggi della versione da bar (quattordici), ma con alcune significative differenze al suo interno: vengono reintegrati Dee Jay e Blanka (dio che pena… forse i personaggi più trash e orribili presenti nel gioco…), rimane Sawada (anche se con un set di mosse speciali diverso), viene omesso Blade e Akuma viene archiviato come personaggio segreto.

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Ben quattro sono le modalità di gioco proposte nella versione domestica: una modalità arcade chiamata ‘Street Battle’, dove possiamo indossare i panni di uno dei vari buzzurri digitalizzati e affrontare una serie di sfide contro i lottatori controllati dal computer fino ad arrivare allo scontro con i tre sub-boss Zangief, Dee Jay, Sagat e infine alla sfida contro il Generale Bison; il classico “Vs. Mode” per le battaglie tra due giocatori; il “Trial Mode”, in cui il giocatore lotta contro un avversario scelto dal computer al fine di ottenere un alto punteggio o un tempo record; infine la modalità più interessante chiamata ‘Movie Battle’, in pratica una modalità storia che segue la trama del film. Qui prendiamo il controllo di Gian-Claudio “Guile” Van Damme, impegnato nella missione di infiltraggio nel covo di Bison a Shadaloo City. Dopo ogni match è possibile scegliere tra differenti diramazioni di percorso, fino al raggiungimento del match finale contro il perfido dittatore.

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Sotto l’aspetto tecnico, la grafica offre sprites caratterizzati da una definizione inferiore rispetto alla versione arcade, con animazioni scialbe e senza spessore. Anche i backgrounds di gioco, sempre ispirati alle varie ambientazioni del film, restano di qualità basilare e trascurabile, caratterizzati da animazioni striminzite e fatte pure male. Per lo meno il sonoro è più fresco, piacevole e fedele allo stile degli episodi orginali. A riguardo, diversamente della versione arcade che utilizza le voci del cast del film, per le versioni domestiche viene reintegrato il doppiaggio giapponese e ora tutto quanto suona ‘quasi’ come dovrebbe. Benchè, come detto, venga usato come base il motore dell’eccleso “Super Street Fighter II Turbo”, e nonostante si possa percepire un certo miglioramento rispetto alla versione arcade, il tutto si staziona ancora nella mediocrità, con una giocabilità senza dubbio meno tecnica delle precedenti incarnazioni, minata da una realizzazione scadente. Onestamente, il risultato finale fa ridere… o piangere, in base alla personale sensibilità del videogiocatore. A conti fatti, questi episodi digitalizzati sono un insulto ad un franchise importante e di qualità come quello di “Street Fighter”: una pagina buia e oscura, una parentesi trash, un insulto agli immortali episodi in grafica bitmap.

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In conclusione: se titoli come “Mortal Kombat II” e “Mortal Kombat 3” appaiono tutt’ora impressionanti e godibilissimi, lo stesso non si può dire per queste incarnazioni digitalizzate di “Street Fighter”: titoli che già nel ’95 apparivano mediocri, vent’anni dopo non possono far altro che apparire ancora più stupidi e ridicoli.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

L’Occhio nel Triangolo

22 martedì Ott 2013

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cinema, il ritorno, ken wiederhorn, l'occhio nel triangolo, peter cushing, recensione, recensioni, shock waves, zombi

“Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale i tedeschi avviarono un’indagine segreta sui poteri soprannaturali. Antiche leggende narravano di una razza di guerrieri che combattevano senza armi né scudi e il cui potere soprannaturale proveniva dalla terra stessa. Mentre la Germania si preparava alla guerra, le SS arruolarono segretamente un gruppo si scienziati per creare un soldato invincibile. Si sa che corpi di soldati uccisi in battaglia furono mandati in un laboratorio segreto vicino a Coblenza dove li usarono per degli esperimenti scientifici. Si dice che verso la fine della guerra gli Alleati incontrarono dei plotoni tedeschi che combatterono senza armi uccidendo solo a mani nude. Nessuno sa chi erano o che fine hanno fatto. Ma una cosa è certa: di tutte le unità delle SS ce ne fu solo una di cui gli Alleati non catturarono mai un soldato.”

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E’ con questo potente incipit che si apre “Shock Waves”, zombie movie datato ’77 per la regia di Ken Weiderhorn (in seguito regista dello slasher “Gli occhi dello sconosciuto” e de “Il ritorno dei morti viventi 2”, remake comico de “Il ritorno dei morti viventi”).
Ora, è certo che il regime nazista fosse un regime occulto, esoterico ed oscuro, con tutte le sue teorie sulla razza superiore, gli esperimenti su cavie umane e le spedizioni pseudoscientifiche alla ricerca di leggendari miti nell’Asia centrale… e il fatto o meno che siano riusciti a creare dei super guerrieri rianimando soldati caduti in battaglia è una ipotesi suggestiva e neppure così irreale e fantasiosa come il pensiero comune potrebbe consigliare.

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Divagazioni a parte, se l’idea dello Zombi usato come soldato invincibile viene introdotto nel ’36 con “Revolt of Zombies” e l’idea dello Zombi anfibio con “Zombies of Mora Tau” del 1957, è con “Shock Waves” (in Italia “L’Occhio nel Triangolo”) che si assiste per la prima volta all’introduzione di redivivi Zombi Nazisti subacquei. Quindi il film parrebbe partire con pur buone premesse… peccato che, a dirla tutta, non brilla così tanto in maestosità. A tratti sottotono e noioso, con la combriccola di naufraghi protagonisti che stona enormemente al fianco di leggende come Carradine e Cushing, che pur hanno dei ruoli marginali.
La pellicola avrebbe davvero potuto raggiungere vette di eccellenza se alcuni elementi fossero stati studiati e gestiti diversamente.

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John Carradine, appunto. Se il suo ruolo fosse stato supportato maggiormente, se avesse avuto più spazio, se invece di farlo morire in maniera inetta a inizio film fosse stato lui la guida e il vero protagonista dell’allegra brigata, la pellicola avrebbe guadagnato in tono e spessore.
Invece Carradine appare quasi come un cameo e bello che cadavere a 23 minuti dall’inizio del film.
Se oltre agli Zombi Nazisti c’è qualcos’altro che salva l’opera dalla mediocrità e la eleva a pellicola di interesse, è l’implacabile interpretazione di Sir Peter Cushing.
Nell’ampio atrio della vecchia magione abbandonata sull’isola, sullo stridente suono di un vecchio grammofono appare lui, Cushing.
Mai così magro, mai così scheletrico, Cushing è “umano”… una volta Comandante del Plotone SS formato da esseri “non morti, non vivi, ma qualcosa di mezzo…” che ora lo reputano un traditore e lo vogliono uccidere.
Il suo volto scavato e sofferente di uomo esiliatosi volontariamente sprigiona una carica di profonda dignità e malinconia sofferenza.

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Davvero, se Carradine e Cushing fossero stati i protagonisti indiscussi, la pellicola sarebbe stata un vero capolavoro romantico.
Per carità, il film non è affatto da buttar via. Ha sicuramente anche il pregio di evocare atmosfere claustrofobiche in scenari aperti ed assolati, però… sì insomma, si poteva fare di più.
Ad ogni modo, emblematica e suggestiva la sequenza che vede i Nazi Zombi emergere dalle acque, sulle tese note della musica elettronica di Richard Einhorn.
La figura del soldato nazista è, nell’immaginario collettivo, una sorta di archetipo del male, di una violenta e perversa imposizione dell’autorità.
L’idea del nazismo sviluppa nell’inconscio l’idea di un male latente, sempre pronto ad esplodere con feroce violenza… e questa tirannica autorità scoppierà 30 anni dopo la fine della guerra, con l’antica nave tedesca “ritornante” dalle profondità marine con il suo tetro equipaggio di Zombie SS pronto a spargere sangue e fare esplodere, nuovamente, violenza e terrore.
Il vecchio e stanco Comandante Cushing non avrà potere sul redivivo plotone e solo la rimozione dei loro neri occhiali anfibi li porterà alla inevitabile fine per consunzione e sfinimento… o per letale esposizione ai raggi solari (aspetto questo non spiegato e poco chiaro).

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Con tutti i suoi pregi e difetti è tassello comunque importante nella sterminata produzione degli zombi-movie.
Caposaldo che genererà a sua volta un filone (si vedano gli imbarazzanti e dimenticabilissimi “Oasis of the Zombies” di Jesus Franco e “Zombie Lake” della coppia Franco/Rollin), “Shock Waves” poteva essere sì un cult, ma si ritrova ad essere un cult mancato.

Film reperibilissimo in Italia, inizialmente distribuito in VHS per Linear Film Video e successivamente riproposto in DVD sotto etichetta Alan Young Pictures prima e Quadrifoglio poi.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

L’Occhio nel Triangolo

Titolo originale: Shock Waves

Conosciuto anche con i titoli: Almost Human, Death Corps

Produzione: USA, 1977

Regia: Ken Weiderhorn

Cast: Peter Cushing, John Carradine, Jack Davidson, Brooke Adams, Luke Halpin, Fred Buch, D.J. Sidney, Don Stout

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De Sade 2000

20 giovedì Giu 2013

Posted by andreaklanza in D, drammatici, E, erotici, Recensioni di Daniele "Danji Hiiragi" Bernalda, starlette

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cinema, de sade, eugenie, jesus franco, paul muller, recensione, recensioni, soledad miranda

Si è portati ad un doveroso e religioso senso di rispetto nell’apprestarsi a parlare di Soledad Miranda, della sua figura, della sua enigmatica e tenebrosa sensualità, del suo seppure breve sodalizio artistico con Jesus Franco… di quello che è stata Solidad, e di quello che sarebbe potuta essere se, il 18 Agosto 1970, un tragico incidente sull’autostrada per Lisbona non l’avesse uccisa all’età di 27 anni.
E’ strano: il pensare che questa esile ragazza spagnola abbia lasciato questo mondo 43 anni fa mi riempie di una tristezza fin troppo malinconica e mi stringe il cuore. Ma per capire questo stato d’animo è forse necessario sondare il personaggio di Soledad Miranda nelle opere del regista spagnolo. Sì, perché di personaggio si parla. E il personaggio, con le ovvie variazioni di sfumature da un copione all’altro, è sempre quello: affascinante ed oscuro Angelo della Morte. Tale l’ha resa il sodalizio con Jesus Franco: figura ammaliante, sospesa tra Eros e Thanatos.

Eugenie de Sade (Jess Franco, 1970)

Probabilmente la sua vita aveva iniziato a spegnersi sul set de “Il Conte Dracula” (1969) dello stesso Franco (si guardi a proposito il suggestivo documentario in stile espressionista “Cuadecuc, Vampir” di Pere Portabella). E’ da questo momento che inizia il cambiamento. Franco, come un infernale Caronte, traghetta l’anima della fanciulla verso l’annichilimento, verso il morso letale del vampiro. Il bacio del Conte Dracula Christopher Lee è il segno dalla fatale rottura.
“Il Conte Dracula” (pellicola nella quale Soledad interpreta il ruolo di Lucy Westerna) segna lo spartiacque di quello che Soledad fu fino ad allora e quello che diventò. Come se il cinematografico bacio del vampiro l’avesse marchiata e maledetta. Per sempre, irrimediabilmente.
Il suo tragico destino pareva già essere visibile. Si poteva iniziare ad intravedere. Non poteva che morire, Soledad Miranda, morire giovane. Sembrava quasi una cosa logica, inevitabile. I suoi ultimi lavori lo preannunciavano, la sua stessa figura impressa sulla pellicola lo preannunciava. I ruoli mortali e disperati da lei interpretati sono stati il suo lasciapassare per l’aldilà…

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Qui, sulle pagine di MalastranaVHS, l’amico Andrea Lanza ha espresso il suo personale omaggio per la Soledad de “Il Conte Dracula”, per la Soledad di “Vampyros Lesbos” e per Soledad di “She Killed in Ecstasy”. Io voglio aggiungere un altro tassello e portarLe anche il mio omaggio, prendendo in esame “Eugenie”.

Dopo il suo “Conte Dracula”, Franco si butta nel cinema indipendente a basso costo e tra il 1969 e il 1970 scrive e dirige, prima per la Prodif Ets. di Vaduz e poi per la CCC Filmkunst/Telecine di Berlino, un totale di 6 pellicole di stampo thriller-horror con forti contaminazioni e sperimentazioni erotiche, aventi sempre Soledad Miranda nei crediti, ma presente con lo pseudonimo di Susann Korda (o Susan Korday) e quasi sempre nel ruolo di protagonista: “Sex Charade” (attualmente di difficilissima reperibilità), Les Cauchemars Naissent la Nuit (conosciuto anche con il titolo inglese di “Nightamare Comes at Night”) “Eugenie” (in Italia “De Sade 2000”), “Vampyros Lesbos”, “She Killed in Ecstasy” e “The Devil Came from Akasava” (quest’ultimo più che altro una commedia di spionaggio).

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Girato nell’Inverno ’69-‘70, e liberamente adattato da Franco dal racconto ‘Eugenie de Franval’ del Marchese de Sade, “Eugenie” è una confessione.

Stretta alla gola e senso di oppressione: le primissime immagini del film mostrano Eugenie (la stessa Miranda) sul letto di morte che racconta e confessa allo scrittore Attila Tunner (interpretato dallo stesso Franco) la sua tragica storia: figliastra dello scrittore Albert Radeck (qui interpretato da un perfetto e glaciale Paul Muller), intraprenderà col patrigno una perversa discesa nel baratro dell’incesto e dei delitti a sfondo sessuale. Solo l’incontro con il musicista Paul (Andrè Morales) tenderà ad allontanare Eugenie dalle perversioni iniziate col padre… ma questo suo “tradimento” nei confronti della figura paterna le costerà cara la vita.
La confessione è finita… “Mi uccida…”, chiede una ormai esamine Eugenie a Tunner, ma di ciò non ce ne sarà bisogno: la morte è ormai giunta silenziosa e Tunner-Franco non può fare altro che chiudere delicatamente le palpebre della ragazza.

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Un alito mortifero pervade l’intera pellicola: morbosità, cinismo e disperazione la fanno da padrone. E’ nella cornice di una gelida e plumbea Berlino che avviene il flashback dei ricordi di Eugenie ed è nella sua calda e accogliente casa borghese alla periferia della città che il suo intero essere verrà travolto dalle malsane passioni del patrigno. E’ la devozione nei confronti di questa figura, sfociata in venerazione, che travolgeranno Eugenie nella spirale di follia. Ma la fragilità è lì, latente e pronta ad uscire da questo piccolo e gracile corpo di donna…
Con la sua struggente interpretazione, è in questo film che Soledad tocca le vette più alte della sua seppur breve carriera: fragilità adolescenziale, timidezza, acerbe pulsioni sessuali e omicide, prepotente carica sensuale, magnetismo mortale, tutto si fonde in questa sua bruciante interpretazione.
Mai fu così bella e brava Solidad.
Neppure nel successivo “Vampyros Lesbos” Soledad apparirà così pallida, così erotica, così estraniata e così oscura. Non si può far altro che rimanere stregati dalla sua figura presente sullo schermo.

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Risulta inevitabile collegare il trittico Vita, Amore e Morte nel personaggio di Soledad Miranda/Susann Korda.
Ne “ Il Conte Dracula” è vittima del Vampiro per antonomasia, il cui bacio la renderà una regina della notte, ma il paletto di frassino incombe, le spaccherà il cuore.
In questo “Eugenie” è appunto una giovane donna che si affaccia ad una vita turbinante di peccato e perdizione. Assaggerà piaceri estremi e proibiti, ma l’ambiguità di  una morte violenta è lì ad attenderla, inevitabile.
In “Vampyros Lesbos” è l’affascinante Contessa Nadine, la vampira protagonista, (lesbica ovviamente) nelle cui delicate sembianze la silenziosa e magnetica aura erotica e la carnale passionalità si fondono con aspetti di profonda solitudine e caducità. La fine della Contessa Nadine arriverà inesorabile.
In “She Killed in Ecstasy” Soledad è come se morisse nel momento in cui muore il suo compagno. Agirà come freddo automa, fantasma mosso dall’unico scopo di vendicare la morte del suo uomo. Ma a vendetta compiuta cosa può rimanere se non la morte e l’autodistruzione? E così, nel film, Soledad morirà cadendo in un precipizio sulla sua autovettura, quasi come un segnale rivelatore e profetico di quello che le sarebbe successo la fatale mattina del 18 Agosto 1970.

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Dopo la morte di Miranda, il regista troverà nella giovane Lina Romay la sua nuova dea che lo accompagnerà nella carriera artistica e che diventerà anche la sua compagna di vita.

02/04/2013: Jesus Franco muore a Malaga all’età di 82 anni… chissà se, nel regno delle ombre, ha ora potuto ritrovare la sua prima, vera ed intramontabile musa.

Soledad non è mai invecchiata e mai invecchierà. E forse vivrà per sempre, giovane, eterea, misteriosa, indimenticabile, sul nastro di celluloide. Fino a quando il mondo esisterà, fino a quando la gente avrà memoria.

Immutata, Soledad ha vinto: ha sconfitto il Tempo distruggitore.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

De Sade 2000

Titolo originale: Eugenie De Sade

Conosciuto anche con i titoli: Eugenie De Franval, Eugenie Sex Happening

Produzione: Liechtenstein/ Francia, 1970

Regia: Jesus Franco

Cast: Soledad Miranda (Susann Korda), Paul Muller, Andres Monales, Greta Schmidt, Jess Franco, Alice Arno, Karl Heinz Mannchen

Reperibilità: DVD (edizioni Mosaico Media, tiratura limitata in 999 copie)

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L’orgia notturna dei vampiri

30 giovedì Mag 2013

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, fantasmi, Recensioni di Daniele "Danji Hiiragi" Bernalda, tette vintage, vampiri

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cinema, horror spagnoli, leon klimovsky, orgia notturna dei vampiri, recensione, recensioni, vampire sexy

Olè, l’horrorifero cinema spagnolo: Spagna e succhiasangue, binomio d’impatto.

Sin dall’infanzia son sempre stato un piccolo genio nell’uso del VCR e già a 14 anni puntare il timer per registrare i “bizzarri” film che trasmettevano di notte su RAI 3 all’interno di “Fuori Orario” era per me una vera e propria passione.

Ero principalmente interessato a produzioni nipponiche, ma una fatidica notte il contenitore di Enrico Ghezzi trasmise “Las Vampiras” di Jess Franco, ovviamente in lingua originale con i sottotitoli in italiano. Registrai e in seguito guardai.

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Risultato: rimasi completamente stravolto dalla visione. La morbosità, l’ermetismo, le sonorità, il fascino ambiguo e il colore di quella pellicola suscitarono in me l’interesse per un nuovo tipo di cinema. I miei 16 anni furono segnati da Soledad Miranda…

Ad ogni modo, oggettivamente, una delle maggiori fascinazioni del cinema vampirico spagnolo degli anni ’70 risiede nel fascino desolante, mistico, psichedelico, carnale delle sue produzioni… Se nel 1968 è stata “Malenka, la Sobrina del Vampiro” di Amando De Ossorio ad aprire le danze al vampirismo cinematografico iberico (senza contare giusto un paio di trascurabili incursioni nel genere tra il 1962 e il 1967) è con l’argentino Leon Klimvosky che l’horror spagnolo inaugura la sua epoca d’oro con l’importante “La Noche de Walpurgis” (in Italia ribattezzato con lo stupidissimo titolo“Le Messe Nere della Contessa Dracula”).

Quattro le incursioni di Klimvosky nel genere dei Vampire Movie nel corso dei ‘70: il già citato “La Noche de Walpurgis” del 1971, “La Saga de Los Dracula” del 1972, “El Extrano Amor de Los Vampiros” del 1977 e, il qui preso in esame, “La Orgia Nocturna de Los Vampiros” del 1973.

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Da un titolo del genere ci si aspetterebbe un opera proiettata nel più bieco e becero exploitation e sexploitation, in pratica però non è così. O meglio, le componenti erotiche e splatter ci sono, ma si riducono giusto alla visione di una casta scena di sesso, ad un paio di tette ogni tanto, a qualche amputazione di arti con accetta e alla decomposizione, con vermi annessi, di due cadaveri a inizio e a fine film.

“L’Orgia Notturna dei Vampiri” è più che altro una Ghost Story: una rustica ed artigianale ghost story a basso budget.

Siamo nell’Est Europa: un eterogeneo gruppo di individui, passeggeri di una corriera diretta a Bojoni, si troverà costretta a fare tappa nel più vicino e desolante villaggio di Tolnia, e questo a causa della morte per infarto del conducente della corriera stessa. Il borgo in questione, dall’aria ovviamente sinistra e spettrale, si rivelerà essere una comunità di cannibali villici vampiri, capeggiati dalla bellissima quanto misteriosa e conturbante Contessa (Helga Linè) …

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In paese arriverà (anzi, a dirla tutta era già arrivato) anche il buon Luis (Jack Taylor), anche lui ignaro trasfertista in quel di Tolnia, che per forza di cose si unirà al gruppo, facendo subito coppia fissa con la bionda Alma (Dyanik Zurakowska).

Nel corso della vicenda i nostri eroi diventeranno uno per uno sempre più cerei, smorti ed emaciati, ma il figo e la figa di turno (Luis e Alma, appunto) riusciranno a cavarsela e a fuggire da Tolnia in modo alquanto e decisamente mirabolante …

Se da una parte il film mostra grosse ingenuità recitative, imbarazzanti e grossolani crolli stilistici (esempio 1: il ‘maggiore’ del villaggio che beve solo un liquore “distillato qui a Tolnia”… che poi in pratica è sangue; esempio 2: il bel protagonista, Luis, che su di una sconcertante base musicale e con indosso un pigiama dal colore improbabile, spia da un buco nell’armadio la bella Alma mentre questa si prepara per la notte; esempio 3: le banali sequenze con i due bambini…), trova i suoi punti di maggior forza nella sua fondamentale squisitezza artigianale, nell’atmosfera ovattata e rarefatta che lo pervade e nella suggestiva e desolante location rurale del borgo.

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La colonna sonora ossessiva, che spazia dal progressive al jazz e che cozza bellamente con le linea diroccata e decadente del film, tutto sommato, ma proprio volendo, ci sta, e ricorda allo spettatore moderno che siamo ancora nei psichedelici primi anni ‘70.

Si percepiscono fragranze della Hammer d’annata, con retrogusto di atmosfere gotiche italiane, e l’incedere lento e in gruppo del popolino di Tolnia rimanda ai Living Dead di Romero e ai Templari Ciechi di De Ossorio.

Intrattenimento. E’ questo quello che deve e vuole fare questa pellicola e lo fa dignitosamente. Certo, il contesto socio-politico della Spagna franchista soggiogava con la censura le attività culturali e il cinema non era da meno: simili film esistevano in più versioni, versione spogliata e versione castigata, quest’ultima con le scene di nudo occultate il più possibile (per fortuna in Italia abbiamo a disposizione la versione audace).

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Ergo, a ben vedere, tali “scabrose” opere sono sì di intrattenimento ma anche, metaforicamente parlando, portatrici di un sottile filo di condanna alla perversità del potere (dittatura – vampirismo).

Piccolo e prezioso tassello dell’horror spagnolo, opera figlia dei suoi tempi, coi suoi pregi e i suoi difetti, ed è in quest’ottica che il film va visionato, analizzato e riscoperto.

Qui da noi l’opera è stata recentemente editata in DVD dalla Mosaico Media in edizione limitata in 999 copie.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

L’orgia notturna dei vampiri
 

Titolo originale: La Orgia Nocturna de Los Vampiros

Conosciuto anche con i titoli: Los Espectors de Tolnia, The Vampires Night Orgy, Orgy of the Vampires

Produzione: Spagna, 1973

Regia: Leon Klimovsky

Cast: Jack Taylor, Dyanik Zurakowska, Josè Guardiola, Charo Soriano, Helga Linè, Manuel De Blas, David Aller, Luis Ciges, Gaspar Gonzales, Antonio Paramo, Fernando Bilbao, Alfonso de La Vega, Fernando Gobal, Maria Vidal

Durata: 88 min.

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Il buio si avvicina

14 martedì Mag 2013

Posted by andreaklanza in azione, B, capolavori, Recensioni di Daniele "Danji Hiiragi" Bernalda, vampiri

≈ 5 commenti

Tag

carpenter, cast di aliens in un horror, film cult, horror, il buio si avvicina, james cameron, kathrine bigelow, near dark, recensione, recensioni, vampires, vampiri

Gran bel genere quello dei vampire movies. Nel corso del XX° secolo il vampiro su celluloide si è fatto portatore di un ben preciso stato d’animo di carattere storico-sociale. In una lettura in chiave metaforica ha rappresentato il nemico, il diverso, la nemesi… è stato deriso, ridicolizzato, ridotto a simpatica macchietta e così via. Ma, nonostante tutto, il vampiro porta alla mente la piaga, il contagio, la paura della morte e, per l’altra faccia della medaglia, l’erotismo e l’atavico impulso sessuale.
Stendendo un velo pietoso sulla degenerazione letteraria-cinematografica accaduta al vampiro in questa epoca moderna (giusto con qualche rarissima eccezione… vedesi per esempio il francese Trouble Every Day del 2001 e lo svedese Lat den ratte komma in del 2008), proiettiamoci negli anni’80, in particolar modo nella seconda metà degli anni ’80 (1987 per essere precisi)… un limbo temporale “altro”, diverso, quasi sospeso. Uno spazio d’ombra, creatore di opere in bilico, dalla bellezza e dal fascino ammaliante e nostalgico.

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Ed è qui che sita questo Near Dark preso in esame.

Commercialmente “oscurato” dal più famoso The Lost Boys (in Italia Ragazzi Perduti), Near Dark (in Italia Il Buio si Avvicina) si ritaglia un posto intellettualmente di nicchia nella sterminata filmografia vampirica.
Stranamente sconosciuta ai più, questa pellicola figlia della notte riappare luminosa e accecante nella fase di recupero e visione.
Volendolo etichettare lo si potrebbe definire un horrorifico melodramma western on-the-road…
Dicevo, un film “accecante” questo Near Dark, caldo e torrido, che inizia a ritagliarsi la pace mortale che propria deve essergli quando il buio si avvicina… ed è da questo momento che la vita, anzi, la non-vita dei vampiri ha senso di iniziare ed esistere.

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In un tutt’altro che gotico Oklahoma inizia la discesa negli Inferi del giovane Caleb Colton (Adrian Pasdar): l’incontro con la pallida Mae (Jenny Wright), sconvolgerà la vita del nostro intrepido Cow-Boy, catapultandolo nella Notte, dimensione appartenente al gruppo di vampiri erranti protagonisti dell’opera.
Il morso di Mae rende Caleb un quasi non-morto, allergico alla luce del sole e desideroso della notte, di sangue e di amore.
La Notte: dimensione spazio-temporale necessaria per portare avanti la sua nuova situazione di semi-vivo ma ancora di non-morto. Gli abitanti di questa notte sono un gruppo di vampiri reietti, disperati, predatori costretti loro malgrado all’ombra, al buio… il sole è a loro precluso, pena il catartico incenerimento. Principi e principesse, bastardi e puttane di una notte infinita.
Katheryn Bigelow, qui al suo secondo lungometraggio, filma ambientazioni di un America affascinante, desertica e cocente. L’opera si ritaglia scene di notevole e suggestivo interesse visivo (si veda per esempio la scena del banchetto di sangue nel bar e la sparatoria nel motel); alcune pecche della sceneggiatura possono essere tranquillamente perdonate di fronte all’attenta fotografia, alla pur buonissima rappresentazione dei personaggi e alla catalizzante ed ipnotica colonna sonora dei Tangerine Dream.

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Riguardo il cast di attori principali appunto, direttamente da Aliens Scontro finale ritroviamo un Bill Paxton in stato di grazia nel ruolo del folle vampiro Severen, un ipnotico Lance Henriksen nei panni Jesse, il vampiro anziano capo clan e Janette Goldstein nel ruolo di Diamondback, la compagna di Jesse.
Molto simile, ma in maniera invertita, la sorte di Mae e dell’attrice che le da il volto: Jenny Wright.
Mentre Mae riesce ad uscire dal buio della notte e riappropriarsi della luce del giorno, Jenny Wright parrebbe scomparsa, apparentemente allontanatasi dai riflettori ormai da 20 anni.
Suggestivo pensare così: quasi come se si fosse persa in quel limbo di buio che era la dimensione del personaggio da lei interpretato…

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Jenny Wright/Mae, vampira eterea, romantica e malinconica, brilla come una meravigliosa stella solitaria, “abbagliante” come la notte da lei descritta in una suggestiva sequenza del film…
La Wright si mostrerà in un’altra manciata di produzioni (da citare il lovecraftiano e notevolissimo I, Madman , in Italia Sola…in quella casa e Young Guns II) per poi allontanarsi dalle scene.
Travagliata la vita di Near Dark in Italia: passato al cinema nell’88, a quanto pare mai editato in VHS, ha goduto solo di qualche raro passaggio televisivo… solo recentemente l’opera è stata rieditata in DVD.
10 anni dopo, John Carpenter attingerà in un qualche modo atmosfere e spunti da Near Dark per il suo Vampires, ma questa è un’altra epoca e tutta un’altra storia.

Daniele “Danji Hiiragi” Bernalda

Il buio si avvicina

Titolo originale: Near Dark

Conosciuto anche con i titoli: Il Buio si avvicina, Aux Frontieres de l’aube, Djaevlens Datter, Natten Har Sitt Pris, Los Viajeros de la Noche

Produzione: USA, 1987

Regia: Kathryn Bigelow

Cast: Adrian Pasdar, Jenny Wright, Lance Henriksen, Bill Paxton, Janette Goldstein, Tim Thomerson, Joshua John Miller, Marcie Leeds, Troy Evans, Roger Aaron Brown.

Durata: 90 min.

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