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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

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Santa Jaws

26 mercoledì Dic 2018

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, Recensioni di Silvia Kinney Riccò, S, Shark Movie

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cappello sulla pinna, recensione, santa shark, squali, squali natalizi

Uno squalo famelico uscito da un fumetto semina il panico la vigilia di Natale. Toccherà a Cody ed a suoi amici sventare la minaccia.

“Santa Jaws is coming to town!”

(Vai con la musica)

L’universo del b-movie squalesco è un ambiente prettamente maschile. È quindi apprezzabile che una regista come Misty Talley si sia messa in gioco per regalare a noi sharkofili perle come Zombie Shark (primo film SyFy diretto da una regista femmina), Ozark Sharks, Mississipi River Sharks, dimostrando con orgoglio che anche le donne sono in grado di girare film di merda con gli squali.

Grande Misty, una di noi.

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Vai Misty

Nel film facciamo la conoscenza di Cody, un ragazzino nerd fissato coi fumetti che, insieme all’amico Steve, ha ideato Santa Jaws, un fumetto natalizio con protagonista un squalo. Cody non avverte minimamente lo spirito della festa e, anzi, è insofferente ai genitori che la hanno pure messo in punizione. La vigilia di Natale trova un regalo misterioso da parte del nonno: un penna a sfera con bizzarre istruzioni in tedesco. Scopre ben presto che l’oggetto è magico: disegnando Santa Jaws con l’antica penna trasporta il personaggio nel mondo reale. Una grande occasione per riallacciare i rapporti con la famiglia: dare la caccia insieme ad uno squalo assassino.

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Chi mangia panettone e chi si fa mangiare dallo Shark più trendy del Natale

Se pensavate che lo Squalo 4 – La vendetta fosse l’unico shark movie in tema col Natale, vi sbagliate di grosso. Santa Jaws è ambientato durante la vigilia di Natale e ha come protagonista un grande squalo bianco (in realtà è una lei) che dopo aver divorato un babbo natale cattivo subisce una trasformazione: è avvolto in luci colorate, ha frammenti di palle decorative al posto dei denti e campanellini attaccati alla coda, che suonano allegramente annunciandone l’arrivo. Ma la cosa che senz’altro più lo contraddistingue è il simpatico cappellino di Natale sulla pinna dorsale, assolutamente adorabile.

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Oh Oh Oh

I film di squali di serie Z hanno spesso un problema: non mantengo quanto ci si aspetta. Puntano tutto su una locandina figa e un titolo scherzoso che acchiappa l’attenzione del cinebruttaro di turno, il quale finisce spesso e volentieri deluso. Prendiamo ad esempio film come Shark Exorcist o Raiders of the Lost Shark, epici sulla carta, squallidi e dimenticabilissimi nella pratica.

Santa Jaws invece, inaspettatamente funziona.

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Sei stato buono????

Un film ovviamente ridicolo ma coerente nella sua assurdità, che si articola su una serie regole originali che, nella loro follia, hanno pure un senso.
Lo squalo, prima di tutto, è attirato da tutto ciò che è natalizio: calze di natale, musica festosa, zabaione versato in acqua. La sgangherata squadra di eroi dovrà attirare l’attenzione dello squalo con della pastura speciale: non frattaglie, ma dolcetti natalizi sbriciolati in mare.
Lo Squalo trae potere dal Natale ma è anche l’unica cosa in grado di distruggerlo: solo le armi “a tema” sono in grado di scalfirlo. Per questo motivi i ragazzi lo trafiggono con bastoncini di zucchero, gli sparano addosso fiocine decorate con luci e festoni o tacchini (del cenone) ripieni di esplosivo.
Tutto ciò, signori miei, ha del geniale.

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Lo squalo 4 è meno natalizio di me

Santa Jaws è uno film di squali atipico: non c’è un gruppo di adolescenti festaioli e arrapati, né un poliziotto/scienziato/ricercatore in lotta col sindaco che non vuole far chiudere la zona turistica nonostante la minaccia degli squali.
I protagonisti del film sono infatti un gruppo di ragazzini che devono combattere da soli e l’intera storia ha quel tocco fiabesco e “giovane” che lo avvicina più ad un episodio dei Piccoli Brividi che ha uno Sharknado. Non ci sono tette in vista e la pellicola è praticamente priva di violenza esplicita, non c’è quasi una goccia di sangue per l’intera durata del film.
Sebbene nemmeno gli shark movie precedenti della regista fossero particolarmente splatter, ricordiamo comunque qualche momento sanguinoso, fra arti amputati e piogge di frattaglie (Summer Shark Attack) o I finitissimi cadaveri mutilati di Zombie Shark. Santa Jaws è invece un film family friendly quasi totalmente privo della componente horror che punta più su commedia e avventura.
Il fatto che le uccisioni siano quasi tutte fuori campo non è forse così male, visto che ci vengono risparmiate sequenze che sarebbero state senza dubbio realizzate con una computer grafica pietosa; è infatti da segnalare che l’uso della CGI è molto moderato.
L’unico momento gore del film è la scena poverissima di un tizio con le gambe amputate (l’attore è chiaramente in ginocchio, ma sorvoliamo).

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Buoni sentimenti alla Piccoli brividi

Lo squalo esteticamente è davvero simpatico ed originale e le sue comparse strappano sempre un sorriso. Oltre a ciò il film è condito da dialoghi effettivamente divertenti -ricordiamo il padre che incolpa il riscaldamento globale- e situazioni molto “cartoon”, come quando il fratello di Cody si presenta con una scatola con su scritto a lettere cubitali “esplosivo”, a prova d’idiota, nel rispetto delle antiche tradizioni del b-movie.

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Grandi classici citati: I Eat your skin (1964)

Se cercate sangue o frattaglie lasciate perdere, se invece volete un piacevole diversivo dal soffocante clima festoso di Dicembre, Santa Jaws ed il suo nonsense fanno al caso vostro.
Un film obbligatorio per tutti gli amanti degli squalibbrutti!

“See you in jingle hell!”

Silvia Kinney Riccò

Santa Jaws

Anno: 2018 (USA)

Regia: Misty Talley

Sceneggiatura: Jake Kiernan

Interpreti: Reid Miller, Courtney Lauren Cummings, Jim Klock

Durata: 86 min.

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Shark exorcist

22 martedì Ago 2017

Posted by andreaklanza in film pericolosamente brutti, Recensioni di Silvia Kinney Riccò, satana, Shark Movie

≈ 3 commenti

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approfittarsi di invalidi, film, peggio di un porno, shark exorcist

In seguito al morso di uno squalo demoniaco la giovane Ali comincia a comportarsi in maniera bizzarra: è misteriosamente attratta dall’acqua e spesso preda di raptus omicidi. Solo un esorcista potrà aiutarla a tornare in sé.

Wild Eye Releasing, casa di distribuzione già nota per Raiders of the Lost Shark e Sharkenstein, ci regala un’altra perla di rara bruttezza a tema squali, questa volta un improbabile mix fra Lo Squalo e L’esorcista.

La vicenda si apre con una suora dalle tendenze sataniche (?), Suor Blair (triste riferimento a Linda Blair), accusata di aver torturato e ucciso decine di bambini, che accoltella una donna e ne getta il cadavere in acqua in sacrificio al suo padrone Lucifero, chiedendo vendetta per i torti subiti. Satana ascolta la sua preghiera e si manifesta sotto forma di un demoniaco squalo gigante. Inutile chiedersi perché.

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Sangue dappertutto e, per non sprecare niente, giù di lingua!

Onestamente speravo in una creatura fiammeggiante e croci rovesciante ma non c’è niente di tutto ciò; solo uno squalo nella norma, non fosse per gli occhi gialli e luminescenti ed una vaga sfumatura rossastra del corpo.

La CGI con cui è realizzato è la solita, sciatta computer grafica da b-movie. Non ho nemmeno scene particolarmente trash da segnalare in quanto lo squalo si vede pochissimo e se ne resta buono buono in acqua senza interagire con nessuno dei personaggi: ci viene mostrato solo qualche volta mentre nuota ma gli omicidi sono tutti fuori campo. Noia.

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Squalo satanico solo per gli occhi

Ora che lo squalo è stato evocato e sguazza allegramente nel lago, a farne le spese è Ali, bella biondina che non concede nemmeno un topless, la quale viene aggredita durante un nuotata. L’amica Emily accorre in suo aiuto, trovandola in fin di vita coperta di sangue… che non si sa da dove arrivi visto che non ha un solo graffio!

In effetti la maniera in cui viene usato il sangue nel corso del film è totalmente assurda, troviamo delle scene con attori zuppi di sangue nonostante non si veda alcuna ferita. Della serie “ma sì, abbondiamo”.

Dopo il fatidico morso scopriamo che Ali è vittima di una possessione squalo-demoniaca che la porta a momenti di follia omicida durante la quale si “trasforma”: in acqua diventa lei stessa uno squalo, o almeno così si può intuire, sulla terraferma mantiene forma umana ma inizia a addentare tutto ciò che è nei paraggi.

Immagine

Satana d’acqua con bocca aperta

Ali comincia a mietere vittime in giro la città: la scena più cringe dell’intero film è quando adesca una donna ritardata al parco giochi, mentre questa sta giocando con i suoi squaletti di gomma, la porta in piscina e sembra in procinto di dare inizio ad una scena lesbo con la disabile. Poi per fortuna la cosa si conclude in omicidio e si può tirare un sospiro di sollievo. Però che disagio.

ritardata

Disagio 

cringe

Peggio dei porno sugli incesti

Si arriva finalmente alla scena clou: il rituale per scacciare il dentuto demonio.

Non ci è dato sapere come e perché l’esorcista sia a conoscenza della storia dello squalo né in che modo sia arrivato a contattare Emily, ma ancora una volta farsi domande è assolutamente inutile. Viene ora messo in scena il rituale di esorcismo più squallido e nosense mai visto. Ali, legata ad un pianta (in realtà sono due cordicelle appoggiate ai polsi), con tutto l’aspetto di una vittima sacrificale, comincia a farneticare cose senza senso per poi lanciarsi in una copiosa vomitata verde addosso al prete, come da tradizione. Lui però non la prende bene e cerca strangolandola. Bravo prete, complimenti, molto caritatevole da parte tua.

Prete posseduto

Prete impossessato soprattutto per gli occhi

L’esorcista poi cambia idea e decide di sacrificarsi al posto della ragazza accogliendo il demone dentro di sé: nel trash più totale il prete posseduto dallo squalo comincia a prendere a morsi Emily come un cane con l’osso. Momenti di cinema altissimo.

L’idea che in seguito al morso dello squalo la vittima si trasformi a sua volta in un pescecane affamato era deliziosamente stupida, con qualche mezzo in più ne sarebbe uscita una cosa divertente tipo Zombeavers.

demone esorcizzato finale

Squalo satanico ottimizzato per televisori 4:3 a tubo catodico

Sfortunatamente qui non avevano soldi da spendere in make-up e tutto ciò che ci è concesso vedere è Ali con in bocca una dentiera di Halloween.

Da amante dello z-movie mi sento quanto meno in dovere di apprezzare la follia generale che permea la trama, l’idea di mettere un esorcista in un film di squali è di un’idiozia ammirevole. Peccato che poi sia lo squalo che l’esorcista abbiano un ruolo praticamente marginale nel film, nonostante le premesse.

Ali posseduta

Dentiera 0,99 da Moreno dove tutto costa meno

La storia è un susseguirsi di scene e personaggi totalmente inutili ai fini della trama, senza i quali la pellicola sarebbe probabilmente durata non più di 20 minuti:

Troviamo così una ghost hunter che invoca gli spiriti dell’acqua fra le convulsioni; tre tipe che fanno una seduta spiritica in un cimitero, tra visioni e lacrime di sangue; un rito di iniziazione per una confraternita… E avanti così per un’ora senza che nulla di quello che vediamo abbia un qualche significato. Anche ad esorcismo terminato continuano le cose inutili, come la tizia che viene fotografata di nascosto da un maniaco per 10 minuti buoni, scena totalmente fine a sé stessa, e persino dopo i titoli di coda, dove vediamo una ragazza che gioca con degli squali peluche e che poi inizia a vomitare roba arancione.

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Vomito metacinematografico tra pubblico e interpreti

Altro particolare davvero “boh” è proprio l’uso immotivato e continuo vomito: in più di un’occasione personaggi anche mai visti prima vomitano su altri o si sbrodolano addosso, così, a caso. Gente che rigurgita roba per sport, tanto per impreziosire ulteriormente questo fantastico film.

Menzione d’onore va alla colonna sonora, che cerca di amalgamare sonorità tipiche di Lo Squalo con campane tubolari tipo L’Esorcista e il risultato è la cosa meno orecchiabile e più repellente che si possa concepire.

vittima random

Sanguinare senza ferite

Ricapitolando:

Shark Exorcist poteva essere una simpatica follia se girato con i mezzi adeguati ed invece è solo un film brutto, dove la cosa meno trash è sicuramente lo sfigatissimo squalo che manco si vede, ma che nel suo nonsense riesce ad intrattenere fino alla fine (che per fortuna arriva presto).

Tizie che fanno seduta spiritica al cimitero

Quando in camporella si fanno gli esorcismi

Scene top:

  • La frase: “We’re gonna need a bigger cross” durante l’esorcismo. È simpatica, glielo concediamo
  •  La suora che accoltella gente random generando esageratissimi bagni sangue
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Suor omicidi

Silvia Kinney Riccò

Shark Exorcist

Anno: 2015

Regia: Donald Farmer

Interpreti: Angela Kerecz, Bobby Kerecz, James Balsamo, Alaine Huntington, Roni Jonah, Christy Moritz, Channing Dodson, Lexi Nimmo, Julia Contrenchis, Glynne Blackwell, Brad Blanchard, Bubba Bradley, Madison Carney, Jessica Drew Chastain Donald Farmer

Durata: 90 min.

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Raiders of the lost shark

01 martedì Ago 2017

Posted by andreaklanza in animali assassini, film pericolosamente brutti, Recensioni di Silvia Kinney Riccò, Shark Movie

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attrici cesse, film inumanamente brutti, raiders of the lost shark, recensioni, silvia kinney riccò, squali volanti

In seguito ad alcune trivellazioni sul fondale di un golfo, dei ricercatori scoprono una caverna subacquea da cui esce un famelico squalo preistorico. Come se non bastasse uno scienziato decide di potenziarlo ulteriormente per dar vita ad una vera e propria arma inarrestabile: un megalodon volante.

Partiamo con gli aspetti positivi del film: il titolo, spassoso gioco di parole con riferimento a Riders of the Lost Ark (I predatori dell’arca perduta) e la locandina, davvero spettacolare. Fine.

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Cioè davvero vi aspettavate questo?

Passiamo al resto.

Faccio davvero fatica a scrivere qualcosa di interessante su questa “pellicola” perché è il vuoto più totale.

Il film è stato sceneggiato da Brett Kelly, regista di Jurassic Shark, che ripropone praticamente la stessa vicenda con la differenza che qui il megalodon vola.

Dal titolo speravo in una tamarrata nosense ed invece non c’è assolutamente nulla che richiami ad Indiana Jones. Mi sarebbe bastato poco, magari giusto un paio di scene come quelle viste in Shark in venice: un tesoro da trovare, qualche trappola lungo il percorso ed il gioco era fatto. Ed invece il nulla assoluto.

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Qui si sente la mancanza pure della sorella cessa di Scarlett Johansson

Niente di ciò che si vede nella locandina è presente nel film: né elicotteri, né motoscafi, né belle fighe.

Sì perché nello squallore generale rientrano pure le attrici, una più brutta dell’altra.

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Niente belle fighe

L’intera vicenda si trascina in una noia ed un desolazione insostenibile fra esterni orrendi, girati fra terreni brulli e secchi con elettrodotti e capannoni sullo sfondo, ed interni totalmente spogli. Addirittura alcune stanze sono imbiancate a metà e da certe angolazioni si può notare che il pavimento non è stato piastrellato. La povertà più totale.

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Gli attacchi dello squalo sono quanto di più triste e sciatto si possa immaginare, molti dei quali avvengo sott’acqua senza che si veda assolutamente nulla: si intravedono dei denti acuminati e la vittima di turno scompare, cola a picco senza lasciare dietro di sé la benché minima traccia di sangue. Emozionante.

Le squalo è in una CGI vergognosa, bidimensionale e a malapena articolato; a volte balza fuori dall’acqua per ingoiare intero il bagnante senza sollevare un solo schizzo e quindi vi rientra, con la superficie che rimane piatta e senza la minima increspatura. Verso il finale hanno voluto pure strafare ed in qualche scena lo squalo in computer grafica è sostituito da un pupazzetto di gomma. Una cosa che ti lascia morto dentro come un addio improvviso o un lutto che non ti aspetti.

Squalo di gomma

Squalo di gomma

Inutile parlare di regia e recitazione perché siamo al livello di un porno amatoriale. Il budget stimato è 350k dollari ma io veramente non riesco a capacitarmi di dove siano finiti quei soldi. In droga e puttane probabilmente perché altrimenti la cosa non si spiega.

Un paio di scene in particolare rimangono impresse per la bruttezza e la poracittudine che irradiano.

Prima fra tutte, la romantica gita sulla spiaggia della ragazza afro americana insieme al fidanzato, dove quest’ultimo viene divorato al volo dallo squalo che plana a pochi centimetri da terra. Assolutamente indimenticabile l’espressione esilarante della ragazza mentre urla: “Flyyyyying shaaaaaark!!”. Uno dei momenti più significativi della pellicola.

flying shaaark

Flyyyyying shaaaaaark!!

Un altro momento di grande cinema è la gita in barca col marinaio pazzo, forse il momento più simpatico per l’ingenua idiozia con cui è reso.

Il personaggio più simpatico, nonché l’unico, è proprio il marinaio che conduce i ragazzi sull’isola proibita, che ha la stessa mimica facciale del capitano dei Simpson. Si lascia pure sfuggire un “Arr!” ad un certo punto, non potevo crederci

il capitano dei simpson

Arr

Dopo aver colpito qualcosa con la barca il marinaio si sporge verso l’acqua per vedere che succede e quando si rialza, dove prima c’era la testa ora vediamo qualche vertebra sporca di ketchup. Tom Savini scansati proprio.

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Il megalodon colpisce nuovamente la barca e una delle ragazze viene sbalzata in acqua. Quanto potrà essere caduta lontano? 1 metro? 2 al massimo? Sembra invece che la tipa sia stata proiettata dall’altra parte della baia: continua a nuotare e nuotare senza mai raggiungere l’imbarcazione. Ma perché? Lo squalo ha curvato lo spazio tempo? Non ci è dato saperlo. Intanto finisce divorata.

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Al terzo assalto pure la protagonista e l’amico finiscono a bagno. A quel punto cosa fanno? Risalgano in fretta sull’imbarcazione? No, molto meglio lanciarsi in un nuotata disperata verso la lontanissima costa.

Ad aggiungere ulteriore trash al momento notiamo che in alcune riprese, mentre i protagonisti sono in acqua, si vedono persone sconosciute fare capolino dalla barca: qualche operatore che si era dimenticato di levarsi dalle palle.

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Nel gran finale troviamo lo squalo che vola sulle teste delle nostre eroine, ruggendo (?) come un leone. Se pensate che l’idea di uno squalo volante possa essere figa, beh, non è lo è, non qui almeno. Il megalodon fluttua senza muovere un muscolo, non sbatte nemmeno le pinne. È solo brutto. Ma non brutto divertente, è brutto e stop.

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La protagonista ha un piano infallibile per sconfiggere la creatura usando uno strumento che genera un campo elettromagnetico. Il dispositivo in questione non è nient’altro che una di quelle lampadine adesive che si attaccano dentro gli armadi. Ne ho una uguale rossa, presa all’Ikea, 2 euro.

Riescono alla fine a distruggerlo facendolo saltare per aria.

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In conclusione:

Raiders of the lost shark è un film brutto ma non abbastanza da essere divertente o memorabile. Ha il pregio di non prendersi sul serio (e ci mancherebbe!) ma questo non lo rende più simpatico. Sconsigliato anche agli shark addicted più accaniti.

Silvia Kinney Riccò 

Raiders of the Lost Shark

Regia: Scott Patrick

Interpreti: Dan Desmarais, Peter Whittaker, Kitty Kamieniecki, Angela Parent, Pavel Lubanski, Candice Lidstone, Jessica Huether, Kendra Summerfield, Anik Rompré, Catherine Mary Clark, Caren MacNevin, Mel Guibz, Scott McClelland, Faith Rayah, Ian Quick

Durata: 70 min.

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Shark in Venice

19 mercoledì Lug 2017

Posted by andreaklanza in animali assassini, film pericolosamente brutti, Recensioni di Silvia Kinney Riccò, Shark Movie

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attori alcolizzati in bulgaria, shark in venice, sorella cessa di scarlett johansson, stephen baldwin

Attenzione: possibili spoiler. Se qualcuno mai avrà il coraggio di vederlo.

David Franks e la sua fidanzata Laura intraprendono un viaggio in Italia per indagare sulla morte del padre di David, un noto sommozzatore che pare aver perso la vita in un tragico incidente durante un’immersione a Venezia. David capisce che il padre stava lavorando per conto della mafia veneziana, interessata ad una sensazionale scoperta dell’uomo: nascosto nei tunnel subacquei, fra i canali veneziani, infatti vi è il tesoro segreto dei Medici. A questo aggiungiamo che a nasconderlo sono stati i Templari e che la ricerca parte dalle mappe di Marco Polo (?!?) A complicare le cose, se è possibile, troviamo un enorme squalo (ma probabilmente anche più di uno, la cosa non è molto chiara) che nuota indisturbato nella laguna.

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Se state cercando un senso a quanto appena letto potete rinunciarci. La vicenda è il delirio più assoluto, ma non quel genere di nonsense consapevole, forzato, esasperato di film come Sharknado o Ghost Shark. Ancora in maniera più esilarante, sembra che il film si prenda quasi sul serio come se lo sceneggiatore avesse davvero creduto che il mix Venezia/templari/squali fosse quanto meno accettabile. Il regista Danny Lerner torna alla carica con un altro imperdibile (no) film di squali dopo i suoi precedenti Shark Zone e Shark Invasion, che vede fra gli scialbi protagonisti Stephen Baldwin e Vanessa Johansson, la sorella cessa e sfigata di Scarlett Johansson.

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La vicenda si rifà a film come Il codice Da Vinci ed Indiana Jones (mi sento in imbarazzo solo a citarli in questo contesto). David è un professore e studioso di antichità (talmente esperto che per lui Medici si pronuncia “Médici”) alle prese con un’indagine storica credibile ad accurata (sarcasmo). Le sue ricerche lo conducono all’ingresso sottomarino della grotta del tesoro, piena di trappole mortali che lui riesce facilmente ad evitare. La sequenza più figa del film, e probabilmente quella che ha assorbito il 90% budget, è quella che ci viene mostrata durante la lettura della carte di Marco Polo, dove vediamo l’assedio da parte dei templari a cavallo che distruggono e depredano il villaggio massacrandone gli abitanti. In che modo la scena ci è utile ai fini della trama? Nessuno, ovviamente.

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Inseguimenti, scazzottate e sparatorie: ma in tutto ciò, dove sono gli squali e cosa diavolo c’entrano? Si scopre ben presto che il boss mafioso Vito Clemenza (tipico nome veneziano), per evitare che qualcuno ficcasse il naso nei suoi affari, ha liberato dei piccoli di squalo fra i canali per usarli come cani da guardia una volta cresciuti. Una trovata geniale, considerando che gli squali rendono impossibile la ricerca a cui sta lavorando divorando gli scienziati da lui assoldanti ed un numero imprecisato dei suoi scagnozzi.

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I nostri beneamati pescioloni in realtà non si vedono poi così tanto, e quando lo fanno sono per lo più scene di repertorio rubate a documentari oceanografici, dove si capisce chiaramente che la creatura sto nuotando in mare aperto, fra le onde ed i pesci tropicali. Gli attacchi ai danni degli umani sono resi con una poraccitudine imbarazzante: la telecamera che si muove avanti ed indietro fra le bolle sott’acqua seguito dal frenetico montaggio di scene di stock con squali che mordono cose di vario tipo -non ha molto importanza di cosa si tratti.

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Fantastica la sequenza di un attacco quando, durante il consueto flash di scene di repertorio, si vede anche uno squalo mordere il fondo di una barca (già usato anche in Shark Zone), totalmente a caso visto che nella scena non c’era nulla del genere. In pratica non si vede niente di niente, se non appunto roba riciclate da documentari o altri film. E fino a qui, ok, film brutto ma non osceno. Solo al minuto 40 parte il trash vero e proprio: l’enorme squalo bianco balza fuori dall’acqua in tutta la sua gloriosa CGI del cazzo, come da tradizione, e azzanna una coppietta ubriaca.

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In realtà le scene in computer grafica sono giusto un paio e il trashometro rimane purtroppo basso, anche se l’attacco alla gondola vale da solo il film. Parliamo ora di una delle componenti chiave: l’Italia e gli italiani. Partiamo subito col dire la cosa più importante: il film non è stato girato a Venezia. Sì, c’è qualche ripresa di repertorio della città, più alcune scene filmate da una barca dal fortunato cameraman mandato in Italia per l’occasione, ma nessuno del cast ci ha veramente messo piede. Gli esterni sono stati ricostruiti (male) in uno studio in Bulgaria, il film si sarebbe dovuto intitolare “Shark in Bulgaria” ma è stato poi cambiato in “Shark in Venice” perché faceva più figo.

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Se vi sembra di notare qualcosa di innaturale è perché ogni tanto, fra un edificio e l’altro, troviamo aggiunta l’acqua in una computer grafica come sempre posticcia. Gli italiani vengono chiaramente rappresentati nella maniera più stereotipata possibile, come il tizio che mentre ringrazia manda con entusiasmo baci allo schermo del computer, perché come è noto gli italiani gesticolano e baciano tutti. Non poteva mancare l’italianissima mafia. Il boss, interpretato dal nostro connazionale Giacomo Gonnella, recita in inglese aggiungendo qua e là parole in italiano -come a voler sottolineare che sì, siamo proprio in Italia! – con la conseguenza di strappare risate involontarie. Come rimanere seri difronte a frasi come “Rossi, answer me! Vaffanculo!” o ancora meglio “I put the bambino sharks into the canal”.

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La cosa pazzesca è che nonostante Gonnella sia proprio italiano pare quasi che si sforzi per dare una pronuncia “italo americana” alle parole, come se già il suo personaggio non fosse abbastanza ridicolo. Apriamo una parentesi per parlare della scelta dei nomi dei personaggi italiani, alcuni presi direttamente dal panorama calcistico: troviamo il luogotenente Totti e il covo dei cattivi posto nella “laguna Del Piero”. No, non sto scherzando. Nel gran finale David ed il boss si azzuffano e finiscono sott’acqua, mentre alla base dei mafiosi fanno irruzione le forze dell’ordine iniziando una sparatoria che sembra non finire mai, mentre i protagonisti vengono completamente ignorati. Dopo 10 minuti finalmente finiscono di spararsi, David e Vito sono ancora sott’acqua che tanto l’ossigeno è un optional, e finalmente arriva lo squalo che si pappa il cattivo.

sharksinvenice12Concludiamo in bellezza con la fidanzata di David che si lancia in una battuta di chiusura a dir poco esilarante “Promettimi che non verremo in luna di miele a Venezia” e a quel punto col sorriso sulle labbra lo spettatore può procedere ad impiccarsi all’armadio. Per concludere: Shark in Venice è film con pochi squali e pochissimo sangue ma che riesce comunque a non annoiare grazie ad una trama totalmente delirante. Cose che si fanno ricordare: -La location senz’altro atipica (anche se fasulla) per un film di squali -La scena del gondoliere divorato Consigliato solo ai patiti di low budget squaleschi per passarsi un’ora e mezza in idiozia. Tutti gli altri: per il vostro bene, statene alla larga.

Silvia Kinney Riccò

Shark in Venice

Regia: David Lerner

Interpreti: Stephen Baldwin, Vanessa Johansson, Bashar Rahal, Giacomo Gonnella

Durata: 88 min.

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Se volete leggere anche un altro punto di vista sul film (ma credetemi non cambia di tanto) qui il link dell’amico Zinefilo

 

 

The Shallows

27 mercoledì Lug 2016

Posted by andreaklanza in animali assassini, azione, Recensioni di Manuel Ash Leale, Shark Movie

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blake lively, cinema, Jaume Collet-Serra, manuel ash leale, recensione, recensioni, the shallows

Ci risiamo.

Arriva l’Estate, per antonomasia e ovvie ragioni la stagione delle vacanze, del mare, del divertimento in spiaggia e dei teneri amori adolescenziali. Ma, soprattutto, la stagione dei film con protagonisti terribili mostri marini assetati di sangue e famelici di carne umana. In tanti anni di cinema ne abbiamo viste di cotte e di crude, ogni tipologia di creatura, reale o fantastica, ha attraversato la nostra strada di spettatori emozionandoci o, purtroppo il più delle volte, annoiandoci con avventurose e orrorifiche soluzioni. Guardandoci alle spalle possiamo annoverare piovre giganti, coccodrilli, piranha, barracuda, altri pesci di diverso tipo, mutazioni, incroci e, infine, il preferito di tutti, il re dei monster movie da quattro soldi, l’imperatore del trash ittiologico: lo squalo.

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Non provo nemmeno a enumerare i film con lui come protagonista, perché, specie negli ultimissimi anni, c’è stato un boom incredibile di shark movie più o meno beceri, roba da far accapponare la pelle nemmeno lo squalo ce lo trovassimo davvero di fronte in acqua. A due o tre teste, con i tentacoli, gigantesco, robotico, nella sabbia, persino fantasma. Ma come ti viene in mente un film con uno squalo fantasma?! È così folle da rasentare il genio. Insomma, l’amore per i selachimorpha pare inesauribile, come testimonia il successo degli ultimi cult di casa Asylum, i quattro Sharknado che tanta meschina felicità donano alle serate ignoranti degli inossidabili cultori di b-movie. Così, al centesimo titolo che prelude la lotta uomo vs uno dei predatori più perfetti del pianeta, scappa un sussulto, un passo indietro con sorriso imbarazzato. Un altro? Davvero?

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The Shallows arriva in questo clima di perplessità marina e scatena subito la risatina sarcastica del cinefilo navigato, così come lo sbuffo annoiato del fan di shark movies. L’unica cosa che pare interessante è Blake Lively e il suo corpo mozzafiato, stretto in un bikini per tutta la durata del film. Ecco, so cosa state pensando, perché tutto appare ora come un gigantesco cliché: bella ragazza svestita, squalo che attacca famelico come non ci fosse un domani, vittime ignare, le solite cose. Di nuovo.

Lo ammetto, è stato il mio identico pensiero e non ci fosse stata la Lively in costume per ottantasette minuti avrei snobbato tutto quanto, rimandando la visione a un altro momento. Lo farebbe chiunque leggendo una trama come questa: una surfista scova la spiaggia segreta dove la madre, recentemente scomparsa, praticava surf e resta intrappolata su di un piccolo scoglio assediata da un grande squalo bianco, che le impedisce di raggiungere la riva. Punto. Vi giuro, è tutto qua. Niente di più, niente di meno.

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E che il Dio Cinema mi fulmini, funziona maledettamente bene. Lasciamo da parte Jaws, così come Shark attack o simili, non siamo di fronte a un capolavoro, e nemmeno a un film di serie z, bensì a un lavoro onesto, senza troppe pretese se non quella di intrattenere. Cosa che The Shallows sa fare, grazie alla regia di Jaume Collet-Serra, attenta, sapiente, capace di trasportare lo spettare nel crescendo della vicenda, e grazie anche alla scrittura di Anthony Jaswinski, dal ritmo serrato, pragmatica, senza fronzoli. La narrazione di Paradise Beach – Dentro L’incubo, fantasioso titolo italiano con il quale il film approderà nella penisola in Agosto, è molto tesa, una corsa sulle montagne russe capace di funzionali picchi tensivi e adrenalinici, senza momenti vuoti o inutili, ma intelligentemente costruita per rendere appieno la situazione altalenante che vive la protagonista. A questo proposito, Blake Lively non delude, sebbene talvolta appaia forse un tantino esagerata nell’esternazione delle emozioni, risulta comunque credibile, perfettamente in grado di sostenere il peso dell’intera storia sulle spalle senza problemi. La sua battaglia contro un natura che sembra spietata non è dettata dalla vendetta o da qualche soluzione poco attendibile, ma dalla più realistica delle motivazioni: la fame da una parte e la sopravvivenza dall’altra. Un binomio mai slegato che permette una lettura diversa di tutta l’operazione. The shallows non ingigantisce nulla, non mette in scena bestie che bramano il sapore del sangue umano e neppure genitori il cui figlio è finito nello stomaco di uno squalo. La sua naturalezza è semplicità e questo è da considerarsi, in questo caso, un punto di forza.

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La preoccupazione di ritrovare nel film di Collet-Serra tutto ciò che ha reso stantii molti degli altri shark movies viene annullata dalla scorrevolezza e dall’onestà intellettuale del film. Indubbiamente deve qualcosa a Jaws, non è una sorpresa, ma dallo squalo splendidamente ricreato, e intelligentemente poco mostrato, fino al lavoro di tutto il cast, sia tecnico che artistico, The shallows dimostra una sua personalità. Nonché i dignitosi meriti di un film che non aspira alla leggenda, ma solo a divenire un piccolo piacere per spettatori disillusi.

Manuel “Ash” Leale

The Shallows
Anno: 2016
Durata: 87 min
Regia: Jaume Collet-Serra
Sceneggiatura: Anthony Jaswinski
Fotografia: Flavio Martínez Labiano
Montaggio: Joel Negron
Musiche: Marco Beltrami
Scenografia: Hugh Bateup
Interpreti: Blake Lively, Óscar Jaenada, Brett Cullen

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Shark Lake

01 venerdì Lug 2016

Posted by Manuel Ash Leale in Recensioni di Manuel Ash Leale, S, Shark Movie

≈ 3 commenti

Tag

dolph lundgren, recensioni, shark, shark lake, squalo

Prima o poi arriva sempre, nella vita, il momento in cui ti ritrovi a fissare qualcosa, con gli occhi sgranati, incredulo, non capacitandoti di come possa essere reale. Ecco, quando quel particolare attimo vi si para davanti agli occhi siate coraggiosi e andate oltre, abbandonate la codardia dell’uomo comune, fortificatevi attraverso le tempeste che la vita vi rovescia lungo la via. Perciò, quando vedrete sugli scaffali del vostro rivenditore di film preferito una locandina che ritrae Dolph Lundgren insieme alla pinna dorsale di uno squalo, siate forti, amici miei, poiché è solo una prova, un esame che il Dio Cinema usa per testare il nostro valore e la nostra temerarietà. Perché non è realmente credibile che il buon Dolph sia davvero in un film dove lotta con gli squali, giusto?

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Pensavo tutto questo fino a circa due ore fa, poi le mie certezze sono franate, precipitandomi nella consapevolezza che qualcuno, lassù, probabilmente mi odia. Shark Lake è il Jaws dei mentecatti e il solo pensiero che Lundgren combatta contro un mangiatore di uomini acquatico raggiunge livelli di epicità, e al tempo stesso di trashume, inauditi. È pura masturbazione per esteti del brutto cinematografico e la cosa più strana di tutto questo è che, fino a un certo punto, sembra quasi che funzioni.
Non vi sfugga il sembra, il segreto sta tutto lì.
Il biondo svedese interpreta Clint Gray, trafficante di animali esotici o rari che, in seguito a un inseguimento finito male, viene arrestato. Durante la sua carcerazione a prendersi cura della piccola figlia è la poliziotta Meredith Hernandez (la bellissima Sara Malakul Lane), che si prende talmente a cuore la bambina da cercare di evitare il futuro incontro con il padre, una volta fuori dalla galera. Purtroppo si ritroverà ad affrontare pericoli peggiori, poiché uno degli animali di Clint è finito nel lago Tahoe e nessun bagnante è più al sicuro.

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Come ho già scritto siamo sì dalle parti di Jaws, ma più che altro di Shark Night e questo non è sinonimo di qualità. Certo, stavolta ci risparmiano gli squali che ringhiano e ruggiscono, ma vedere attacchi di Leuca in dieci centimetri d’acqua fa sanguinare gli occhi dalla disperazione. In realtà cacciano anche a lievi profondità, ma c’è davvero bisogno di essere Jacques Cousteau per rendersi conto che in riva a un lago, calma piatta, acqua alle caviglie, un dannatissimo squalo di tre metri e mezzo si spiaggerebbe allegramente nuotando come il signor Creosote sotto steroidi?

Eppure male non era partito, bisogna in fondo prenderne atto. Per avere un budget limitato sono riusciti a creare una buona scena iniziale, con un discreto, seppur breve, inseguimento automobilistico. Beh, discreto se ci dimentichiamo dell’esistenza di John Frankenheimer e del suo Ronin, ma non facciamo i pignoli. Proseguendo nella narrazione, tuttavia, aumenta la sensazione di smarrimento, non si capisce più cosa il film ci vuole raccontare. Da una parte abbiamo il dramma famigliare (sì, mi piacerebbe), dall’altra lo squalo, anzi, gli squali, e quindi si crea un po’ di confusione su cosa realmente sia importante, su dove la storia va a parare. Non c’è un buon ritmo e il problema non rientra nel budget risicato, è solo questione di idee e, di conseguenza, di una sceneggiatura spenta, prevedibile e noiosa. La nostra bella e irritante poliziotta gira di qua e di là, intenta a impedire con tutti i modi che la figlia adottiva riveda un padre che più spaesato non si può. Dolph Lundgren è, concedetemi la battuta, un pesce fuor d’acqua. Mi sembra di vederlo mentre cammina sul set, guardandosi attorno smarrito, chiedere al regista: “Ehi Jerry, ma quando imbraccio il lanciamissili e apro in due quel pesce del cazzo?”. Jerry Dugan lo fissa silenzioso, bocca semi spalancata e sguardo vacuo: “di quale lanciamissili parli, Dolph? Dai smetti di dire stronzate, che abbiamo finito i soldi con lo squalo in CGI e adesso devi prendere a pugni un pesce di gomma”. Mesto, il gigante svedese si rifugia in un angolo, mangiando nervosamente polpette dell’ikea mentre si chiede quale intruglio diabolico l’abbia costretto non solo a partecipare, ma persino a produrre questo film.

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Professionale come sempre, Lundgren non può, però, rendere piacevole Shark Lake, la sua regia morta o il suo script imbarazzante, che naturalmente sciorina tutti i cliché del Genere. E lo fa pure male. Tra personaggi anonimi e scene che possono uccidere le sinapsi, resta la netta sensazione che avremmo potuto impiegare quell’ora e mezza in modi decisamente migliori. Se è vero che, citando la bravissima Nathalie Baye di Effetto Notte, “io per un film potrei piantare un uomo, ma per un uomo non pianterei mai un film”, a sto giro qualche dubbio a riguardo viene da porselo. Uscite, prendetevi una birra fresca o un gelato, fate l’amore anche se fa caldo e lasciate perdere laghi e squali. Sono quasi sicuro che anche Dolph sta cercando di fare altrettanto.

Manuel “Ash” Leale

Shark Lake

Anno: 2015

Regia: Jerry Dugan

Interpreti: Dolph Lundgren, Sara Malakul Lane, Lily Brooks O’Briant, James Chalke, Michael Aaron Milligan, Ibrahim Renno

Durata: 92 min.

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