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Malastrana VHS

~ i film più oscuri e dimenticati

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The Unnamable II: The Statement of Randolph Carter

10 domenica Mar 2019

Posted by andreaklanza in B movie gagliardi, C, demoni, Recensioni di Andrea Lanza, satana, starlette, tette gratuite, tette vintage, U

≈ 10 commenti

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botox distruggi sogni, Charles Klausmeyer, David Warner, fighe pazzesche, Jean-Paul Ouellette, John Rhys-Davies, Julie Strain, l'innominabile, la creatura, lovecraft, Maria Ford, Mark Kinsey Stephenson, penthouse, Peter Breck, Randolph Carter, seguiti, seguiti folli, sequel sfigati, stuart gordon, tette, the unnamable, The unnamable II: The statement of Randolph Carter

H. P. Lovecraft a metà anni 80 era tornato alla ribalta soprattutto grazie all’Empire di Charles Band che aveva confezionato due capolavori splatter, Re-animator e From Beyond, tratti da due racconti brevi del solitario di Providence. Da lì una sorta di lovecraftspoitation era dilagata nei cinematografi e nelle vhs, una mania che aveva creato negli anni più mostri che perle preziose, filmacci come Lurkin Fear (1994) di C. Courtney Joyner, da un progetto abortito di Stuart Gordon sempre per l’Empire, o il delirante La casa di Cthulhu (1992), abominio spagnolo diretto dal sempre poco talentuoso Juan Piquer Simón, autore del(lo) (s)cult Pieces.

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Già negli anni 60/70, grazie ad un pugno di pellicole, si era cercato di imporre al grosso pubblico il nome di Lovecraft, ma, malgrado opere eccellenti come La città dei mostri (The Haunted Palace, 1967, Roger Corman da Il caso di Charles Dexter Ward), La morte nell’occhio di cristallo (Die, Monster, Die!, 1965, Daniel Haller da Il colore dello spazio) e Le vergini di Dunwich (The Dunwich Horror, 1970, Daniel Haller da L’orrore di Dunwich), il tentativo era fallito. Era evidente che l’universo mostruoso ed onirico di H. P. non faceva presa sugli spettatori come invece quello di Edgar Allan Poe che aveva fatto la storia dell’horror cormaniano.

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Ah le vhs!

La creatura arriva in piena lovecraftmania ed è uno dei primi tentativi, con La fattoria maledetta (The curse) di David Keith, di bissare il successo dei film di Stuart Gordon. Girato con l’esiguo budget di 350000 dollari, in sole tre settimane, tratto dalla novella L’innominabile, calcava la mano dello splatter sulla falsariga di Re- animator. Non dovette comunque essere un grandissimo successo al box office, visto che per il seguito passarono ben 5 anni, ma ricordo perfettamente che in vhs, nell’edizione stracazzutissima della VIVIVIDEO, faceva la sua porca figura con questo mostro urlante tipo banshee che ti faceva cagare sotto solo a guardarlo.

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Il film fu diretto da Jean-Paul Ouellette in un’epoca dove la Francia non era ancora stata sdoganata dal cinema euroamericano di Luc Besson. Oltretutto il regista fece appena in tempo a girare negli States un action marziale pregevole, Chinatown Connection con lo sconosciuto Bruce Ly ovvero Lung Tsu Chiao ovvero Yung Henry Yu al fianco del Lee Majors de L’uomo da sei milioni di dollari, e naturalmente The Unnamable II: The Statement of Randolph Carter, La creatura 2 se fosse uscito mai in Italia. Dal 1993 Jean-Paul Ouellette, che nella sua carriera può vantare la seconda unità di Terminator di Cameron, ha abbandonato quasi del tutto la regia, dirigendo in 26 anni solo due cortometraggi, l’ultimo This Thing About My Wife è del 2019, un dramma su un ménage à trois tra un corridore brasiliano, la moglie e la sua amante.

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Tette

Ultimante ho letto cose molto negative su La creatura, critiche oltretutto ingiuste con aggettivi come trash (ecco una parola da abolire in campo cinematografico), noioso o stupido. Ho rivisto da poco il film di Ouellette e l’ho trovato di certo non un capolavoro, nessuno comunque lo pensava neppure nel 1988, ma comunque un prodotto ben fatto, divertente e con una creatura mostruosa dal make up fantastico. Fa sorridere è vero che questo gruppetto di persone si aggirino all’interno di una casa senza mai sentire le loro grida o incrociarsi (quanto diavolo era grande?), ma alla fine The unnamable è girato molto bene, con un sapiente uso delle luci per mascherare la povertà del budget, delle gustose scene splatter e le tette, fantastiche, della stuntgirl promossa ad attrice Laura Albert. In più il gruppetto di attori non sembra mai un saldo da brutto B movie e Mark Kinsey Stephenson è un perfetto Randolph Carter in versione teen.

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Splatter

Su questo punto poi ci sarebbe da aggiungere che La creatura, più che un sotto Re-animator, sembra invece una risposta horror low budget a Piramide di paura (1985, Young Sherlock Holmes) di Barry Levinson, con la declinazione adolescenziale del mondo lovecraftiano e dei suoi personaggi. Una sorta di What if Marvel o Elsewords DC, per intenderci, con linee narrative alternative e ipotetiche. E se Randolph Carter avesse vissuto le sue avventure al college? E se Lovecraft fosse stato il suo compagno di stanza? Queste le domande che si pone il film.

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9 ore di make up

Il racconto di Lovecraft era sì riadattato alle esigenze del copione ma manteneva inalterate alcuni suggestioni importanti come i vetri che possono catturare il volto delle persone o la presenza di un essere inquietante in una soffitta.

La creatura, Alyda, era interpreta da Katrin Alexandre al suo unico film. Trovare foto dell’attrice senza make up è quasi impossibile, ma il lavoro degli effettisti è stato eccezionale, un trucco che richiedeva 9 ore per rendere credibile il mostro, ogni pezzo era creato su misura per  la sua interprete per agevolarle i movimenti. Un vero miracolo considerato il budget modesto. Si racconta oltretutto che per le scene di sbudellamenti vennero utilizzate vere interiora animali, tra cui un cuore di agnello.

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Nel 2 forse non c’era tempo per il make up

La novella L’innominabile di Lovecraft non aveva un seguito perciò Jean-Paul Ouellette per girare La creatura 2 si ispirò ad un’altra avventura del ciclo di Randolph Carter, The Statement of Randolph Carter, che in linea temporale era però la prima. Non avendo nessun aggancio con la storia del precedente film, la sceneggiatura è appena ispirata al racconto. Quindi, per i primi dieci minuti, si affronta, come nella parte letteraria, il viaggio del nostro giovane studioso e di un professore, il Dottor Warren, nelle profondità della terra. Lì i due scopriranno che la creatura è imprigionata da una serie di radici magiche, ma anche, sorpresona, che nascosta in lei c’è una parte buona, l’Alyda umana.

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Amico, non mi frega del film.

Stavolta il bugdet è più alto, ben un milione di dollari, e la lavorazione si allunga a cinque settimane con l’ausilio stavolta di stunt dove nel primo film non c’era possibilità di controfigure nelle scene più pericolose.

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Amico, neanche a me frega del film.

Katrin Alexandre stavolta si rende disponibile solo per una giornata e perciò viene messa a contratto la modella di Penthouse Julie Strain, bellissima ma purtroppo nascosta dal pesante make up. La sua creatura stavolta è un gigante infatti la ragazza  misura ben un metro e 85.

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Julie Strain senza make up da mostra

Il personaggio di Tanya Heller, fidanzata di Howard, l’amico di Carter, viene liquidato in fretta senza neppure chiamare l’attrice Alexandra Durrell. Al suo posto riveste il ruolo di protagonista, nei panni di Alyda, la stupenda Maria Ford, una sosia di Alyssa Milano, così bella al naturale che la chirurgia plastica negli anni la devasterà peggio che la sua controparte mostruosa.

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La bellissima Maria Ford ora distrutta dalla chirurgia estetica

Visto che il film è più ricco si riesce a chiamare per qualche posa il grande David Warner e, qualche giorno di più, il futuro Gimli de Il signore degli anelli, John Rhys-Davies, all’epoca Sallah de I predatori dell’arca perduta.

Il problema è che, budget a parte, The unnamable 2: The Statement of Randolph Carter è nettamente peggiore al primo film.

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Partiamo subito dal fatto che il mix tette e sangue viene tradito da una versione PG13 de La creatura: gli squartamenti ci sono ma vengono mostrati solo ad atto compiuto con l’aggravante di alcune morti proprio fuori campo mentre i nudi non sono neanche pervenuti. Cioè Jean-Paul Ouellette ha tra le mani una modella di Penthouse e non la spoglia neppure in flashback, e scrive il personaggio di Alyda come una ragazza sempre svestita ma appiccica sul corpo di Maria Ford dei capelli copri seni? Qui rasentiamo la follia! Certo ogni tanto si vedono le chiappette strafantastiche della protagonista ma sembra la fiera della froceria nel mondo degli etero allupati!

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Capelli copri pudende

Anche la regia in 5 anni è peggiorata e non l’aiuta la decisione della sceneggiatura di mostrare in azione il mostro all’aperto: così senza le suggestive luci, senza accorti tagli di montaggio, il più delle volte sembra di assistere ad una puntata più gore di Buffy l’ammazzampiri, con lo stesso gusto non gusto per i pupazzoni di lattice. Per di più la creatura ad un certo punto cerca di spiccare un volo  col risultato di apparire come un mostro dei Power ranger trascinato dai cavi volanti.

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Chiappe che presagiscono peccati mai portati in scena

In The unnamable 2: The Statement of Randolph Carter entriamo nel vivo dell’azione dopo quasi 45 minuti di chiacchiere e scene alla Maial college: in queste, Randolph e il suo amico Howard portano Alyda tutta nuda nel loro dormitorio mentre alcuni compagni battono il 5 malpensando in un’orgia. Inutile dire che sono i momenti più idioti di una pellicola che non spicca per una grande intelligenza dei suoi comprimari e li manda al massacro senza scervellarsi molto sul perché.

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Zio, si ciula, vero?

Un peccato perché questo poteva essere un buon seguito, contando anche le buone interpretazioni degli storici  protagonisti della serie, Kinsey Stephenson e Charles Klausmeyer. Invece il film perde il divertimento, l’atmosfera lovecratiana e la sfrontata exploitation che tanto ci avevano fatto amare l’originale. Non stupisca che questo numero 2 sia rimasto inedito in Italia e che abbia meno fama del suo primo capitolo.

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Due fighe spaziali a confronto

Dimostrazione che il budget ricco non fa il buon film. Da recuperare solo a fini di completezza o con la scusa, giustissima, di rivedersi La creatura, un cult adolescenziale per tutti noi amanti del cinema horror ottantino.

NB Il dvd del primo film ad opera della Red Spot è scandalosamente un riversamento della vecchia vhs. In più i tizi non si sono neanche sbattuti a cercare informazioni sul film visto che sbagliano 1) a raccontare la trama 2) a dire che il film è inedito al cinema quando ha un visto censura del 26/08/1988. Per fare certi lavori a cazzo di cane sarebbe meglio non farli!

Andrea Lanza

NB Il flano cinematografico de La creatura è stato fornita gentilmente dall’amico Lucius Etruscus che ci ricorda l’uscita esatta del film in Italia: l’8 settembre 1988. Vi consiglio di guardare il suo blog dedicato alle locandine d’epoca, IPMP – ITALIAN PULP MOVIE POSTER, imperdibile e imprescindibile.

 

The unnamable II: The statement of Randolph Carter 

Anno: 1992

Regia: Jean-Paul Ouellette

Interpreti: Mark Kinsey Stephenson, Maria Ford, John Rhys-Davies, Charles Klausmeyer, Peter Breck, David Warner, Julie Strain

Durata: 104 min.

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Il pozzo e il pendolo

27 lunedì Mag 2013

Posted by andreaklanza in demoni, drammatici, Full Moon, P, Recensioni di Davide Comotti, splatteroni, streghe

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cinema, edgar allan poe, film tratti da edgar allan poe, full moon, il pozzo e il pendolo, recensione, recensioni, remake, stuart gordon

Fra gli scrittori di racconti horror, Edgar Allan Poe è stato sicuramente uno dei più “saccheggiati” dal cinema di paura: basti pensare ai numerosi numerosi film americani della AIP ispirati, più o meno fedelmente, ai suoi scritti. In alcuni casi, lo stesso racconto è stato trasposto su pellicola in varie occasioni: è questo il caso de Il pozzo e il pendolo (1842), ambientato durante l’Inquisizione spagnola e focalizzato su un prigioniero sottoposto alla tortura che dà il nome al racconto (legato in cima a un baratro sotto una lama oscillante che si avvicina sempre di più). Dopo un cortometraggio francese del 1909, la prima autentica trasposizione cinematografica avviene proprio ad opera della AIP, che produce Il pozzo e il pendolo (1961) di Roger Corman, con Vincent Price e Barbara Steele. Un bel film, realizzato in uno stile gotico “all’inglese”, molto diverso dall’altra celebre e omonima versione, realizzata nel 1991 dall’americano Stuart Gordon, regista abile sia nell’horror “fantascientifico” (Re-animator, From beyond, Dagon) che in quello gotico (Dolls, Il pozzo e il pendolo, Castle Freak).

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Se Corman puntava di più sull’angoscia psicologica e sull’alternanza tra realtà e soprannaturale, Gordon mette in scena una vicenda grandguignolesca dove è la tortura fisica a farla da padrone, per poi prendere una sterzata soprannaturale nella parte conclusiva. Dunque, è forse meno fedele a Poe rispetto al film di Corman, ma più appassionante, più bello visivamente e anche più “horror” nel senso autentico della parola. In entrambi i film, comunque, si è dovuto per forza di cose creare una vicenda attorno alla tortura del “pozzo e il pendolo”, visto che il racconto di Poe era focalizzato interamente sull’episodio, ma un film ha bisogno di una trama più estesa per coinvolgere lo spettatore (a meno di fare un cortometraggio).

Il pozzo e il pendolo di Gordon (sceneggiato da Dennis Paoli) è ambientato, come ci avverte la didascalia iniziale, in Spagna nel 1492, quindi verso la fine del Medioevo. Siamo in pieno periodo di “caccia alle streghe” e l’Inquisizione compie atrocità di ogni tipo sotto la guida di Torquemada (Lance Henriksen). La giovane Maria (Rona de Ricci), moglie di un panettiere, assiste al rogo di una donna accusata di stregoneria e interviene in difesa di un bambino, venendo a sua volta imprigionata come presunta strega. Mentre il marito cerca invano di liberarla, Maria assiste e viene sottoposta alle torture più barbare. Anche l’uomo viene catturato e deve subire la tortura del “pozzo e il pendolo”. Ma una maledizione lanciata sul rogo da una vera strega ribalterà la situazione in favore degli sfortunati prigionieri.

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Uno dei punti di forza del film è proprio l’accurata e sfarzosa messa in scena, un “Grand Guignol” dal sapore un po’ kitsch a cui contribuiscono in egual misura la fotografia (Adolfo Bartoli), gli effetti speciali (Giovanni Corridori), le scenografie (Giovanni Natalucci), i costumi (Michela Gisotti) e il trucco (Greg Cannom, Adriana Sforza, Keith Edmier, Robert Clark). Buona parte delle maestranze sono dunque italiane, e questo si spiega col fatto che i produttori sono Albert e Charles Band (cioè Alfredo e Carlo Antonini, padre e figlio), operanti negli Stati Uniti ma di origine italiana (Albert Band, negli anni Sessanta, collaborò anche ad alcuni “spaghetti western”): più o meno la stessa cosa avverrà con Castle Freak (1995), dove addirittura la location sarà italiana.

Essendo Il pozzo e il pendolo ambientato quasi tutto in un castello, dunque girato in interni, la fotografia e le scenografie sono più che mai fondamentali per la riuscita del prodotto: i colori caldi e saturi (valorizzati da un’ottima fotografia che “dipinge” in maniera nitida luoghi cupi e illuminati solo dalle torce) e le sfarzose ricostruzioni (la stanza delle torture, ma anche le oscure celle, le sale del castello e il passaggio segreto “decorato” con dei teschi) conferiscono al film un’atmosfera da brividi, tragicamente realistica ma al contempo volutamente “caricata” nei colori e negli effetti speciali, con un ottimo effetto gotico-barocco. Le musiche di Richard Band, con i toni bassi e lugubri evocanti atmosfere sepolcrali (in stile Carmina Burana, per intenderci), completano l’opera.

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Il sangue e la crudeltà delle torture sono uno dei cardini del film: anzi, la solida regia di Gordon (pur non risparmiando alcuni momenti del suo consueto umorismo macabro, come lo scheletro frustato all’inizio) mostra una cura certosina nel mettere in mostra ogni tipo di tortura possibile e immaginabile. Oltre al “pozzo e il pendolo” (che, come nel film di Corman, incontriamo verso la fine), il regista guida lo spettatore in questo museo degli orrori (quasi un inferno dantesco), tra Vergini di Norimberga, celle luride e oscure, strumenti di trazione corporale, lingue mozzate, sedie roventi, uomini coi piedi sul fuoco o costretti a ingurgitare sostanze varie. Le scene splatter e orrorifiche abbondano: basti pensare a Torquemada che taglia la lingua a Maria con una forbice, il topo tagliato in due dal pendolo e spappolato con la mano da Antonio, l’inquisitore trafitto dai pali di ferro nel pozzo. Notevole anche la sequenza della strega che viene bruciata viva, per poi tornare come scheletro a perseguitare Torquemada.

L’americano Lance Henriksen, specializzato in film horror e di fantascienza, col suo sguardo torvo dà vita a uno degli inquisitori più crudeli e inquietanti del cinema, degno di Vincent Price (Il pozzo e il pendolo di Corman, Il grande inquisitore) e di Fred Abraham Murray (Il nome della rosa). I due coprotagonisti, cioè i perseguitati Maria e Antonio, sono interpretati da due attori poco conosciuti ma efficaci, Rona De Ricci e Jonathan Fuller. Fra i consiglieri di Torquemada troviamo Jeffrey Combs (Francisco), attore-feticcio di Gordon e celebre per il ruolo del dottor Adam West nella saga Re-animator. Da notare anche la presenza dell’italiano Benito Stefanelli, celebre villain di numerosi western e polizieschi nostrani, nel ruolo del boia. Infine, cammeo del sempre immenso Oliver Reed nella parte di un cardinale inviato dal Papa in Spagna per porre fine alle torture dell’Inquisizione, e destinato a essere murato vivo per ordine di Torquemada.

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Il pozzo e il pendolo contiene, oltre allo strumento del titolo (anticipato da un modellino presente sulla scrivania di Henriksen), anche altre citazioni da Poe: La botte di Amontillado, da cui si disseta Oliver Reed, La rovina della casa degli Usher (Rona De Ricci sepolta in stato di catalessi), Il seppellimento prematuro (Reed e la De Ricci sepolti vivi).

Da notare, infine, anche due scene che vogliono forse citare dei precedenti horror gotici: il cardinale murato vivo ricorda una scena simile presente nel Pozzo e il pendolo di Corman (dove è una donna a subire questa terribile sorte), mentre la strega che lancia una maledizione dal rogo richiama alcune situazioni che incontriamo spesso nel gotico italiano (La maschera del demonio di Bava, I lunghi capelli della morte di Margheriti).

Davide Comotti

Il pozzo e il pendolo

Titolo originale: The pit and the pendulum

Anno: 1991

Regia: Stuart Gordon

Cast: Lance Henriksen, Rona De Ricci, Oliver Reed, Jeffrey Combs

Durata: 90 min.

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Tette vintage: Barbara Crampton

16 domenica Set 2012

Posted by andreaklanza in tette vintage

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Barbara Crampton, charles band, dive bionde, empire, re-animator, stuart gordon, tette burrose, tette giocherellone, tette sballonzolanti

E’ una Domenica di noia rituale, il caldo sta lasciando posto ai primi geli dell’Autunno, i soldi in tasca sono pochi, la vostra ragazza non risponde al telefono, ma state sicuri, noi di Malastrana vhs non vi abbandoniamo, perciò mettetevi comodi perchè è il sacrosanto momento delle tette vintage!

Barbara Crampton è stata il sogno erotico anni 80 di molti giovani nerd dalla patta selvaggia e il gusto spiccato per lo splatter. Bionda, burrosa, angelica d’aspetto, ma dalla carica straordinariamente sexy. Ricordiamocela quando in Re-animator è la donna desiderata dalla testa (mozzata e senziente) del Dottor Hill, mentre la lecca voglioso circondato da un gruppetto di zombi incazzosi, nella scena più divertentemente necrofila della storia del cinema horror. O quando, sempre diretta da Stuart Gordon, si veste di pelle con tanto di frusta da vera dominatrice in From beyond, scifi di un certo culto dal sapore sadomaso.

Barbara ora è invecchiata, ma resta una donna bellissima, recentemente è stata a capo di un gruppo di vampire un po’ lesbo in Sisterhood, orroraccio diretto dal re degli sculettamenti e dei bei maschioni etero gay, David De Coteau, nella sua reincarnazione femminile Victoria Sloan.

Come dare torto ai romantici mostri presenti in queste foto? Stupenda.

NOTA del 17 Settembre 2012:

Barbara è così bella che ampliamo l’articolo con altri scatti provenienti da Playboy del 1986, foto impreziosite da elementi tipicamente Empire di Charles Band come la presenza in un letto di due Ghoulies!

Versione mostro sexy innocente:

Versione mostro sexy “biricchina”:

Le paperelle di gomma sono vietate nel castello di Dracula:

C’è chi ama i barboncini e chi i licantropi:

I ghoulies compagni di gioco:

L’alternative version di Re-animator:

Dare la mancia al pizzaiolo:

Squarci di lingerie quotidiana:

Shadowzone – La linea mortale

06 giovedì Set 2012

Posted by andreaklanza in alieni, azione, B movie gagliardi, fantascienza, Full Moon, mostriciattoli, Recensioni di Andrea Lanza, S, scifi horror, tette gratuite

≈ 9 commenti

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andrea lanza, charles band, cinema, desert vampires, donna nuda, Event horizont, from beyond, full moon, grosso guaio a chinatown, il bambino d'oro, j. s. cardone, jack nicholson, james hong, lo pan, louise flechter, Paul W. S. Anderson, Punto di non ritorno, qualcuno volò sul nido del cuculo, re-animator, recensioni, shadowzone, shadowzone la linea mortale, space vampires, stuart gordon, ted nicolau, tette, the slayer, vampira nuda

“… un film ad alta tensione fantasy, un omaggio ai classici del suo genere…”

(Variety, dal retro della vhs)

La Full moon è la casa produttrice che sorse sulle ceneri della defunta Empire per volere sempre del suo pigmalione Charles Band. Purtroppo non ebbe la capacità di  eguagliare i capolavori del periodo precedente, nessun Re-animator o Dolls a spiccare, ma, almeno nel primo periodo, produsse cose abbastanza gradevoli come la versione erotica de La bella e la bestia, Meridian, o appunto questo Shadowzone – La linea mortale. L’impossibilità di arrivare ad un’eccellenza è forse da imputare alla mancanza di registi/autori o comunque di registi, come Stuart Gordon, che, negli anni 80, furono capaci di fondare una vera e propria scuola, imitata in tutto il mondo, del low budget, con film spettacolari e violentissimi, non secondi a nessuno per la fantasia. Nella Full moon lavorarono un sacco di artigiani come il J. S. Cardone di questa pellicola o come il prezzemolino Ted Nicolau, capaci di portare a casa uno spettacolo ben confezionato, ma senza quel guizzo da rendere il tutto memorabile o almeno cult. Non per nulla questa casa produttrice si è specializzata con l’andare del tempo (è ancora produttiva) nei film diretti in video, soprattutto con bambole assassine come versioni incolori del magnifico Puppet master, titolo culto dell’Empire. Molti di questi titoli furono girati in Italia dove il regista/produttore Charles Band sfruttava il bellissimo Castello di Giove in Umbria di sua proprietà, perfetto teatro per storie dal sapore di gotico horror.

Shadowzone è il primo prodotto della neonata Full Moon, forte della tagline “La nuova onda della Fantascienza”, uno scifi quindi sulla carta debitore dell’immortale cult Alien e invece sottilmente legato alla filosofia del gordoniano From beyond di Stuart Gordon (produzione storica Empire). Qui come lì si parla di un mondo oltre il nostro, un universo sotterraneo, una nuova dimensione mostruosa capace di emergere grazie al nostro subconscio, quello che Goya descrisse con la frase “Il sonno della ragione genera mostri”. Si potrebbe fare un azzardo che Shadowzone sia un proto Event Horizon, lo stupendo scifi hellraiseriano di Paul W. S. Anderson (Resident Evil, Death race 2000, Mortal Kombact) che affrontava un tema non dissimile, ovvero lo scatenare dei nostri incubi nell’avvicinarsi ad una dimensione parallela simile all’Inferno. Qualcuno potrebbe dire, a ragione, che questo plot era stato già proposto nel thriller fantastico Linea mortale di Joel Schumacher con Julia Roberts, Lou Diamond Philips e Kiefer Sutherland, e probabilmente è lì che si può rintracciarne il seme, ma il lavoro di rielaborazione degli elementi attuato da Cardone anticipa come non mai prima il lavoro andersoniano più di ogni altra cosa del periodo. Per il resto Shadowzone è un lavoro onesto, un compitino che stenta ad ingranare, ma quando lo fa è appassionante e riesce a non far sentire più di tanto il budget miserrimo anche quando mette in scena creature dal make up posticcio. Le scene di morte sono abbastanze varie, anche se alla fine lo splatter si limita a secchiate di sangue fuori schermo, e la regia, nella seconda parte è vivace anche nella messa in scena non paratelevisiva.

La trama è semplice: il comandante Hickcok viene chiamato per controllare le cause di una morte sospetta in una base segreta. Lì entrerà a contatto con il progetto Shadowzone che coinvolge due cavie umane, una donna e un uomo, chiuse in una teca e costrette a sognare al fine di avvicinarsi ad una dimensione parallela sconosciuta. Il varcare quella linea d’ombra trascinerà nel nostro mondo un essere capace di rendere carne i nostri incubi…

Si notano con piacere le tette da visione exploitation della bella cavia addormentata, l’attrice Linda V. Carter, tutto sommato nel ruolo immortale di una vita. Il suo personaggio ricorda a grandi linee, soprattutto per stare in scena perennemente nuda in un contesto fanta horror, l’immortale vampira Mathilda May del cult movie hooperiano Space vampires. Il corpo della Carter, uno spettacolo della natura, si meriterebbe un post tutto dedicato a lei, cosa che non escludo in un futuro speciale sulle caratteriste nude del cinema oscuro, da Linnea Quigley a Tracy Lords. Non male neanche la bionda Maureen Flahert nei panni di una dottoressa con il pallino per le scimmie. Peccato la storia la liquidi troppo in fretta sprecando un’attrice molto bella, materia vitale in un cinema horror di serie B che vive di carne e sangue, cugino degli umori sessuali dell’hardcore.

Il cast è abbastanza ricco per una produzione tutto sommato povera, girato in gran parte in studio. In primis abbiamo la grande Louise Fletcher di Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman purtroppo sprecata in un ruolo non troppo ben scritto, interpretato giustamente sottotono e senza molta convinzione. Ad affiancarla il sempre efficace James Hong, il Lo Pan dello sfortunato Grosso guaio a Chinatown di John Carpenter e di cento altri film americani dove appaiono comunità orientali. Oltretutto il buon Hong è il regista dello scriteriato, folle e geniale Vineyard (L’immortale) che vi promettiamo recensiremo il più presto possibile, esempio impossibile di un cinema miserabile che cercava di unire tradizioni occidentali con quelle orientali, talmente scombinato nella sua concezione da fumetto porno horror da essere genio puro.

Il resto del cast, a cominciare dal legnoso protagonista David Beecroft, non fece niente di tanto notevole da essere ricordato.

Shadowzone uscì in Italia in vhs per la Videogram, una vhs dignitosa come qualità d’immagine e potente, all’epoca, per l’audio in HI-Fi sound stereo. Per il resto solito fullscreen e doppiaggio raffazzonato senza, purtroppo, rumori di fondo.

Un film comunque dignitosissimo che regala una serata scacciapensiero di indubbio divertimento.

Andrea Lanza

Shadowzone

Anno: 1990

Regia:    J.S. Cardone

Cast:    Louise Fletcher, David Beecroft, James Hong, Frederick Flynn, Shawn Weatherly, Miguel A. Núñez Jr., Lu Leonard, Maureen Flaherty, Robbie Rives

VHS: Videogram (vietato ai minori di 14 anni, inedito cinematografico)

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